venerdì, dicembre 30, 2005

Alta tecnologia

Così recita il titolo di un quotidiano on-line, ma lo scrive in inglese, perché in italiano sembrerebbe dozzinale. E se fosse veramente dozzinale, perlomeno sarebbe intonato al livello della campagna fotografica che ci propongono.
Ma vediamola, coi soli nomi, senza le foto d'effetto.

Qrio, l'ultimo robot commerciale di Sony.
In effetti di tecnologia quest'oggetto ne include un bel po'. L'articolo si sofferma a dirci che ha tre occhi, ma per chi ha visto i video del prodotto in questione, dal sito Sony, è comprensibile che sia davvero il dettaglio più trascurabile. L'effetto su cui ha puntato Sony è appunto l'antropomorfizzazione, la capacità di rendere espressioni corporee umane, in cui questo robot sembra primeggiare.

La nuova Xbox 360 di Microsoft.
Tecnologicamente non sembra così stupefacente: un PC di recente generazione, racchiuso in una console. Il software la renderà appetibile, ma dal punto di vista tecnologico cosa dovrebbe sorprendere?

Con lo iPod nano la Apple "rivoluziona il mercato mp3", come recita la didascalia.
Non ci spiega dov'è la rivoluzione. Si suppone nel formato ridotto, visto che tutto il resto di quel che offre è già sul mercato da un anno. Come hanno lamentato già molti utenti, sono riusciti a rendere più piccolo e fragile, qualcosa che esisteva già. Gran tecnologia.

Un robot in mostra al Tokio Robfest, di cui ammetto di non saper niente.
Sono sicuro che ci sia più tecnologia in questi prodotti amatoriali che in quelli commerciali, dello stesso show giornalistico.

Il supercomputer IBM Blue Gene/L.
Molto probabile che ci sia tanta tecnologia dietro, che dire.

La Sony PSP.
Una "console nel taschino", come recita la didascalia. Con un po' più di tecnologia di un iPod nano, indubbiamente, eppure non sono ancora convinto. Vedi ad esempio i film in standard UMD, che solo Sony come major cinematografica poteva proporre.

Il laptop da 100 dollari di Negroponte, per i paesi emergenti.
Quindi la negazione dell'alta tecnologia, per farci rientrare i costi. C'è da emozionarsi.

Il browser web Firefox di Mozilla.
Lo uso da lungo tempo, come browser esclusivo, ne sono soddisfatto, ma non ci vedo nessuna alta tecnologia: forse sono l'utente sbagliato, che non diventa schiavo dei propri venditori di fumo.

La corsa delle auto robot negli USA.
Affascinante: sicuramente c'è della tecnologia. Che finirà in qualche veicolo militare, suppongo.

NEC E616, il cellulare più sottile del mondo.
Immagino vorrebbe averlo avuto la ragazza che nella cronaca di qualche giorno fa, dopo un litigio con un fidanzato violento, è stata costretta a ingoiare il cellulare: l'hanno infatti operata d'urgenza allo stomaco.
Siamo pieni di orifizi in cui lo vorremmo avere, questo nuovo prodigioso prodotto, in un settore (quello della telefonia mobile) in cui non si vede mai niente di nuovo.

Una arma laser montata su un aereo militare americano C-130.
Finalmente la tecnologia che lascia meno tracce delle bombe al fosforo. Nessuno può farne a meno, quando vive in occidente ed è democratico.

Occhiali da sole con bluetooth da Motorola.
Gran tecnologia, un paio di occhiali da sole che portano di lato un apparecchio acustico, come quelli che facevano sentire dei veri andicappati chi aveva problemi di udito negli anni '70. Ma ora è uno status symbol, come privarsene.

Google Earth
, la terra vista in fotorealismo dallo spazio.
Praticamente quello che fa un programmetto analogo della NASA, ma con più dettaglio -- oltre alle pubblicità a pagamento di Google: dev'essere questo il lato altamente tecnologico.

Windows Vista.
Che letto in italiano rende esattamente quel che può essere, l'ennesima s-Vista di Microsoft su come funziona il mondo. Ma i soldi coprono qualsiasi gap: sarà sicuramente un prodotto di successo -- solo non vedo la tecnologia, se non quella già esistente.

Un iPod video.
Nuova grande intuizione Apple: inventare qualcosa che già esiste, ma con il proprio marchio. Geniale.

Il sito di photo sharing Flickr.
Non lo conosco: chissà quale meraviglia non vista mi son perso.

I computer Apple con i processori Intel.
Suona come "quando non sai più dove battere la testa, trova qualcuno incapace come te, ma con tanti soldi". Complimenti.

Il cellulare Rokr di Motorola.
Che sorprendentemente riesce a suonare gli mp3. Come tanti altri, ma forse Motorola ha un merito per stare in questa lista, gli altri no.

L'enciclopedia on-line Wikipedia.
Sicuramente un'ottima cosa, anche se non ci vedo l'alta tecnologia del roboante titolo.

Tiriamo le somme: Sony 2 prodotti, Apple 2 prodotti, Motorola 2 prodotti, Microsoft 2 prodotti, Google 2 prodotti, all'open source 2 prodotti, NEC e IBM solo 1, vabbè ... pare che gli sponsor (o il politically correct) siano tutti più o meno soddisfatti.
E l'alta tecnologia?

giovedì, dicembre 29, 2005

L'insostenibile prezzo del vivere

Leggevo un articolo di un forum (teoricamente generico o su altri argomenti), dove un giovane riporta l'esasperazione del vivere ed avere un lavoro.
Viene da chiedersi come mai per Natale veniamo subissati di richieste di solidarietà dai paesi poveri, quando il paese povero più vicino è questo, quello in cui viviamo.

Il sarcasmo, l'ironia con cui vengono farciti questi racconti ci dà una dimensione della gioventù, che cerca comunque di andare avanti, con la voglia di vivere.
La tragedia che ci leggo è che questi giovani, oggi precari, nel giro di 10 o 20 anni saranno a loro volta genitori, senza una famiglia che li appoggi economicamente, alle spalle: quale sarà la voglia di vivere dei loro figli?
Riuscirà a farli emergere dalla miseria in cui saranno sprofondati?

Prevedo più facilmente che si moltiplicherà la protesta degli estremismi, di chi vive già ai margini del sostentamento e non potrà offrire ai propri figli un appoggio per crescere.
Nessuno, fra coloro che fanno politica, ha una percezione realistica di questo fenomeno. Lo strumentalizzano, in positivo o in negativo, lo dileggiano, ne inorridiscono.
Il punto è che nessuno sembra capirne il dramma, aldilà di riempirsene la bocca in sterili polemiche.
E non sono preparati a capirlo: nessuno di coloro che ha avuto esperienza di una famiglia solida, di una stabilità economica, può capire quelli che saranno i genitori poveri dell'immediato futuro. Come nessuno di questi nuovi poveri diverrà mai importante politicamente.
S'è aperto uno strappo nel tessuto sociale ben diverso da quello che ci vogliono far credere, la scelta non è più di essere giovani e rivoluzionari oppure vetusti e conservatori, perché a breve tanti di quei giovani ingrosseranno le file di chi è meno giovane, senza automaticamente divenire i nuovi conservatori: non avranno più niente da conservare.

L'Africa, con tutti i suoi dolori, l'oriente vicino e lontano, il sudamerica, sono tutte realtà di diversi disagi. Nessuno da ignorare, sia ben chiaro.
Ma ogni giorno di più, con più forza, servono a coprire il disagio sociale di casa nostra, come un tappeto sotto cui nascondere la polvere.
Solo che quando non ci sarà più solo polvere, ma ratti morti, diverrà difficile nasconderli sotto ad un tappeto colorato.

Something's wrong in this House today
Something's been going on there may be a price to pay

The Alan Parson's Project, "May be a price to pay" dall'album "Turn of a friendly card"

Via-DiQui

L'arroganza dei politici è una di quelle manifestazioni che solitamente non passa mai in sordina. Di ogni scelta prepotente, ottusa, riescono sempre a farsene bandiera.
Fortunatamente, molte volte in modo ridicolo, ma se non c'è chi se ne accorge, il senso del ridicolo vale poco.

Il vocabolo squatter è diventato negli ultimi anni di largo uso anche in Italia.
Ripenso a Firenze, dove un edificio storicamente occupato, vicino al ponte all'Indiano, era chiamato dagli stessi occupanti Indiano okkupato; adesso sarà diventato sede di squatter, senza aver cambiato occupanti.
L'estensione cyberquatting, non è ancora entrata ufficialmente nella lingua italiana (o così credo), ma il suo senso è in uso da anni, anche in Italia. Denomina l'abuso fatto da chi registra a proprio uso un dominio internet di cui non ha diretto interesse: un po' come se io registrassi per mio uso personale un dominio come microsoft.it oppure adiconsum.it -- diverrebbe sicuramente fuorviante per chi vuole contattare i titolari del legittimo marchio o denominazione.

Nell'articolo citato sopra, per la voce cyberquatting su Wikipedia, si fanno pure riferimenti a normative in atto in Italia, per prevenire questo fenomeno.
Qualche anno fa fece scalpore l'operazione di Nicola Grauso, che chiese la registrazione di ben mezzo milione di domini internet con nomi di persona, del tipo mariorossi.it, dimostrando che la legislazione era ben lungi dal proteggerci.
Viene quindi da pensare che oggi saremmo più protetti, che qualcosa sarà stato fatto.
E' presto detto.

Se provate a digitare nel vostro browser web un indirizzo del tipo http://www.via-carlogoldoni.it diverrà chiaro che qualcosa, innegabilmente è stato fatto. Di peggio, ovviamente.
Nella sua arrogante campagna elettorale come sindaco di Milano, la signora Letizia Moratti, ha infatti incaricato una compagnia pubblicitaria di registrare le quattromila vie di Milano come domini internet.
Ovvio che quelle vie non esistano solo a Milano, ma grazie ad una campagna elettorale adesso sono proprietà di Milano. O perlomeno, tramite un giro di società, di una singola persona che anela a regnare su Milano.

L'evidente dimostrazione è che i fenomeni di squatting, occupazione con la forza, non vengono solo dalla forza fisica, ma anche da quella economica -- diciamo che su una quantità del genere, un registrar come l'italiano Register.it ne venda il diritto d'uso a 15 euro; probabilmente per un totale inferiore anche ai 60mila euro.

Quale sarà il fine ultimo della signora candidata? Lo vedremo sicuramente nelle prossime settimane, quando la campagna elettorale inzierà a bollire.
Che altro vedremo? Forse la solita mini sfilata di pupazzetti dei partiti di opposizione al governo, quei personaggi che riescono a guadagnare 5-10 secondi di spazio televisivo per dimostrare indignazione e impotenza.
E' chiaro infatti che non ci sia mai desiderio o capacità, da parte di chiunque faccia le regole, di cambiarle in favore degli altri cittadini.
Cercare di cambiare un piccolo pezzo alla volta sarebbe l'unico metodo, ma sfortunatamente non è sfruttabile per i propositi elettorali, dove tutti propongono grandi cambiamenti -- salvo poi non attuarne neppure una minima parte.

Sarebbe bello che la campagna elettorale si svolgesse al contrario, con i cittadini che elencano le proprie necessità, proprio come in una favola.
Magari in quel caso l'unica via che molti attribuirebbero alla signora candidata sarebbe un via di qui.
Ma forse Milano la pensa diversamente, soprattutto ora che possiede - almeno in internet - le uniche vie d'Italia.

martedì, dicembre 27, 2005

Consumo e cultura

Pare da una recente indagine ISTAT e dell'Osservatorio SMAU, pubblicata su un quotidiano on-line, che ormai anche gli istituti di statistica c'infarciscano dell'idea che consumo equivalga a cultura.

Certo non appare così serio l'ISTAT, a chi ne ha seguito le pubblicazioni nei primi anni di passaggio all'Euro -- quando ci raccontava che veder raddoppiare i prezzi di frutta e verdura al dettaglio, mentre diminuivano all'ingrosso, era una nostra percezione sbagliata dell'inflazione e del costo della vita.
Ma sono tempi passati, ormai tutti si sono abituati all'ormai assodato passaggio 1000 Lire = 1 Euro, per cui l'ISTAT continua il suo percorso d'indegnosa sfrontatezza, liberamente.

Ci rinfrancano che le famiglie con dei giovani non sono arretrate, perché in casa hanno comunque dei beni tecnologici.
Non ci racconta poi se qualcuno li sappia usare: in fondo loro si occupano di consumi, e da questi ci raccontano cos'è la cultura.

Ci tranquillizzano che la telefonia cellulare significa altra cultura tecnologica, e che spendere molti più soldi col telefono cellulare è altra cultura tecnologica, che cresce -- soldi spesi in cultura, insomma.

Se vi sentite ignoranti, compratevi un telefonino: telefonate all'ISTAT e mandateli a quel paese -- che ci auguriamo tutti non sia l'Italia, nonostante le conferme quotidiane.

domenica, dicembre 25, 2005

Vittime dell'intelligenza

Non è sorprendente che ci siano continue difese con le unghie e coi denti, di chi perde fette di potere, come accade all'attuale pontefice vaticano.
C'è da dire che anche il suo predecessore risentiva di simili deficit, ma aveva imbastito un più efficiente controllo sulla spiritualità, fortificando e motivando le organizzazioni giovanili radicali.

Le cadute di stile, i proiettili senza polvere da sparo, sono poi un'altra storia.
Quel che mi sorprende è che non vengano organizzati meglio certi discorsi politici, quando sono appunto scritti prima. Ma in fondo è altrettanto vero che non servono sempre limature, qualche volta l'espressioni grossolane rimangono incisive anche se partono da concetti logicamente errati.

La capacità di piegare e influenzare le masse non necessita di verità, di concetti logici. Al contrario di quello che serve per acquisire il favore di piccoli gruppi o individui, dove si deve partire con qualche concetto condiviso, per smuovere una massa è più efficiente partire da una provocazione.
La provocazione non necessita di verità oppure di logica, deve solo far pressione su qualche punto sensibile.
Un esempio classico è quello del legame fra criminalità e immigrazione clandestina. E' facile infatti dimostrare che fra gli immigrati clandestini vi siano molti criminali, che vivendo nel rischio accettano probabilmente con più facilità quello di emigrare in modo incerto in un paese straniero. Diventa così facile mobilitare la massa contro gli immigrati clandestini, lanciando la provocazione della criminalità.
E' ovvio che poi il fenomeno sia più complesso, ma questo non è da spiegarsi alla massa, diventa scomodo e noioso. Spesso è talmente complesso che fa scadere nel ridicolo chi cerca di semplificare spiegazioni.

La provocazione di Ratzinger, come nelle sue parole, è verso la tecnologia. L'applicazione del progresso alla scienza, e infine della scienza alla tecnica, è da sempre il timore più grande di chi fonda il potere del proprio ordinamento sull'ignoranza.
La stessa conoscenza sul come funziona ciò che già abbiamo (anche senza manipolazione tecnologica) è fonte d'inquietudine, basta pensare alla generazione della vita stessa. La religione non s'è persa d'animo di fronte alla spiegazione dei meccanismi cellulari che determinano la nascita di un nuovo individuo, ma ha preso posizione per determinare (nel modo arbitrario che le è consono) il momento esatto in cui c'è il presunto intervento divino, da cui le inutili polemiche sul diritto all'aborto.

L'affronto alla logica (e al dizionario) viene sicuramente dall'infelice espressione "vittime dell'intelligenza", che l'arroganza in sottovoce di Ratzinger ha spacciato come negatività.
Quel che ci ha fatto sapere, è che nella sua visione l'intelligenza è pericolosa, dannosa.
Certo, concordo con lui che un dilagare dell'intelligenza sarebbe estremamente dannoso, per l'ente che lui rappresenta: la sola intelligenza renderebbe la Chiesa Cattolica inutile.
Ma sono quelle parole che un politico dovrebbe dirsi solo con i suoi compagni, raccontandole diversamente alla gran parte dei sostenitori. Gli esempi classici - estremizzati - sono degli stati totalitari, dalla Germania di Hitler, alla Cina recente, dove il messaggio è "noi facciamo il bene di tutto il popolo", mentre ovviamente non possono raccontarsela nello stesso modo, nei palazzi del potere.
Una popolazione davvero intelligente è un rischio, in proporzione direttamente inversa rispetto al numero di persone che amministrano il potere.

Nel mio discorso di Natale quindi condividerò parte delle parole di Ratzinger, ma con una differenza che le renda logiche - visto il significato della parola "intelligenza", dalla radice della parola latina in avanti, dal significato di "capire, comprendere".
Siate ogni giorno vittime dell'intelligenza! E' il miglior augurio che posso fare, per tutti, nei giorni a venire.
Non c'è niente di negativo nel capire - se a capire davvero non è la persona che state cercando di truffare o sopraffare.

martedì, dicembre 20, 2005

Ecologia devastante

Non sorprende quante organizzazioni, più o meno commerciali, siano sensibili all'ecologia.
In fondo, il pianeta disastrato su cui viviamo è visibile a tutti. Poi ci sono la percezione e la sensibilizzazione verso i disastri ambientali, di cui abbiamo sensazioni diverse in dipendenza di molti fattori.
Il primo fattore, che porta alla sensazione di disagio della natura, è il vedere come cambiano le cose intorno a noi. Chi ha avuto la possibilità di vivere in luoghi (tempi) migliori nota che qualcosa non va.
Non penso vado sottolineato anche il livello culturale, che ci porta a conoscere di più del mondo, per cui a preoccuparsi anche della natura disastrata anche se lontana da casa nostra.

Il secondo punto è quello che mi ha generato una riflessione.
Ci sono tante offerte sull'energia alternativa, ma non vedo mai, nel computo dei costi, quello che è il costo di produzione delle apparecchiature alternative.
Un esempio? I pannelli fotovoltaici, per la generazione di energia elettrica come diretta conversione di quella solare.
Pannelli che costano di base molti soldi. Pannelli frutto della tecnologia corrente, realizzati in silicio, la cui raffinazione e lavorazione, per giungere al pannello, implica industrie che lavorano nel settore dei metalli e della chimica. Quasi inutile sottolinearlo: mai con impatto ambientale nullo, come qualcuno dice a proposito dell'energia generata dal pannello finale.
Senza contare che nessun pannello solare è utile da solo, ma esclusivamente in accoppiata a un circuito di regolazione e immagazzinamento dell'energia, solitamente in delle batterie. Al piombo.
Un metallo pesante, altamente inquinante, il cui smaltimento è sempre un problema.
Quindi, dopo i 4-5 anni di vita utile della batteria, dovrà essere cambiata (non le vendono a costo zero) e smaltita (di nuovo non a costo zero, economico e ambientale).
Non so poi se chi parla di costo zero, pensa che non dovrà smaltire i rifiuti tossici di produzione, tanto ormai si produce tutto in qualche paese asiatico. Per poi lamentarsi che loro non rispettano l'ecologia. Oppure consolandosi che la fabbrica di silicio nelle Filippine o a Taiwan, è lontana, per arrivare a inquinarci.

La morale? Ben vengano le energie più pulite, rispetto a quelle attuali (che inquinano anche in fase di produzione energetica), ma per favore: basta con la favola che queste nuove risorse siano del tutto pulite.
Pare che tutti gli estremisti dell'ecologia vivano in un mondo dysneiano, in cui basta soffiare sui mulini a vento (o sulle pale degli aerogeneratori) e mettere pannelli solari sui tetti come spighe di grano nei campi.
Certe visioni sono favole che dall'adolescenza in avanti nessuno dovrebbe credere per vere.
Qual è il rischio? Di perdere il contatto con la realtà, quella in cui vive qualche altro miliardi d'individui.

Pare strano a dirsi, ma anche chi sogna troppo può avere effetti devastanti sul mondo.

sabato, dicembre 17, 2005

Pessimismo inutile?

Qualche giorno fa ho lanciati strali verso un progetto del MIT che vedevo più teorico che pratico, più demagogico che concreto.
Leggo invece oggi che un produttore di Taiwan s'è proposto per la fase realizzativa dell'oggetto.
Sono stato d'inutile pessimismo? Beh, probabile: aspetto però di vedere il prodotto in circolazione, per capirlo con certezza.

giovedì, dicembre 15, 2005

Davanti a un presepe, chiedete chi è il neonato: non è una domanda banale

Talvolta si dimenticano i dettagli storici (leggende incluse) e possono porsi situazioni imbarazzanti.
Vale anche per il dio Mitra, figlio del dio Ahura Mazda (non so se ha qualcosa a che fare con le auto giapponesi).
Nella sua incarnazione umana, la storia di Mitra ha una leggenda che ricorda qualcosa di già sentito -- su quale divinità non si tratta di leggende?
La condenso in breve, ma la potete ritrovare anche qui, con molti più dettagli storici.
Figlio di un dio, nato da una vergine, il giorno del solstizio d'inverno (il 25 dicembre), in una grotta. Che altro dire, ah sì: dipartito dalla sua forma terrena all'età di 33 anni.

Se aggiungo che il culto era conosciuto dal 1300 a.C., non è difficile capire chi possa esservisi ispirato.
Da notare che le scritture sacre per la chiesa romana sono state canonizzate nel quarto secolo dell'era cristiana -- con gli aggiustamenti ritenuti necessari, magari anche radicali.
Quarto secolo che ha visto (casualmente?) anche il prevalere ultimo della Chiesa di Roma sul mitraismo, oltre alla sua affermazione definitiva nell'impero romano, visto l'editto di Costantino del 313 d.C.

Quando vedete un presepe, un simulacro di natività divina, chiedete quindi chi è il neonato.
Non è una domanda per l'ignoranza di chi chiede, ma per mettere allo scoperto quella di chi espone il teatrino.

Scoprirsi brillanti

Qualche volta capita di riscontrare che le proprie idee, sensazioni, siano già condivise da altri, che le hanno sviluppate in modo indipendente.
Oltre alla conferma di non essere soli, c'è anche l'appagamento di essere giunti ad una scoperta comune, qualcosa che appoggia il costruttivismo che sperimentiamo.

Ho fatto questo tipo di scoperta sulla mia disposizione al libero pensiero verso la spiritualità e la naturalità.
Trovo infatti perfettamente naturale, avendo un pensiero di tipo scientifico, credere in ciò che possiamo capire, del mondo che ci circonda. Per tutte le altre cose poi, quelle di cui non abbiamo spiegazione, mi appare altrettanto naturale che non si possa conoscere tutto. E' un ruolo della scienza, dare una spiegazione ai fenomeni vecchi e nuovi in cui ci imbattiamo.
Quel che invece è anti-scientifico, oscurantista, è l'imposizione di un qualsiasi dogma.
Ormai la gente accetta una miriade di dogmi, abituata com'è a non ragionare, facendosi dire sempre da qualcun'altro cosa si può pensare.

Così ho accolto con molto interesse il sito dei Brights, di cui qui c'è anche una versione italiana del loro manifesto.
Credere nella natura, senza il sovrannaturale. Raccontarlo agli altri. Viverlo.
Un concetto semplice, quanto disarmante, per l'uomo moderno. Anche perché l'uomo moderno ha sempre più anni alle spalle di coercimenti religiosi, in mille salse.

E l'ignoranza e arretratezza, opposte alla scienza e al progredire, sono presenti solo nelle antiche istituzioni religiose?
Ovvio che no.
Sul fronte spirituale ci sono sempre nuove sette, che nel tentativo di adattare i vecchi schemi al mondo moderno bruciano ogni giorno nuovi arrosti. Come nel panteismo della New Age, di cui posso apprezzare l'arte musicale denominata similmente, ma che mi guardo bene dall'avvicinare l'accozzaglia di tutto il resto che viene chiamato così.

Perfino in ambito tecnologico c'è chi riesce a inventare dogmi, con la pretesa di basi pseudoscientifiche -- e questa, fra tutte le deviazioni, trovo che sia la più ridicola.
Mi accorsi di questo fatto già moltissimi anni fa, avvicinandomi da giovinetto al mondo dell'hi-fi, con l'interesse per la musica e l'elettronica.
Guardando le affermazioni di chi si occupa di audiofilia esoterica, osservandole con qualche base scientifica, non si possono perdere le tante sciocchezze pseudo-tecnologiche. Molti appassionati di hi-fi sono infatti convinti di avere orecchie più sensibili della strumentazione che fa andare in orbita un satellite. Non si disarmano neppure davanti alle cifre numeriche, se gli fai notare che stanno sentendo una differenza, dove non la rileva uno strumento milioni di volte più sensibile, rispetto al grossolano orecchio umano.

Una delle ironie più grandi è che della natura magari abbiamo poche conoscenze, che siano perfettamente approfondite, ma su quelle poche, comprovate, c'è sempre un cretino che a priori le considera false.
Figurarsi cosa non può pensare di tutto il resto.

lunedì, dicembre 12, 2005

Quando l'informatica è una scienza della truffa

Basta leggersi qualche articoletto sui generis, essere avvezzi alla vita quotidiana, e non si può che pensare a piccole e grandi truffe, dietro lo scenario della tecnologia.

Rapidamente: Microsoft indice un concorso per trovare il programmatore indiano (in India, sì) di maggior talento.
Il premio? Lavorare a stretto contatto con Bill Gates.
E' evidente che mr. Gates voglia spacciarsi per un semidio, per cui la sua sola presenza vale come premio per il miglior programmatore indiano.
Solo che lui sa che i soldi che ha in tasca non passano per osmosi a chi gli si avvicina, mentre chi gli si accosta può essere un ottimo tecnico, ma un grande ingenuo in economia. Unica materia in cui a Gates non si può negare di saperci azzeccare.
Diciamo che perlomeno è fortunato: ha un unico settore in cui capisce qualcosa, anzi eccelle (la truffa, o l'accumulare denaro, a seconda di come si vuol chiamare), che però gli rende moltissimo -- se fosse bravissimo nell'intagliare pipe in legno, ad esempio, non sarebbe divenuto così famoso.
Come? L'informatica? Quella è solo facciata, per un'azienda come la sua: l'importante è mettere in moto il denaro, poi si può fingere di saper fare tutto.
E una.

Numero due: quando la politica si allea con lo sviluppo tecnologico, cosa ne nasce?
Niente di buono.
Dimostrazione veloce? Il computer da cento dollari di Negroponte, da vendersi ai paesi poveri.
Computer che per il momento sta solo sulla carta. Leggendo bene, ci starà per un momento assai lunghetto.
Infatti sarà, come dice il CEO di Intel un "trabiccolo da cento dollari" -- sempre che riescano davvero a produrlo, a quella cifra.
Ma per Negroponte non ha importanza, intanto sta riscuotendo consensi e suppongo anche favori, che finiranno per portare anche soldi e prestigio al MIT, l'istituto che rappresenta.
E la stessa Intel si sta sicuramente arrabbiando non tanto per il "trabiccolo", quanto perché una volta tanto, si progetta un trabiccolo e loro non sono nella gara degli appalti.
Appalti che se vanno come per gli aiuti umanitari, ai paesi africani (destinatari ultimi di questo prodigio di tecnologia), faranno giri ben contorti, per finanziare come al solito qualche signorotto della guerra.
L'unica cosa che non è mai finta, in queste dichiarazioni entusiastiche, sono i soldi che si muovono.
Cosa? La tecnologia? Quella è come la facciata dell'azienda di prima, si dipinge coi colori di moda.

mercoledì, dicembre 07, 2005

Avere i numeri che contano, difettare nelle parole

Mi chiama al telefono, pochi minuti fa, una gentile signorina, che si presenta con nome e cognome, come dipendente di una prestigiosa università e chiede "vorrei parlare con il contact manager della vostra azienda".
Alla mia risposta che la suddetta azienda è composta solo dal sottoscritto, si è defilata rapidamente.
Meglio così: almeno non è finita della lunga lista di chi, trovando il mio numero sulle Pagine Gialle, cerca di vendermi merci e servizi d'ogni genere.

E' da notare come il progresso crei inutili mostri linguistici. Suppongo che il contact manager fosse il direttore delle risorse umane, in lingua italiana.
Certo sono più parole da dire. Fanno anche meno impressione, visto che ormai se non si lanciano espressioni in inglese (in qualsiasi ambito) si viene visti come poco proiettati verso il mondo.

Quel che trovo decisamente ridicolo è l'uso spropositato fuori dal contesto.
Io che lavoro in un settore altamente tecnologico, uso quotidianamente decine di vocaboli inglesi, ma esclusivamente quando sono in contatto con chi hanno senso: quando so cioè che sono compresi al volo da più persone, abbreviando altre spiegazioni.

Vedendo gli annunci di lavoro, sui quotidiani, si scende ancor più nel patetico.
Ogni professione dev'essere espressa in inglese, per cercare di dare un'aria di prestigio a chi ne offre l'impiego, probabilmente più che per chi aspira a occuparlo.

Il mio giudizio finale - e dopo di questo tutto il mondo scomparirà, of course - è che l'effetto sortito sia esattamente contrario, per chi ascolta, legge, e ha un po' di cultura.
Qualcuno che ricorre all'inglese (fuori da un contesto rigido), per esprimere un concetto già esistente nella propria lingua, non denota padronanza dell'inglese, ma palese ignoranza della propria lingua.
All'Università di Pisa hanno i numeri, difettano solo nel linguaggio.

sabato, dicembre 03, 2005

Libero arbitrio

Leggo che il pontefice si pronuncia sul farmaco abortivo Ru486, con le parole "uso arbitrario del progresso".
Chissà perché, ma quando l'ho letto ho pensato alla sua immagine che monopolizza televisione e giornali. Considerando i mezzi di comunicazione come simbolo del progresso, l'uso arbitrario non può che essere una loro monopolizzazione da parte di un solo soggetto.
Il cacciatore che cade nella propria trappola.
Peccato (e non nel senso religioso) che nessuno se ne accorga.

Chissà qual è la sua interpretazione delle parole libero arbitrio, che se non vado errato sono citate in alcuni testi che lui considera sacri, per cui dovrebbe seguirli attentamente -- ad esempio, io che li considero semplicemente un retaggio di cultura e folclore, non sono costretto a farlo.

Avete mai notato come in fondo le notizie più coinvolgenti sono sempre sbandierate da un solo lato?
Non si è (quasi) mai letto un articolo da prima pagina, di tanta incisività, sul lato opposto. Non si apre la comunicazione col lettore dicendogli che la prima cosa a smuovere le acque è positiva.

Se questo signore, vestito di bianco, vuole raccontarci la sua visione, deve senz'altro essere libero di farlo.
Ma se vuole fare comizi, li faccia cortesemente per il solo pubblico che sceglie di ascoltarlo.
Non credo che sia neppure favorevole a questo risvolto del progresso. Quello in cui l'universo non gli ruota più attorno, come nella favola tolemaica.

Palle

Se c'è uno sport che mi ha sempre lasciato dubbioso, e progressivamente intollerante, è sicuramente il calcio.
Dal minimo interesse che ne provavo da piccolo, perché fra bambini era convenzione avere una squadra per cui tifare, sono passato a non sopportarlo proprio.

E' interessante notare come gli interessi economici abbiano imbastito, fin dall'educazione dei piccoli, una struttura completa e asfissiante. Ci sono tutti gli altri sport, a livello nazionale, certo: ma la quota di quanto viene investito, in educazione e denaro, non può che essere risibile.
Un meccanismo, sia diretto che subdolo, porta ad accentrare tutti gli interessi nazionali sul fenomeno e i suoi divi.

Oltre al divismo, alla monopolizzazione dei programmi sportivi in televisione, periodicamente rispunta l'emergenza violenza.
Sembra infatti che insieme all'interesse nazionale per lo sport, sia stato macchinato anche un metodo per concentrare in luoghi e tempi ben definiti ogni sentimento violento. La discriminazione razziale, l'Italia del nord e del sud, tutti i campanilismi, sono ottimi pretesti per impegnare chi vuol sfogare violenza imprecisata.
Aldilà di questo fenomeno (che sicuramente impegnerà qualche altra mia pubblicazione), c'è però un altro fatto.

Pare che invece nessuno si accorga dell'ipocrisia di chi controlla il calcio e la politica.
Ad ogni evento violento seguono reazioni di forte indignazione da parte di amministratori di società, sindaci, procure, ministeri. Si annunciano durissimi giri di vite, provvedimenti straordinari.
Che solitamente appaiono tali solo a chi segue il calcio come spettatore di uno sport.
Per gli altri, che cercano solo sfogo a disagio sociale, che non hanno avuto educazione diversa, non hanno alcun peso le regole. Non è un deterrente sufficiente la forte indignazione.
Così come non lo sono i giri di vite, in una nazione dove neppure i più banali delitti vengono spesso impediti o puniti.

Dopo un esempio di scontri fra polizia e ultras avvenuto di recente a Firenze, leggo un articolo di giornale al proposito. E la farisaica legge dello sport pulito non manca di colpire -- ma non di stupire chi come me è disilluso.
Leggo, uno degli ultras arrestati è stato condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, poi a decrescere: con sospensione della pena, e non menzione della stessa. L'unica cosa sorprendente della notizia è che non gli sia stato anche regalato un panettone con bottiglia di spumante, visto che siamo ormai a dicembre.
Pena ben diversa gli sarebbe toccata se avesse lanciato un cavalletto fotografico in alluminio a qualche personaggio politico.
Ecco a cosa serve il calcio: a farci capire che una spranga di ferro in testa a un poliziotto è invero assai leggera.
In politica, il peso specifico diventa opinabile.

Leggo infine che l'amministratore di una squadra di calcio e un sindaco ci raccontano di essere fortemente indignati. Anzi, pronti a soluzioni drastiche.
Voi ci credete davvero? Hanno credibilità queste due persone?
Palle.

domenica, novembre 27, 2005

Fedeli alla linea

Ho visitato un nuovo centro commerciale qui vicino, non tanto per la frenesia degli acquisti -- i miei acquisti sono stati numero due (2) bottiglie di birra, il massimo svago che posso permettermi, in una settimana di questi tempi.
Forse neppure per farmi emozionare da nuovi prodotti o negozi.
Ci sono andato soprattutto perché essendo a un quarto d'ora di cammino, avevo un buon pretesto per una camminata, anche in una piovosa domenica.

Nel negozio di elettronica (ora pare si chiamino così) del centro commerciale, mi è saltato all'occhio un prodotto che giudico significativo.
Significativo degli istinti maniacali, così come della speculazione commerciale di queste psicosi.
Lo potete trovare anche sul negozio italiano di Apple, come custodia per iPod. Consistente di numero sei (6) calze, di colori diversi, ma di fattura esattamente uguale all'indumento in cui s'infilano i piedi umani.
Alla modica cifra di 29,90 euro (ma solo 29,00 dal negozio on-line).
Se faccio il paragone di 6 calze diviso 2, ottengo tre paia di calzini -- suppur troppo piccoli per la mia taglia 11 1/2 - 12.

Va da sé che un paio di calze qualsiasi non porta un'etichetta con il brand, il marchio prestigioso del suddetto produttore.
E' interessante notare come ci siano produttori molto legati al branding, all'applicazione del loro marchio su ogni cosa.
La mia impressione è che non vendano un prodotto, ma un'ideologia. Dove non sono riusciti i santoni e predicatori televisivi, dalle TV americane, ha fatto presa la tecnologia.
Così il branding parte dall'oggetto ingenuamente acquisito, si propaga per ogni suo accessorio, per fermarsi solo quando anche l'acquirente è stato reso parte del marchio, assimilato. Pare di vedere un episodio di Star Trek, con la devastante razza aliena dei Borg.

E bravo Steve Jobs, anche non è riuscito nell'impresa di trasformare in oro tutto quel che toccava nella sua "prima repubblica" -- nella prima epoca Apple/Macintosh.
Ma di ritorno (era stato cacciato dall'azienda da lui fondata), il nuovo re Mida, è riuscito perlomeno a trasmutare in un marchietto Apple ogni cosa toccata dai suoi prodotti.
Consumatori inclusi.

sabato, novembre 26, 2005

Giornate contro

Ci sono questi eventi, come l'odierna giornata contro il consumismo (il buy nothing day), che passano normalmente inosservati.
Sono talmente fuori dal coro che vengono obliati con estrema facilità.

Ancora meno successo deve riscuotere l'iniziativa contro il consumismo natalizio, visto che gli acquisti (e i debiti contratti) sono l'unico metodo di crescita che quest'economia vede possibile.
Significativo è il messaggio del poster che a lato di un'icona raffigurante un cristo, recita "Dove ho detto che dovevate comprare così tanta roba per festeggiare il mio compleanno?".

Devo dire che per me è stato particolarmente semplice onorare il buy nothing day, visto il mio attuale stato d'indigenza.
Sarei anche facilmente zelante verso il buy nothing christmas, visto che non onoro la festività commerciale al pari di quella religiosa.

E non sempre sono "gli altri" a impedire i messaggi delle giornate contro. Talvolta non sono chiare neppure a chi le proclama.
Come esempio, ad oggi 26 novembre, sul sito di ONU italia non c'è neppure un riferimento alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne (del 23 novembre), neppure negli archivi. Se vi chiedete chi l'abbia proclamata, beh, forse conviene cercarla sulla pagina internazionale delle nazioni unite.

Una ricerca con Google sbandiera una gran varietà di giornate contro.
Chissà quante di queste passano inosservate. Chissà poi quante sortono un qualsivoglia effetto.

venerdì, novembre 25, 2005

Scioperi utili

Pare ci sia un po' di bagarre nel mondo politico italiano, in proposito allo sciopero di oggi.
Eppure il capo del governo, dicendo che si è trattato di uno sciopero "assolutamente inutile", aveva in mente qualcosa di realistico.
Mi ci vorranno un po' di parole, ma posso dimostrare che quest'ennesima palata di fango ha delle basi.

Sono ormai anni, fin dall'insediamento di quel governo, che ad ogni occasione c'è chi si spreca in anticipazioni della sua ormai prossima caduta.
Che non avviene mai, per un motivo ben preciso: siamo in Italia.

Siamo nel paese dove ogni fenomeno che altrove sarebbe ripugnante, offensivo per i cittadini, diventa accettato.
Le proteste, che la gente potrebbe attuare nelle giuste sedi (come in quella elettorale), si annacquano, si stemperano, si confondono.
Tutto finisce nel dimenticatoio dell'italianità, la tanto vantata arte dell'arrangiarsi. Quella per cui non si cerca di cambiare un fenomeno orrido e dilagante, ma se si protrae a lungo ci si arrangia nell'adattarsi.
Se nasce ad esempio una legge che inasprisce (o impone) delle sanzioni inique, sanno già tutti che non serve cancellarla, abolirla. Basta adattarsi, aspettare che cada nel dimenticatoio, perché è così che va la legislatura italiana. Molte leggi finiscono per essere pian piano dimenticate, usate sempre meno, per cui chiunque contravvenga sa che il rischio è solo una flebile statistica.
Gl'italiani sanno che c'è sempre una scappatoia all'onestà.

Lo sciopero era inutile perché non avrebbe fermato l'iter di chi impersona il menefreghismo più puro.
Colui che sa come riprendere voti alle prossime elezioni, raccontando un paio di barzellette o di storie turpi sugli avversari.
Perché sa che anche le tante brutte leggi che ha favorito servono saltuariamente, non sempre.
Così vale per quest'ultima, in materia di finanza statale: ci sarà tempo per dimenticarla.

Anche un perfetto incompetente, che abbia la possibilità di governare un paese come questo, non può che accorgersi come la base più solida della nazione è una massa d'idioti. Difficile non avere la tentazione di sfruttarla a proprio piacimento.

Ma allora perché si sciopera?
La domanda mi sembra lecita. E sicuramente la prima risposta non è così spesso "per lamentarsi verso chi comanda", data la premessa di prima, sul totale disinteresse di chi comanda.
La prima risposta non può che essere "per svegliare dal torpore gli altri, succubi".
Ma anche questo è impegnativo. La propaganda vuole dimostrare che ogni sciopero si divide in due categorie. La prima è quella degli scioperi non seguiti, a cui partecipano in pochi.
La seconda è quella degli scioperi inutili -- a cui ci fanno sapere appartenga l'ultimo.

Chissà se nessuno ne avrà memoria, fra qualche mese, una volta disinnescati gli articoli di giornale, bombe (di) carta dell'informazione. Non nel senso esplosivo, ma che al solito producono al massimo il botto di un sacchetto di carta, gonfiato soffiandoci dentro.

Amore e sofferenza

Ogni tanto inseguo i collegamenti in rete che si rincorrono, e quando non lo fanno da soli ne invento io le connessioni.
Da una frase in guisa di aforisma, ricercando il personaggio, che conoscevo di nome da tempo sono giunto a un paio di frasi interessanti. La prima era questa:
"People have a hard time letting go of their suffering. Out of a fear of the unknown, they prefer suffering that is familiar.", Thich Nhat Hanh

Mi permetto una traduzione in "La gente ha difficoltà a lasciare le loro sofferenze. Prima della paura dello sconosciuto preferiscono soffrire qualcosa che è familiare".
Thich Nhat Hanh cita Antoine de St. Exupéry, seppure racconti anche come sia facilmente interpretabile in modo meno nobile:
"To love each other is not just to sit there looking at each other but to look together in the same direction."
Che suona più o meno come "Amarsi l'un l'altro non è soltanto sedere a guardarsi, ma guardare insieme nella stessa direzione".


martedì, novembre 22, 2005

Biechi ecologismi

Quello dell'ecologismo nominato invano è un tema che sicuramente citerò con ricorrenza su queste pagine, o così mi suggeriscono gli eccessi distorti che leggo spesso.

Il primo fatto innegabile per chiunque viva, e veda il mondo intorno a sé, è che di quasi tutti i dati oggettivi (riguardo qualsiasi argomento) se ne vedono sempre rappresentazioni che cercano di distorcerli.
Ci sono però oggettività che sorprendono per l'ipocrisia con cui viene tentata la distorsione.
Non so è solo una mia impressione, ma ne ho la forte sensazione leggendo un test compilato dal WWF francese sulle automobili più ecologiche.
Scorro la classifica delle compatte e scopro che Mercedes A160 è al secondo posto, con un punteggio migliore rispetto al terzo posto della Ford Focus. Quali vantaggi avrà? Me lo chiedo con curiosità, scorro i dati e scopro che il modello Mercedes consuma l'8% in più di gasolio, ha emissioni di CO2 superiori dell'8%, costa 250 euro in più (e tralascerò che ha una motorizzazione meno potente, in fondo non è un parametro ecologico).
Ah ecco, il modello Ford genera un rumore di 72 dB, ben 2 dB in più -- da notare che la capacità uditiva umana è piuttosto non lineare, ma normalmente impedisce di percepire differenze sotto i 3 dB.

Quindi mi viene solo da pensare che Mercedes offra al WWF francese sostegni economici migliori, evidentemente anche di molto, per riuscire a far classificare meglio un'automobile che inquina di più, consuma di più, costa di più ed ha come pregio di essere meno rumorosa di una quantità impercettibile.
O forse qualcuno vorrà spiegarmi cortesemente il perché, visto che dalla scienza dei numeri non lo capisco.
Beninteso: non ho favoritismi o acidità verso nessuna delle due case automobilistiche, ho solo letto dei numeri. Anzi, potrei avere più antipatia proprio per il gruppo Ford/GM, visto come hanno condizionato il mondo -- vi siete mai chiesti come mai in un paese grande come gli USA ci siano enormemente meno treni che bus?

Torno a raccontare di Firenze, per non perdere un'abitudine.
La città risulta tragicamente nelle ultime posizioni della classifica italiana sulla respirabilità dell'aria -- lo leggo oggi da un quotidiano.
Per non dire poi che l'azienda dei trasporti pubblici (leggi autobus) è vicina alla bancarotta, con una perdita di 27mila euro al giorno.
Cos'è che porta un 4% dei cittadini a lasciare nell'ultimo anno l'autobus per l'auto privata?

La domanda me la pongo da profano, non essendo né un guru dell'ecologia, né un esperto di trasporti.
Tristemente, pare che neppure quelle due categorie di persone se la pongano.
La proposta di Legambiente è penalizzare il traffico delle auto private. Non so come lo leggiate voi, ma io lo traduco come "tasse" e "imposte".
E come vorrei sbagliare, ma faccio un'ipotesi: e se nessuno migliora i trasporti (oppure fa solo un'operazione di facciata) e la gente non si disabitua dall'uso dell'auto propria (per il traffico cittadino) che succede?
Fatemi indovinare: il Comune recupera i soldi che lo stato non gli sovvenziona più? Bingo.
Non sarei sorpreso se Legambiente litigasse ogni mattina con l'assessore al traffico, per poi cenarci insieme a salumi e formaggi alla sera.
Ma i sostenitori dell'uno o dell'altro, che ne pensano? E i cittadini?

venerdì, novembre 18, 2005

Free as in freedom

Con queste parole esordisce un motto di Richard M. Stallman, acclamato sostenitore del software libero, come lo definiscono lui e i suoi proseliti.
Per chi abbia mai letto le licenze che applica a quel che definisce libero, o peggio letto interviste fatte a lui di persona, non può apparire molto diverso da tanti altri predicatori televisivi americani.
Sì, quelli che ti dicono di essere libero grazie a qualche dio, che quindi devi adorare in ringraziamento, per averti reso libero -- di essere suo schiavo.

Così si sviluppa la licenza di usare il software libero.
Sì, libero, ma solo di fare quello che c'è scritto. Pare un rigurgito nel ventunesimo secolo degli hippies anni '60, liberi di essere schiavi degli allucinogeni.

Prima dimostrazione dell'incongruenza: la licenza GPL, di cui tanti si vantano sostenitori, ha dovuto in primis permettere l'esistenza di una licenza LGPL. Insomma la prima viene decretata per "software libero", ma sfortunatamente è solo una proposizione fittizia.
Quella che definirei più propriamente demagogia.
In fondo la gente non ha bisogno di libertà, ha bisogno di sentirsi dire che è libera. Questo ripaga più del peso di qualsiasi libertà.

Non avrai altro licenza oltre me stessa, questo propone, senza mezzi termini, la GPL.
Ricalca fedelmente l'arroganza religiosa di una nota divinità, osannata qui in Italia, ma mai idolatrata quanto nel paese dell'estremismo religioso. Che non a caso genera fenomenologie non assoggettabili ad esegesi, quale il software di Stallman.
O quello di Larry Wall, altro apostata del software, che descrive il suo software (ormai d'uso mondiale) in dei manualetti che nominano i capitoli come scritti biblici.
Dietro al nuovo, c'è molto vecchio. Pare la storia infinita di una nazione nata nel terrore e nell'odio, da esuli eretici, che per consolidare la propria posizione di prediletti da dio hanno prima sterminato gli indigeni, e poi alzato il dito al cielo. "Lui, con noi".

Pare un salto grande, un'iperbole inutile. Ma basta fermarsi a vedere quali sono le "ragioni" che adduce alle proprie scelte.
Le rappresentazioni iconoclaste del software commerciale, appaiate alle santificazioni dei nuovi profeti. Piccoli personaggi come Linus Torvalds, democraticamente eletto dittatore benevolo del mondo nuovo.
Senza che siano diversi dal classico William Gates, se si tralasciano i soldi. Certo i soldi sono tanti, ma del resto c'è sempre chi vuole raccontarci che siano insignificanti.
Così, ironicamente, i due personaggi non sono troppo dissimili. Dittatori di due mondi diversi, visionari completamente sconnessi dal mondo reale -- basta leggersi una qualsiasi intervista a Gates di qualche anno fa, oppure le direttive di Torvalds su come si scrive il software, dove bolla come "eretici" coloro che non seguono il suo metodo.

False as in freedom. Mi sembra più adeguato.

Perché non adottare una licenza come quella BSD, per il software libero?
Forse perché la libertà sarebbe stata vera. E come in ogni epoca, la libertà deve essere concessa solo come speranza, oppure come promessa. Basta vedere quel che è successo di tutti i paesi dichiaratisi socialisti o comunisti: perlomeno le nazioni di stampo fascista hanno sempre mantenuto i loro principi in modo coerente, basandosi su repressione e violenza, puntualmente attuate.

Una delle fortune di essere ateo è di non doversi schierare né con dio né col diavolo.
E distinguerli, nel mondo del software, è sempre un sottile filosofeggiare, come in ogni religione che si dica tale.

giovedì, novembre 17, 2005

Libera chiesa in misero stato

Non mi sorprende l'interpretazione in sede di applicazione del nuovo decreto sulla riforma scolastica.
Del resto era un'altra notizia recente che fossero stati assunti 15mila insegnanti di religione dal ministero della pubblica istruzione, col solito metodo incongruo, per cui vengono assunti (seppure non potrebbero esserlo) e poi siccome non potevano esserlo non sono più licenziabili (e quindi gli unici insegnanti assunti solo come non-precari).

La scuola italiana riprende quindi il suo corso più rigidamente catechizzato, con la religione fra le materie obbligatorie.
La geografia invece viene abolita ufficialmente in molti licei.
L'ingresso alle università diviene infine libero solo a chi ha frequentato licei classici (neppure i licei scientifici si salvano).

Pare che il prototipo dell'universitario del futuro venga costruito con la sicurezza degli insegnamenti a cui dovrà essere educato, religione cattolica (perché a quanto mi risulta rimane l'unico insegnamento religioso, in pratica), con meno conoscenze possibile sul resto del mondo, d'istruzione classica (evitando qualsiasi riferimento al mondo moderno?).

Come dicevo dall'inizio, non mi sorprende questa restaurazione, così come non sorprenderebbe il reinstaurarsi dei tribunali dell'inquisizione -- e le nuove modifiche alla Costituzione sembrano appunto indirizzarsi in questo senso.
Del resto, in un paese democratico, dove il popolo non partecipa, mi appare naturale il ritorno all'oligarchia.
Come dire: se gl'italiani non pensano, se sono esserini completamente insignificanti, è un peccato, ma tant'è.

Mi chiedo piuttosto un'altra cosa.
Supponiamo che alle prossime elezioni il paese cambi rotta. Molti lo danno per scontato, visti i disagi in cui versa la nazione, ma io non ne sono così convinto: il livello di anestesia è tale per cui la gente si sveglia a malapena con le bombe.
Dicevo, supponiamo che la corrente opposizione diventi predominante nel paese.
Siamo così sicuri che cambieranno quel che di peggio è stato fatto negli ultimi anni?
Ne avranno capacità e desiderio?
Annotatevi bene quello che succede di disastroso nel paese, vediamo come va con la prossima legislatura, il percorso è sicuramente lungo -- un altro motivo per cui non cambiare quello che fa fare fatica ed ormai è già obliato.

martedì, novembre 15, 2005

Potenza di una pillola

Con l'adozione della pillola abortiva Ru486 in sempre più regioni d'Italia, s'è scatenata la (vecchia) polemica sul significato dell'aborto ed altri fatti collaterali.
Politici e religiosi, contrari alla scelta sull'aborto, partono periodicamente all'attacco di questo diritto, sancito con tanto di referendum popolare.
Non si capisce mai bene se sperano in una dimenticanza di questo significato: del fatto che la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza è stata scelta dalla maggioranza della popolazione, con un singolo e chiaro quesito.

L'intervento che mi ha fatto sorridere, letto nel virgolettato di un quotidiano, è quello di un cardinale, che sembra aver detto "non possiamo pensare di buttare via la vita umana con una pasticca".
Il sorriso mi viene sempre spontaneo, quando l'ipocrisia cade nel ridicolo.
Forse pensava che servisse almeno una pallottola. Magari consacrata dal sempre più abusato "Dio è con noi".
Che nessuno gli tolga la possibilità di esprimere un'opinione. Ma perché questo signore, come altri suoi confratelli, non leva mai la voce così forte per condannare chi invece si fa scudo della sua fede per scatenare guerre?
Se proprio non può farlo per tutte le guerre, che nel mondo son tante, potrebbe almeno farlo quando sono perpetrate in modo recidivo.
Per una guerra invece si legge al massimo "disapprovazione" e "sdegno", con un paio di parole la polemica si acquieta.
Perché le guerre sono sempre in mano ai poteri forti, meglio non competere con loro.

Quello che questo signore invece sa bene, è che il suo carisma è legato ad alcune ritualità, erose dai tempi moderni.
La rivoluzione sessuale, descritta e attuata negli anni '60 e '70, ha ad esempio consumato l'immagine della famiglia dentro i rigidi schemi cattolici. E' ormai immagine di cartolina sbiadita, quella della procreazione sotto lo stretto controllo della chiesa.

Di tutti i misteri, un paio sono sempre stati il piatto forte di tutte le religioni: quello della vita e quello della morte.
Dare la vita, senza prima chiedere l'intercessione divina, fa crollare un pilastro del potere ecumenico. Figurarsi il darla e toglierla prima ancora che questa esista.
Come dire: stavolta la scienza ha fornito un pretesto alla religione. Se la cultura scientifica fosse rimasta come se l'immaginava chi ha scritto i precetti cristiani, non avrebbero neppure saputo come nasce una vita. Ora che lo sanno cercano di mettere la bandierina di possesso.

D'altra parte, è stato ben chiaro fin dall'antichità che togliere la vita è assai più rapido, per cui la posizione di vantaggio era di regolare il come.
Meglio avere un assassino come alleato, che come nemico. Almeno può togliere la vita con l'unica concessione in regola, quella che viene da chi si occupa di vita e di morte.
E in fondo, i morti passano, ma la brutta figura di non avere più potere sulla vita o sulla morte rimane: meglio evitarsela.

Potere in pillole: che brutto rischio, se per decidere di non dare alla luce una vita non serve più un rappresentante del potere, quel potere che finora ha influenzato sempre l'idea di vita e di morte.

Ma saltiamo ad un altro argomento.
Nelle parole dei porporati non c'è alcun interesse per la donna che abortisce. Non ha alcuna importanza religiosa o politica (se ancora ci fosse differenza) la scelta più o meno difficile di questa donna.
Il terrore è una società che possa rendersi conto di non aver bisogno di loro.
E per il potere, per non perderlo, si fa del tutto. Forse la frase, pensata e non detta, era un po' diversa: "Non possiamo pensare di buttare via un potere secolare per una pasticca!".

domenica, novembre 13, 2005

Selezione naturale

Leggendo del tragico epilogo di una corsa clandestina, con un giovane morto ed uno gravemente ferito, mi viene conforto dal vedere che ogni tanto funziona ancora la selezione naturale.
Sfortunatamente non capita così spesso, abbiamo sviluppato troppi antidoti alla vita, che passano dalle droghe, agli antidepressivi o perfino giù fino ai banali antidolorifici.
Ovvio che io mi riferisca agli abusi: l'antidolorifico saltuario, per chi ha un malessere realmente fisico, assume un significato diverso rispetto a chi cerca di confortare un disagio psichico. Che sicuramente può essere curato a sua volta, ma sotto l'occhio di un buon medico o terapeuta.

L'unica cura che potrebbe curare senza danni nel "fai da te" è forse l'omeopatia, che non curando niente a livello fisico, si può interpretare come un costoso placebo: se funziona tanto meglio, se non funziona è già ben conosciuto il perché.
Non si libera però del tutto dalla pericolosità dei farmaci, perché così come scientificamente non cura alcunché a livello fisico, potrebbe però indurre psicosi da farmaco -- penso ad un paziente che si convinca non solo di essere curato, ma di diventarne dipendente.

Gli stupefacenti hanno invece effetti di ogni sorta, tranne quello di rimuovere la spinta prima che porta ad assumerli.
Magari vengono presi per ansia, depressione, miste a una serie di scompensi in ambito sociale (voglia di estraniarsi, così come desiderii di essere accettati in un gruppo o da singole persone).
Finiscono poi per avere effetti collaterali forti e meno controllati, rispetto ad un farmaco. Dipendenza, assuefazione, sono i primi a cui si pensa. Poi seguono quelli della tossicità degli agenti primari, seguita da quella non indifferente di agenti secondari, dovuti alla rozzezza della lavorazione che li produce.
Non sorprende che chi ne fa uso cerchi poi di giustificare la propria scelta. La prima motivazione è forse fra il "volersi assicurare divertimento" e il "ribellarsi al sistema (che li vieta)".

Il divertimento ad ogni costo è la misura di quanta percezione sia stata persa, nel tempo.
Si assottiglia sempre più la quantità di persone capace di gustare il proprio vivere, come una giornata di sole, un buon cibo, o anche una buona lettura.
Ormai nel distacco dalle sensazioni ogni cosa dev'essere estrema, per fornire un piacere minimo. La giornata di sole deve diventare al minimo un'abbronzatura ustionante. Il buon cibo deve essere un'indigestione. La buona lettura sparisce, in quanto il suo eccesso non riesce più a stimolare.

La ribellione al sistema diventa essa stessa un nuovo sistema, che non oppone cambiamenti costruttivi. Anzi, non cambia proprio niente. Diventando troppo spesso solo l'esternazione di un disagio, con manifesta incapacità di offrire cambiamenti utili.
Fortuna che qualche volta (seppure poche volte, rispetto a cosa combinerebbe la natura con altre specie animali) c'è la selezione naturale.
Ma forse sono completamente sulla strada sbagliata: quello che la specie umana riesce a fare è anche di rendere desiderabili d'imitazione i gesti più stupidi.

Splendori e miserie

Fra i vari manifesti pubblicitari, sparsi per le città, mi sono ritrovato a pensare ad una frase, apparsa come slogan. Una proposizione che propone un partito politico, come entità di grande rilevanza, per quello che viene definito "un grande paese" (l'Italia, nello specifico del messaggio).

In verità non mi ha colpito per l'origine del messaggio, né per il vago richiamo ad un "credere obbedire combattere" di nuova concezione -- già il primo verbo sarebbe scomodo, oggigiorno.

Pensavo piuttosto alla concezione di "grande paese", e a cosa possa veramente riferirsi, nei fatti.
Certo non alla geografia. Anche se la recente riforma scolastica ha confermato che non si debba più insegnare in molti licei, non credo che sia un'affermazione fondata sulla superficie in chilometri quadrati.
Sicuramente aiuta, con maggiore ignoranza sul resto mondo sarà sempre più facile convincere gl'italiani di essere in una grande nazione.
Visto che la geografia tratta anche temi come l'economia, lo sviluppo industriale, la qualità della vita, è ovvio che nascondere questi temi, in Italia, faccia fare una miglior figura.

Un dato di fatto mi sembra pervenire dall'aver avuto grandi donne e uomini, nella storia della nazione. Dal punto di vista artistico, letterario, scientifico, e perché no, magari anche politico.
Sicuramente è successo, nei tempi passati, se non nei tempi antichi.
Ma di tutta quella cultura di un tempo, che ha fatto diventare ciò che erano Da Vinci, Brunelleschi, Alighieri, Petrarca, e tanti altri, di quelle capacità cos'è rimasto oggi?
Non mi pare sia rimasto granché. O meglio, chiunque faccia appello a quella cultura antica per parlare di un grande paese (per pura demagogia) è invero meschino. Cerca di appianare il nulla culturale a cui si è pervenuti, citando una fantomatica, quanto falsa, grande nazione.

Cosa dite? Che in Italia in fondo c'è ancora chi fa cultura?
Vero, verissimo. E magari sono in tanti. Solo che in perfetta antitesi con i tempi antichi, in cui un artista veniva foraggiato da uomini potenti, che speravano nell'immagine riflessa, oggi va esattamente al contrario.
La cultura viene in primis censurata, cancellata, ostacolata. Ne sono una dimostrazione lampante la recente riforma scolastica, o la riduzione delle sovvenzioni statali a cultura e spettacolo.

Appare quindi evidente che quel grande paese citato non è neppure nella cultura.
Ma allora, cosa rimane?

La grandezza di cui parla quella frase in realtà non esiste. Ma non perché non possa esistere: non esiste perché non deve esistere.
Se esistesse poi sarebbe necessario sostenere i suoi alti e bassi. Spiegarla alla gente, giustificarla. Troppo daffare, per chi si occupa solo di politica, ed ha ben capito che ruota tutto solo intorno alla pastorizia. Il cittadino? E' parte di un gregge da accudire, instradare, mungere e tosare. Basta.
Non gli si dica poi che l'unica cosa grande che ha è il gregge in cui si trova.

venerdì, novembre 11, 2005

Come s'illumina il nostro mondo

Un cambiamento a cui penso spesso, che deve aver sconvolto non solo le culture, ma anche la nostra biologia, è la luce elettrica.
Più si va indietro nel tempo, più i nostri antenati erano legati a ritmi di vita estremamente ridotti in inverno (perlomeno ad una certa distanza dall'equatore). Svanita la luce solare c'era ben poco da fare per l'uomo della pietra.
Anche i vari metodi per illuminare, partendo dal fuoco, non erano poi di grande efficienza. Consumare olio, cera o altri combustibili naturali, era magari anche poco economico, se proprio non c'era un motivo specifico per far luce.

Adesso invece abbiamo la comodità di un bene invisibile come l'elettricità, che materializziamo premendo un interruttore, senza neppure pensare più a tutto quello che c'è dietro la sua produzione.
E' assodato che esista, che sia lì.

Forse non ha cambiato tantissimo il mondo neppure l'illuminazione a gas, di alcune grandi città, nei secoli scorsi.
Sì, magari ha migliorato lo stile di vita delle città, ma non credo che sia entrato così tanto nelle case, nelle fabbriche, negli uffici.

E sia la luce: il nostro ritmo circadiano è diventato improvvisamente inadeguato. Ci siamo accorti che si poteva lavorare in piena notte, meglio che nell'ottocento.
La quantità di luce di una notte, grazie all'elettricità, diventa in qualche luogo anche più generosa che di giorno, in un grigio inverno.
Ma che è successo dell'umanità strapazzata da questo nuovo e facile modo di non avere più la notte?

Frasi d'effetto

Giorni fa dissertavo sul termine democrazia ed oggi, visitando un sito web che non posso citare (perché cambia continuamente la pagina principale), ho trovato questa perla
La democrazia è un mezzo che assicura di non essere governati meglio di quanto meritiamo - G. B. Shaw
Condensa benissimo, no?

lunedì, novembre 07, 2005

Quanto costa educare

Sul numero 920 de Il Venerdì, la rivista allegata settimanalmente al quotidiano La Repubblica, ho trovato un articoletto perlopiù fotografico, sui gesti poco consoni da parte di personaggi politici.
Soprattutto corna, con indice e mignolo alzati, scaramantiche o denigratorie -- non riesco a vederle scherzose, da parte di chi dovrebbe mantenere un certo decoro, come figura istituzionale.

L'immagine a mio parere più indecorosa, fra quelle ritratte, è della deputata Daniela Santanché, che alle manifestazioni di studenti e ricercatori universitari, davanti a Montecitorio, ha risposto con un sorriso beffardo e il dito medio alzato.

Va riconosciuto che non tutti si possono permettere, culturalmente, di comunicare con gestualità meno rozza.
Cerco sempre di avere molta comprensione per chi è stato limitato dalle possibilità educative, da un ambiente che non forniva possibilità di crescita. Per quanto alcune persone ci si presentino in modo offensivo, si deve sempre cercare di comprendere quali sono i loro limiti.
E se non c'è compassione, perlomeno non ti curar di loro ma guarda e passa.

Ora la faccenda è decisamente diversa per chi copre cariche pubbliche, chi rappresenta qualcosa di più della propria ignoranza.
Chissà, forse gli elettori della signora Santanchè amano quel tipo d'interazione, e lei s'è sentita amichevolmente vicina alla folla, suggerendo come potevano usare quel dito. Oppure voleva dirci che quando lei sente il bisogno di protestare usa quello, come ansiolitico.
Spero soprattutto che la fotografia non sia sfuggita alla maggioranza dei suoi elettori, gli altri si sa, potrebbero semplicemente strumentalizzarla. Suppongo che possa dare interessanti spunti di riflessione, a chi l'ha proposta per la carica che ricopre.

Ho pensato anche ai paesi stranieri in cui un politico non si sognerebbe mai di sbilanciarsi in cotanta arroganza. Non solo paesi politicamente più civili, ma anche quelli repressivi, sotto aspetti fisici o morali, penso ad un paio di nazioni controllate dall'estremismo religioso, come l'Iran o gli USA.

domenica, novembre 06, 2005

Viabilità cittadina

Visto che avevo espresso un'opinione, non sia mai che mi perda l'occasione di dirne un'altra, pure conflittuale con la prima -- è la fortuna di non scrivere per nessuna testata nazionale.

Se i SUV sono ingombranti, i fuoristrada d'aspetto pericoloso in città, viene da chiedersi per cosa li usino, i loro proprietari.
Ma è ovvio: per affrontare i percorsi più accidentati, sconnessi, pericolosi sotto la pioggia e la neve. In poche parole per il centro cittadino.
Perché nelle città di antiche origini sono ancora presenti pavimentazioni medievali, vuoi per lasciare il fascino di un tempo, vuoi per tagliare le spese sulla manutenzione stradale.
Fate un giro per Firenze, in una serata buia e piovosa magari, dove una selva di cartelli stradali rende il percorso ancor più emozionante del fuoristrada -- non mi sorprendo più di pannelli integrativi che arrivano quasi fino a terra, comunicando in fasi successive che: il traffico è vietato / permesso dalle 19,30 alle 7,30 / solo per gli automezzi con massa a vuoto X / solo se non è una domenica dispari di un mese pari con congiunzione astrale sfavorevole ai tassisti ma solo se non coincide con il mercatino dell'antiquariato ...

Altro che SUV, viene da chiedersi se non comprare un carro armato. Non lo fa nessuno solo perché ci vuol coraggio -- nel saper precorrere i tempi.

Il requisito per il giornalismo

Devo spesso constatare che la professione giornalistica crea spazi d'opinione dove non c'è materia prima, ovvero capacità d'opinione.
Capita ad esempio questo articolo, in relazione all'uso dei pannelli solari, come energia alternativa.
Il titolo riporta "Meno sole c'è più si sfrutta. Paradosso italiano sulle rinnovabili", che non può far pensare di essere derisi dal cretino di turno, che riporta bovinamente un comunicato fornitogli come biada da Legambiente.

Ci racconta che Bolzano e Trento sono all'avanguardia per l'energia solare. Non approfondirà poi sul come e quanto influiscano i contributi provinciali e regionali, per chi s'appresta a questa scelta.
Non ci illumina sul rendimento ridicolo dell'energia solare (anche a latitudini più basse), per cui si può impegnare nel solare solo il Beppe Grillo di turno, col suo cospicuo conto in banca, oppure chi è veramente sicuro di essere aiutato economicamente. Perché la storiella dell'energia solare che puoi rivendere anche all'ENEL è bella, ma i numeri reali sono più difficili da gestire, a sud di Trento.
Giusto gli edifici pubblici possono mettere in mostra applicazioni del genere, visto che se anche non dovessero funzionare c'è garanzia di qualcuno che paga -- probabilmente l'impianto solare, in un appalto pubblico, incide meno della metà delle bustarelle, per cui è accettabile.

Non vi sentite un po' presi in giro dai falsi ambientalismi?
Come le "domeniche ecologiche", in cui si bandisce il traffico da un centro cittadino. Così che gli abitanti del centro possano circolare per una giornata in bici, rilasciando entusiastiche interviste ai media.
Mentre nel frattempo, intorno alla suddetta città, si crea un anello di traffico con livelli d'inquinamento doppi del solito, a causa del blocco.
E non solo. L'amministrazione cittadina si compiace in diretta televisiva dell'aria della propria città -- e ancor più delle proprie casse, in cui piovono soldi governativi, ormai alle strette.
Tutto è idilliaco, lasciando fuori le cose brutte, come le opinioni di qualche esperto, che sa bene come la chiusura del traffico per un giorno o due non cambi assolutamente niente a livello ambientale.
Ma è l'immagine dei nuovi ambientalisti, creare questi finti teatrini per raccogliere consensi, in uno slancio demagogico degno di un proclama di mr. B, quel signore americano che non saprebbe ammettere che il suo paese inquini. Neppure dopo un alfabeto intero di uragani che lo devasta -- visto che annualmente vengono denominati con un'iniziale dall'alfabeto latino, e nel 2005 per la prima volta nella storia son dovuti ricorrere alle lettere dell'alfabeto greco.
Speriamo che il pianeta cambi rotta, fuori dalle bocche piene di parole dei politici dell'ambiente. Prima di arrivare a mr. Z: perché per i dati oggettivi, per la salute globale, non c'è un alfabeto greco a cui ricorrere.

Consigli musicali domenicali

Sto ascoltando il nuovo album di Kate Bush, Aerial, e finora mi pare un ottimo acquisto (è un doppio album).
Kate riesce a mettere in poesia ogni cosa, ed in musica ogni poesia, come in PI dedicata nientemeno che al numero pi-greco, oppure in Mrs. Bartolozzi, che trasmuta in liriche le pulizie di casa, per finire a osservare la lavatrice che fa girare le camicie, come una finestra sui ricordi.
Atmosfera sognante, la voce di Kate risuona angelica, mentre la sua musica esplora ritmi diversi.
Ogni canzone da ascoltarsi col suo testo e le foto del libretto davanti, parte integrante del processo creativo di Kate, artista sonora, canora, visuale.

Dedicato a chi, ascoltando la canzone A Coral Room, alle parole finali "What do you feel?" ha una risposta da dare. Anche senza parole.

venerdì, novembre 04, 2005

Viabilità straordinaria

In un intervento televisivo ho sentito che grandi città come Roma e Milano stanno pensando di dotarsi di restrizione al traffico per i SUV, gli sport utility vehicle che tanto vanno di moda ultimamente.
Quello che mi ha fatto sorridere non è il provvedimento, che sicuramente ha dei suoi perché, ma il paragone di "restrizioni al traffico come a Firenze, dove in certi orari i SUV non possono transitare".

Giro per Firenze da molti anni, sia in auto, come a piedi e con i mezzi pubblici, almeno un paio di giorni alla settimana, per cui ho una conoscenza minima della città, anche se non vi abito.
L'intervento che destò tanto clamore in realtà era ben diverso dai toni televisivi con cui è stato raccontato.
Anzitutto si applica ai permessi per la zona a traffico limitato, quindi al centro cittadino, limitatamente a chi vi abita -- immagino che non vengano regalati facilmente permessi ad altri.
Da una certa data non sarebbero più stato rinnovati i permessi quindi, fra chi ha possibilità di accesso diurno alla ZTL.
Non vedo così tragico un invito del tipo "se hai un veicolo dal costo di 50 o 60mila euro, che neppure riesce a curvare per le strette vie del centro, senza portarsi dietro pietrisco e arredi urbani, sarebbe il caso ti dotassi di una city car".

Non ho invece mai sentito lamentele per altre norme decisamente più inique -- potrebbe in fondo essere per mia ignoranza.
Un esempio lampante è la zona a traffico limitato, notturna, in estate. O meglio le modalità con cui si applica.
Nella trascorsa estate 2005 la situazione, a mio parere, è caduta dal ridicolo al paradossale.
Anzitutto la zona è stata estesa come area: in alcune aree della città include adesso gli accessi a tutti i parcheggi limitrofi, impedendo quindi di poter entrare per parcheggiare l'automobile.
Se pensate che siano stati potenziati i mezzi pubblici, beh, state peccando d'ingenuità.
La zona è stata estesa pure nella notte, per cui si estende ormai oltre due-tre ore dalla fine delle corse degli autobus.
Ma in fondo, chi vuole andare in giro per Firenze, in estate, non può che essere un nuovo ricco: prenderà un taxi, no? Anche qui c'è una piccola sorpresa, che racconto con un aneddoto.

In una calda nottata d'agosto mi trovo in un bar del centro. E' circa l'una e mezza di notte, e noto una coppia di turisti anglofoni che sta cercando disperatamente di avere un taxi, facendo telefonare dalla cameriera del bar da mezz'ora: non ci sono taxi.
Vorrei quasi dir loro che li accompagno io, ma ricontrollo l'orologio: la mia auto è parcheggiata fuori dalla ZTL, fin dopo le due non posso entrare neppure io.
Li guardo sconsolati avviarsi a piedi, magari devono andare dall'altro lato del centro, attraversando qualche quartiere che durante la notte si riscalda per le polverine che passano sotto al naso, e le coltellate fugaci.
E' una calda nottata d'agosto, ed il provvedimento di blocco notturno del traffico riesce a bloccare solo i pochi turisti che cercano di godere della città, perché tutti gli altri abitanti sono al mare.
E' una calda notte d'agosto, e la città è deserta, fatti salvi gl'immigrati poveri e gli spacciatori.
Ah e non dimentichiamo i vigili urbani, con facce tristissime pure loro, a guardia del traffico inesistente.

Sembra essere un inevitabile destino di ogni città d'arte italiana, rendere ogni cosa difficile per chi la vuol visitare.

Ah, e i taxi? Non c'erano perché sono la lobby più potente della città, decidono in quanti lavorare e quando, perché tanto la richiesta rimane alta anche se non lavorano.
Basta contare che una licenza da tassista costa poche decine di euro, di soldi puliti. Ma il Comune ha bloccato il rilascio di nuove licenze, così per averne una si può solo comprare in nero, a cifre che anni fa erano superiori al costo di un appartamento di 4 vani.
Lo sanno tutti, certi annunci si vedevano pure sui settimanali di annunci economici.

Due o tre anni fa, non ricordo esattamente, un imprenditore aveva anche iniziato ad organizzare un'attività di ciclo-risciò.
Fece tutto quello che si doveva, richiese i permessi, assunse personale. Il Comune negò il permesso all'attività: che avrebbe detto altrimenti la potente corporazione dei conducenti di taxi?
Si arrivò addirittura a dire che una persona che pedala, per altre che siedono dietro, dà un senso di "schiavismo". Anche se la persona che pedala ha scelto il proprio lavoro, ne è felice, ed è ben retribuita. Pure se i passeggeri pagano.
Ed è stato quest'anno che ho letto un articolo sul successo dei ciclo-risciò nelle grandi capitali d'Europa, come mezzo ecologico.

Firenze non è una città enorme, però racchiude un'enormità di tesori d'arte e cultura.
Direi pure che la quantità di tesori è spropositata, rispetto alle capacità percettive della sua popolazione, che ormai crede di aver ereditato qualcosa del Brunelleschi, o di Giotto, per il solo fatto di vivere a Firenze.
Basta vedere quel che viene combinato col traffico, per capire che qualcuno crede davvero d'acquisire cultura per osmosi, vista la grettezza.
Buon per l'Alighieri, che è stato cacciato ed è morto, prima di vedere un peggior scempio di quelli descritti nell'inferno della sua commedia.

Non ci si può pentire della politica

Fare politica è una cosa a cui nessuno di noi può sottrarsi, fin dal mattino quando sceglie con cosa fare colazione o che abiti indossare -- non tanto per il gesto in sé, di tipo privato, ma per le implicazioni sociali che ne seguono, come la preferenza di un marchio o l'immagine che si propone di sé agli altri.
E' evidente che ci sono obbiettivi molto diversi, nel praticare tipi diversi di politica.

Di tanto in tanto sento (o leggo) di un politico italiano, dei tempi recenti, richiamato per nuove polemiche, nonostante sia morto da alcuni anni.
Quello che ricollego sempre è un aneddoto, indimenticabile, avvenuto mentre quest'uomo era sempre in vita.
Era il periodo fra il 1997-98, nei telegiornali appariva spesso l'immagine di Bettino Craxi in Tunisia. In particolare ricordo un giorno, in viaggio di lavoro, a pranzo con dei colleghi, in una trattoria molto popolare, che teneva il televisore acceso sulle ultime notizie.
Alle parole dei cronisti su Craxi, uno dei colleghi, un ex-militare, con altissimo senso dello stato e rigore morale, fece un commento che mi sorprese, per la chiarezza.
Disse più o meno "Io non capisco perché sia necessario parlarne tanto, ha avuto un processo, è stato giudicato colpevole, ha ammesso di essere colpevole: che torni in Italia, sconti la sua pena, se è malato la sconterà in un ospedale".
Un discorso senza una piega. Non so se fu per quello che gli altri commensali non replicarono neppure, o se erano rimasti colpiti come me dalla sintesi.

Le tesi di chi richiama quel personaggio dall'oltretomba sono solitamente a carico di un paio di fattori. Da un lato quello umano, il tentativo di appellarsi alla malattia del condannato -- che di per sé non cambia il giudizio appunto.
Dall'altro quello sul modo tutto italiano di fare politica, la scusante che tutti i politici sono in qualche misura dei lestofanti, e Craxi in questo aveva anche confessato di esserlo -- che in un'utopica società civile si chiama onestà, dovrebbe essere usata da tutti, e in ultima battuta può permettere di confessare una precedente disonestà, per accettarne i carichi.
Quel che di certo è inaccettabile, offensivo per tutti gl'italiani, è che quell'uomo, come presidente del Consiglio, aveva anche giurato fedeltà ad un ordinamento che poi ha violato e cercato di ridicolizzare.

Il simbolo proposto dai suoi sostenitori, quello della vittima con di fronte dei carnefici, è palesemente ridicolo.
Non viene più proposto con convinzione neppure nel populismo giornalistico sui ladri di galline, visti in chiave di "poveri in cerca di sostegno vitale per la propria famiglia". Non è più credibile probabilmente perché ormai la maggior parte della nazione è composta da poveri.

Una distinzione interessante è che sembra essere richiamato come esempio da tutti quelli che con lui han fatto affari sporchi.
Come se stessero cercando di rivalutare l'immagine del proprio passato, trasformandosi da complici (o artefici) della truffa in paladini dell'onestà ultima. Una sorta di assoluzione da tutti i peccati, per la quale non si rivolgono neppure ad un'entità suprema, perché non ne riconoscono alcuna, sopra se stessi.
Eppure neanche questo mi sembra il finale.

Quando si parla di organizzazioni criminali, a larga copertura e impatto su ogni aspetto della società, non si possono dimenticare i fenomeni mafiosi.
Come in ogni organizzazione criminale duratura nel tempo, si creano dei legami fra i suoi componenti, a suo modo un'etica dell'appartenere all'organizzazione stessa. Chi rompe le regole ovviamente viene non solo deprecato, ma condannato fisicamente.
I "pentiti" di mafia, o di altre grandi organizzazioni criminali, finiscono certamente per inimicarsi chi era con loro nel passato, con diretto rischio della propria vita e dei familiari. Insomma, qualunque siano le ragioni, onesti alla fine oppure no, rimane il fatto che da condannati scelgono anche il rischio della vita.

Com'è che la classe politica, di cui tutti riconoscono l'inclinazione alla disonestà (fosse anche solo per le truffe in denaro), non si pente?
Insomma, Craxi è stato l'unico grande pentito di quel meccanismo?
Questo sembra riconoscere alla politica, in quei casi, la capacità di essere più prevaricante, più forte dei criminali che si macchiano di ammazzamenti.
Chissà se un Craxi ancora in vita, potenziale denunciatore di tutti quelli che con lui hanno avuto le mani in pasta, sarebbe stato idolatrato tanto. Probabilmente quelli a cui fa veramente comodo da morto sono proprio loro, i suoi vecchi compagni di merende.

martedì, novembre 01, 2005

Globale

Per quanto io stesso abbia tendenze estremiste (non necessariamente cattive, semplicemente estremiste) sono decisamente contrario agli estremismi.
Quando mi dico estremista intendo anche in quelle espressioni che magari estremizzano il babbo natale che c'è in noi, o anche l'ottimista.
Ogni espressione estrema, secondo il mio pensare, ha un potenziale pericoloso. Chi valuta la pericolosità e chi ne soffre, possono poi essere persone diverse.
S'immagini ad esempio un Buddha che predica felicità, decine milioni di persone che ci credono e la realizzano, con il pericolo di crollo di tutti i governi coinvolti. Migliaia di politici che non riescono più ad essere falsi e credibili allo stesso tempo. Se sono stati tolti di mezzo Martin Luther King e Gandhi, figuriamoci chi ottenesse di più.

Il primo punto, di qualsiasi cambiamento, è la gradualità.
Nella gradualità si vedono accettate anche cose ignobili, non solo quelle nobili, ma del resto le rivoluzioni hanno solo portato impulsi di cambiamento: non mi risulta che nessuna rivoluzione abba portato, da sola, un cambiamento sostenuto nel tempo.
C'è un tempo per la gradualità.
Perché ne abbiamo bisogno, per umanizzare il cambiamento, per comprenderlo.

Sono finito lontanissimo dal titolo, ma cerco di riprenderlo.

La globalizzazione è un cambiamento buono o cattivo?
Ora qui sorgono alcune considerazioni linguistiche, semiotiche, che già da sole mi sembrano enormi.
Nel termine, leggo dal Garzanti che si tratta di un fenomeno d'interdipendenza economica a livello globale. Da Wikipedia apprendo che sembra essere nato tutto negli anni '70, nel senso poi accettato come "distruttivo", del termine.

Le nazioni colonialiste di tre o quattrocento anni fa (ma anche di più), non dipendevano già da alcuni beni, ottenuti come sfruttamento delle loro colonie?
Mi sembra che ci si soffermi solo su quello che la nostra memoria storica riesce a percepire, ovvero tornando indietro al massimo di una quarantina d'anni.
Come se l'Europa, avesse scoperto solo dal 1970 che caffè e tabacco provenivano da paesi poveri.

I due estremismi che vedo in guerra, sono invece ben più recenti.
Da un lato quello delle multinazionali, forma moderna ed accresciuta delle compagnie coloniali.
Dall'altro quello dei no-global, una forma riveduta e corretta di hippies armati.
Messa in questi termini è evidente che non ci sarà mai una vittoria definitiva contro lo sfruttamento dei paesi poveri, visto che chi rappresenta le loro difese nei paesi ricchi si presenta come disadattato, inviso al sistema e allo stato sociale imperante -- non ha nessuna importanza l'equità dello stato sociale, la sua giustizia o altro, sono fenomeni puramente collaterali.

Fra due estremismi, in guerra, continua sempre a vincere quello con le armi più forti, con gli amici più potenti -- penso ad esempio ai casi di guerra letterale, come fra israeliani e palestinesi.
Per il potente di turno, i no-qualcosa, gli anti-qualcosaltro possono anche essere un'ottima arma di propaganda.
E' così facile affermare che "loro usano la violenza".
Soggetti come Jose Bové sono ottime armi in mano ai detentori del potere economico, il perfetto esempio di "come sono cattivi i nostri nemici". Così un contadino idiota, diventa rappresentativo di una nazione che è comunque contraria al resto del mondo, per il solo fatto che esiste e che non è più una loro colonia. Scommetto che avrebbe incendiato i TIR italiani che portano vino italiano in Francia, ma stavolta TIRava di più McDonald.
E di cose contro le multinazionali come McD o la CocaCola se ne possono sicuramente dire tantissime. Casualmente Bové è partito dalle multinazionali americane, non dalle molte francesi, magari nel settore petrolifero.

Sono ignorante, lo ammetto, non ho "studiato la lezione" né dei contrari alla globalizzazione, né quella delle multinazionali.
Sicuramente le due sono ricche di quello che in inglese si chiama spin-doctoring, capovolgimenti di fatti in modo che appaiano tutti veritieri e assoluti.

Non avevo bisogno di leggermi la versione delle multinazionali, perché vedo da tutta la vita gli effetti che hanno localmente e globalmente: difficili da spacciare come solamente positivi -- non citerò d'esempio Bhopal, ma fate conto che abbia citato un'altro dei mille casi simili.

Che dire poi dei movimenti contrari all'economia globale, spesso infarciti di leggende metropolitane prima che di fatti. Incapaci di fare informazione, sempre più spesso si vantano di fare disinformazione o distruzione, come segno di protesta.

Note dal mondo
Ma se io volessi mangiare un frutto cubano, vestire con abiti di cotone indiano, bere caffè sudamericano, sedermi su una sedia di legno africano... divento un globalizzatore pericoloso e distruttivo?
In ogni caso?

L'interdipendenza del pianeta è a mio parere imprescindibile. Economicamente, ecologicamente, culturalmente.
Non esiste più il piccolo mondo antico dove cacao e caffè erano roba da ricchi, per cui neppure degni di economia globale.
La globalizzazione, per il significato della parola da vocabolario, trovo quindi che sia non solo inevitabile, ma da accettare come progresso. Fermi un momento però: questo non giustifica i modi con cui viene applicata oggi.
Quello che voglio dire è che la demonizzazione, la rappresentazione in forma di peccato mor(t)ale, sono completamente sbagliate nei metodi e nell'applicazione.
Ad un'aberrazione sociale, come ad un tumore, si applica la scienza, non la catechesi.

lunedì, ottobre 31, 2005

Ho una cucina!

Amo pubblicare messaggi conditi di perifrasi e metafore, ma stavolta è del tutto semplice: finalmente ho una cucina nella mia nuova casa!
Il che implica mobilia et electrodomestici, finalmente a prendere posto utile, e rendere meno vuote le mie piccole stanze.

Com'è misera la vita negli abusi di potere

Così cantava Battiato.
Ed è sicuramente una frase fondata, oltreché d'effetto. Mi è tornata alla mente leggendo un aggiornamento sul terremoto in Pakistan di questo ottobre. Avevo citato infatti il numero delle vittime qualche settimana fa.

Forse però vale solo per gli abusi di potere che non esportano democrazia.
Sì, dev'essere così.

sabato, ottobre 29, 2005

Ricordate il divieto di fumo nei luoghi pubblici?

Chissà quanti lo ricordano ancora.
Devo ammettere di aver esagerato, nel valutare la normativa. Avevo infatti commisurato i tempi a quelli classici delle leggi italiane, ovvero da una settimana a un mese perché fosse applicata, due-tre mesi di applicazione rigida, poi un progressivo dimenticarsela a seguire, tendente all'infinito.

Invece mi sono accorto solo questa sera, dopo quindi una decina di mesi di applicazione pressoché costante, che ormai non importa più a nessuno -- ero stato decisamente pessimista.
Mi trovavo in un locale affollato, osservando che molti clienti entravano con la sigaretta accesa, oppure l'accendevano direttamente all'interno del locale. Così ho detto al direttore del locale (che stava fumando la sua all'esterno) "sembra che tu sia rimasto l'unico a fumare fuori". La sua risposta, laconica, senza alcuna enfasi, è stata "Sì."

Magari nei piccoli bar, con meno clienti alle due di notte, vale ancora l'invito ad uscire.
Ma per chi fa grossi introiti, è più conveniente non cacciare fumatori, ubriachi e tossicodipendenti, ma di una certa classe -- in ogni combinazione si vogliano considerare.
E poi il rigido Sirchia non è più ministro. Starà rigirandosi nelle acrobazie per dimostrare che prendere tangenti non è malsano, dopo le rivelazioni sgradevoli su alcuni macchinari ospedalieri, che lo colsero proprio sull'ultima capriola governativa.

La questione che mi pongo, è in fondo un'altra.
Disdegno il fumo, ne sono infastidito, ma è niente in confronto al quadro più ampio.

Come può un popolo incapace di seguire una legge così banale, chiedere che i propri governi, le proprie leggi, siano migliori?
Con arroganza e superficialità, mi verrebbe da dire. Poi mi guardo meglio intorno e non mi resta che desumere "con caparbia idiozia".
Perché se è relativamente facile far capire ad un bambino, che per avere i giocattoli degli altri deve offrire anche i propri, è indubbiamente molto difficile far capire la cosa al bambino italiano dai 10 ai 99 anni d'età.
Vuole tutto, lo vuole subito, non riesce a credere che ci sia un mondo fuori dal proprio. Non è sciovinista, primo perché la parola è troppo francese per appartenergli, secondo perché è troppo ignorante per capirla. E quando la capisce, perché l'ha sentita al liceo, è passato troppo tempo dai giorni della scuola: non vuole che qualcuno gl'insegni che esiste un mondo di altra gente, che merita rispetto.
Per cui la legge non ha un valore, così come non l'hanno gli altri.

giovedì, ottobre 27, 2005

Persone preziose

Cosa siamo di fronte al resto del mondo?
La domanda è impegnativa quanto la risposta, il solo porre la questione va fatto in modo delicato e ragionato. Anche per evitare che nell'imbarazzo, chi ascolta, ci risponda una qualsiasi sciocchezza.

Un attento analizzatore di scene digitali (o perlomeno così le definisce lui), ci racconta del compleanno di un signore americano, molto ricco.
Nei dettagli, Vittorio Zambardino racconta di come vede lui Bill Gates.

In soldoni ci spiega che lui vorrebbe tenere le distanze da mr. Gates, ma non può esimersi dall'ammirarlo, perché nel suo luci e ombre vede le luci splendere più di altre.
Più di quelle di Steve Jobs, co-fondatore di Apple e detentore di un'immagine carismatica.
Zambardino vuole mostrarci come l'innovatore Gates lavori nell'ombra, anziché nell'immagine della sua azienda, ovvero producendo molto di più di quanto si veda.

Nella sua versione moderna del cinque maggio, dedicata a questo nuovo imperatore, il buon Zambardino si sporge su un abisso pericoloso.
Non si trattiene dal raccontare dei successi nel mondo informatico, ma anche di quelli nel campo della medicina, in cui mr. Gates sarebbe incorso.
Quel che Zambardino ignora sono forse alcuni scomodi dettagli, come quelli pubblicati in un articolo de il Venerdì de la Repubblica, alcuni mesi orsono -- quindi dello stesso gruppo editoriale che foraggia pure lui.

Nel settimanale allegato al quotidiano la Repubblica, uscì qualche mese fa un articolo piuttosto scioccante, relativamente all'infezione da HIV e l'emergenza AIDS in Africa.
La parte che ho trovato scioccante non è quella che ci propone la televisione deficiente a cui siamo abituati, non si trattava delle solite decine di migliaia di morti, che ormai non c'interessano più -- anche se per Natale cercano di farcelo ricordare.

L'articolo dettagliava piuttosto delle ricerche in corso per un vaccino contro l'HIV, con i suoi test sulla popolazione.
Sì, test sulle persone, quelli che qui non sarebbero possibili (e immagino neppure negli USA).
Non su soggetti HIV positivi, quelli magari riuscirebbero a farli anche negli USA, convincendo un po' di malati. I test vengono fatti su persone sane, per verificare una vaccinazione preventiva.
Sfortuna vuole che si tratti di test, per cui magari il soggetto sano si ammala pure. Di una malattia difficilmente curabile, mi dicono.

La benefica fondazione di William e Melissa Gates, offre generosamente denaro per questa infausta ricerca.
Una ricerca che arruola giovani prostitute analfabete per dei test, in cui firmeranno con una croce un dossier di fogli, che in mezzo alla lingua legalese (incomprensibile anche per chi è mediamente alfabetizzato) dichiarano che in caso di contrazione d'infezione da HIV, la compagnia farmaceutica risolverà il contratto. Senza nessuna assistenza sanitaria.

Se per una guerra si arruola carne da cannone (e gli USA hanno già sparato tonnellate di carne della stessa nazione, in Iraq), per l'industria del farmaco il signor Gates ha ben pensato di sparare carne meno costosa.

L'articolo de il Venerdì mi sorprese poi per il modo diretto in cui tutto era documentato.
Evidentemente non sorprese solo me.
Nel giro di un altro paio di settimane apparse un secondo articolo, con altri redattori, che partiva da ben altri proponimenti. Più vicini a quelli di Zambardino, anzi, più entusiasti. Le cavie umane, ignoranti e malate, erano sparite, per la buona immagine del signor Gates e signora.

Viene da chiedersi: Zambardino ha creato un'immagine perché è anche lui un servetto?
Non lo credo, sono piuttosto dell'avviso che sia finito nella banale trappola, nel meccanismo che Gates è riuscito perfettamente a mettere assieme.