lunedì, luglio 30, 2007

Generazione Disney

Non mi è ancora capitato di leggere Generazione X di Douglas Coupland, seppure abbia gradito molto altre sue narrazioni, come La vita dopo Dio, Microservi e Fidanzata in coma.
Nel primo citato ho sempre avuto la sensazione di un eccesso d'informazioni nel formato scelto dall'autore, che rende le pagine dei collage.
In fondo siamo effettivamente così, bombardati da un eccesso d'informazione, con sempre minore capacità critica. Sia perché si è formata una sorda assuefazione alla valanga di suoni ed immagini, sia perché alcune informazioni superano le nostre conoscenze, e diamo facilmente credito di verità a chi le diffonde.

Mi sono chiesto se la mia generazione, intesa in senso ampio, fra coloro che sono oggi trentenni o quarantenni, ha avuto qualche modello facilmente ricordabile.
Il suggerimento ai fumetti e ai cartoni animati, di una nota produzione americana, mi ricorre fra i pensieri con un'accezione del tutto negativa.
Mi basta guardarmi intorno e vedere il senso distorto della natura, quello ormai più comune fra gli abitanti di città, e perché no, anche di qualcuno periferico. Quella che identifico come visione disneyana del mondo è quella in cui l'antropomorfizzazione di ogni animale ha raggiunto prima degli estremi, e successivamente questi estremi sono divenuti media.
Quale senso della natura può avere chi guarda ad ogni creatura vivente come dipendente dalle stesse regole, dalla stessa psicologia, della specie umana?
E' un modo decisamente offensivo di porsi di fronte al resto delle specie animali. Se non ci fosse questo transfert filiale, questa aberrazione per cui si caricano gli altri animali di sentimenti e bisogni umani, esisterebbero le associazioni animaliste? Probabilmente sì, ma gli aderenti non sarebbero neppure un decimo.

Il ragionamento però era partito all'inverso, ancora più da lontano.
Una settimana fa mi sono trovato a contatto, per una giornata, con quella che Loli definiva la generazione MacDonald. Una definizione decisamente azzeccata.
Un grande gruppo di ragazzini, di vita cittadina, portati per una settimana in mezzo al verde della vita montana. Giovanissimi incapaci di rapportarsi con le cose più banali, non solo sul come si vive in mezzo a un bosco, ma proprio sul come si vive, e basta. A partire dall'educazione alimentare, del tutto inesistente. Incapaci di capire, da adolescenti, quali siano i bisogni fisiologici, ma anche incapaci di avere interesse o gusto per qualsiasi cosa che non fosse confezionata in un incarto colorato.
Di fronte a questa generazione abbiamo riflettuto parecchio su chi erano e da dove venissero, così sul dove stessero andando. Suppongo che sia lo scopo di ogni bravo psicologo, dato chi sei e da dove vieni, immaginare dove finirai per andare.

Chi erano i padri e le madri di questa generazione MacDonald?
Uomini e donne mai cresciuti, rimasti alla ricerca di un'adolescenza interminabile, dove tutto è un cartoon. Genitori di figli che non sanno crescere, perché desiderosi di esserne compagni di giochi e incerti nel ruolo normativo.
Incapaci di dare regole alimentari, igieniche e sociali che possano durare in loro assenza (e probabilmente mancanti anche in loro presenza).
Di solito li vedi nei supermercati, stancamente e svogliatamente spingono i carrelli della spesa, mentre i figli corrono, si rotolano per terra, rovesciano espositori. Dal genitore o dalla genitrice non senti una voce, non saprebbero che dire, non hanno il minimo controllo sui propri figli.
Non possono alzare una mano per uno schiaffo, non sarebbe disneyano. Sono cresciuti con il desiderio di rompere le imposizioni, credono di dare libertà ai figli, mentre regalano loro una crescita senza simboli, senza autorità, ma senza neppure autorevolezza. Senza nessun riferimento forte.

Come crescerà la generazione MacDonald?
E' difficile dare una regola generale, mentre è facile capire quali saranno gli estremi.
Crescerà con l'idea di una libertà per diritto di nascita, tutta già dovuta. Ogni minimo ostacolo della vita sarà insormontabile. E quando non sarà così si sentiranno comunque frustrati dall'avere il mondo contro, continueranno a fare le bizze anche da adulti.
Sentiranno di avere così tanta libertà da non sapere più cosa cercare, come già accade per la generazione intermedia, incapace di andare in una discoteca senza usare droghe, incapace di andare in un bar senza ubriacarsi, incapace di divertirsi se non rischia almeno la propria vita, e spesso anche quella di altri.
Una visione apocalittica.

E fino a quando continuerà così?
Per un po'. Quando il fenomeno sarà lo stile di vita stabile, ne seguirà qualche cambiamento, forse un'altra Restaurazione, ma più probabilmente un altro adattamento.

mercoledì, luglio 11, 2007

Come si cambia politica

Ogni tanto si sentono, leggono, vedono, esempi aberranti di cattiva gestione della politica statale italiana. E diciamo pure che accade piuttosto spesso, anche senza leggersi il lungo elenco di un libro specifico che ho notato ultimamente nelle librerie.

Questa mattina ad esempio ascoltavo alla radio il commento, di un avvocato di parte, sulla possibilità che venga revocato il mandato di deputato della Repubblica al signor Cesare Previti.
Ho citato assai spesso le vicende giudiziarie di questo signore, perché trovo che siano esemplari e lampanti. Eppure non sembra così, tanto meno se le sue stesse affermazioni fossero vere ("a giudizio di metà del Paese, questa situazione deriva da una sentenza ingiusta").
I suoi più recenti commenti alla vicenda sono ancora più sconvolgenti, per una persona che si fregia anche del titolo di avvocato: si suppone infatti che dovrebbe conoscere un minimo di legislazione italiana.
Il suo punto di vista è in breve questo: considero la sentenza con cui sono stato condannato ingiusta, dettata da motivazioni politiche, per cui non ho intenzione di scontarla, né di pagarne le conseguenze accessorie, come la destituzione dalla carica di deputato. Non importa che questa sia una legge dello Stato, ad imporre l'ineleggibilità e l'incompatibilità con la sua carica: lui non si sente colpevole e tanto basta.

Se un assassino, condannato in via definitiva, uscendo di galera chiedesse il porto d'armi, penso che si scatenerebbe un caso piuttosto rumoroso.
Ma questi sono casi del tutto diversi, qui si tratta di esponenti politici.
Già da anni è stato denunciato lo stato vergognoso del Parlamento italiano, eppure niente cambia.

Ora, visto che abbiamo in Parlamento (in ogni schieramento) dei politici che legiferano solo per gli altri cittadini (escluse le leggi a proprio favore), come si può cambiare la situazione?
Credo che questa domanda sia da diffondere il più possibile fra i cittadini, perché ormai non ha alcun senso che la pongano altri politici: si è creato uno strato sociale che non acconsentirà certo a cancellarsi.
Dietro alla falsa promessa di democrazia hanno fatto cartello i politici affermati di ogni fronte. La curiosa oligarchia che si è creata racchiude ormai ogni metodo per sostenersi.
Mentre nelle tirannie o in certi Stati oligarchici classici, si riconosce benissimo la linea di separazione fra potere e popolazione, qui è stata sfumata la linea in ogni modo possibile. Anzitutto è promessa la democrazia, e questo ha il suo peso: tutti eleggono il Governo, ma gli eleggibili rientrano in una casta chiusa, entro cui non possono entrare altri soggetti.
Uno degli ultimi esempi in materia è il costituendo partito democratico, per cui sono stati inventati metodi cervellotici di scelta dei candidati, ai vari livelli: la percezione da dare è che tutti possano decidere, il risultato è che potranno decidere solo fra quello che è già stato deciso.
E' un po' come andare dal gelataio e chiedere come ti può fare un gelato: puoi prendere tutti i gusti che vuoi, ma se ha solo crema e cioccolato sceglierai liberamente fra quei due. Potresti cambiare gelataio, ma se fosse l'unico disponibile?

Si sente parlare spesso di crisi della politica, ma cosa significa in realtà?
Forse sarebbe più opportuno parlare di crisi sociale, generata dai politici. La condizione sempre più disperata, fra le necessità dei cittadini e quelle di chi fa politica, è ben altra cosa che una crisi politica.
Quello che più mi preoccupa è che il degrado dello stato sociale alimenti sempre più le schiere degli idioti che vogliono cambiare le cose con le bombe. Perché il lato triste è questo: gli unici a volere i cambiamenti radicali sono rimasti i fanatici del terrorismo rivoluzionario, mentre chi potrebbe davvero cambiare il Paese in modo sano, rispettoso, sta nell'oblio.
I movimenti dei girotondi di protesta furono un momento folcloristico, e a posteriori solamente ridicolo. Dove non controproducente: finito lo spazio mediatico è finito anche tutto quel che si voleva cambiare. Le uniche dimostrazioni pubbliche che possono essere vittoriose sono quelle che propongono di non cambiare niente, è quello l'unico risultato possibile.

Mentre nelle grandi rivoluzioni i cambiamenti sono stati operati con sollevazioni popolari, con eventi di massa, in questa sfida è necessario costituire una coscienza personale, un bisogno interiore.
La gente in piazza ormai viene portata solo per le finzioni sceniche: finita la rappresentazione, finiti i clamori, tutto è libero di restare com'era prima.
In questa democrazia (come si ostinano a chiamare quest'illusoria forma di governo) è quasi inutile raggrupparsi per protestare: prima o poi qualcuno ti fa osservare che non c'è un monarca da destituire. Se davvero fosse democrazia, chi protesta lo farebbe contro se stesso: reo di aver instaurato lo stato attuale. Se davvero è democrazia, perché non vengono cambiate completamente le regole del gioco dalla popolazione intera?

C'è anche la forza di un'altra ipotesi.
Tutti questi disagi, proteste, disaffezioni, potrebbero essere una sensazione solo mia e di pochi altri. Diciamo di qualche milione di abitanti.
Per un'altra strada questo dimostrerebbe di nuovo l'inesistenza della democrazia: per quanto ci si senta inascoltati, bisognosi di una nuova relazione con il potere politico, siamo qualche milione di cittadini che non contano niente. Ma il termine oclocrazia non si sente mai citare, non è politicamente corretto, può far capire (a chi apre il dizionario) che parlare di un "potere ai molti" esclude qualcuno. E ormai siamo abituati a volerci sentire uguali, nessuno escluso. Soprattutto se non è vero.

Se non migliorano le coscienze dei cittadini non migliorerà la politica. E per dirla con Fermat, dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.

mercoledì, luglio 04, 2007

Ecologia curiosa

Il dubbio era se usare in alternativa l'aggettivo furiosa, che descrive altrettanto bene alcune corse verso il bene dell'ambiente. Sfortunatamente si tratta come al solito di annunci sensazionalistici, più demagogici che pratici, così mantengo il primo aggettivo.

E luce fu
Pare che sia allo studio un piano d'interventi, a livello statale, sulle tematiche ecologiche e i consumi.
Se rileggete la frase sopra con un traduttore simultaneo, dal linguaggio della politica a quello del mondo reale, l'avrete già interpretato con "chiacchiere per far pagare dei consulenti e fingersi interessati all'ambiente".
La notizia che però mi ha colpito è la proposta di eliminare le lampadine a incandescenza dal 2012. Sì, l'idea è di eliminarle in favore di quelle a risparmio energetico, perlopiù fluorescenti. Quelle che ogni giorno vi infastidiscono, perché non si accendono mai come si vorrebbe, perché creano un'illuminazione spesso fastidiosa o troppo fredda.

C'è un aspetto da non sottovalutare.
La lampadina elettrica a incandescenza mantiene ormai da tempi memorabili alcuni primati, non sempre invidiabili. Anzitutto è una delle poche invenzioni che ha mantenuto così a lungo il suo aspetto originario, senza particolari innovazioni.
La pecca peggiore è invece nel suo rendimento, che a fatica raggiunge il 10%. Tradotto in soldoni, per chi non è pratico di fisica, significa che su 1 Euro speso in bolletta della luce, per una lampadina a incandescenza, paghiamo dieci centesimi per la luce generata. E gli altri novanta centesimi? Per il calore generato dalla lampadina.
Risulta lampante lo spreco di questa forma d'illuminazione.

Le lampade fluorescenti aumentano notevolmente il rendimento.
Prendendo un paio di modelli a caso, dal catalogo Osram: data una lampadina da 100 Watt a incandescenza, si ottiene lo stesso flusso luminoso con una lampada da 23 Watt a risparmio energetico, ovvero fluorescente (1500 lumen con il modello DEL LL 23W/827 220-240V E27 FS1).

Sono un po' dispiaciuto dalla futura dipartita di un'invenzione così semplice, come la luce elettrica tramite incandescenza, che in fondo ci ha fatto racchiudere la scoperta del fuoco in una palla di vetro. E' un pezzo di storia dell'umanità.
Vedrei quindi più volentieri un'addizionale da pagarsi per le lampadine a incandescenza, poterle quindi acquistare a un prezzo più alto, piuttosto che eliminarle per proibizionismo.

Ora viene da chiedersi: tutta questa energia nel diventare ecologisti compenserà davvero l'energia di altro genere, quella elettrica?
Conto come innumerevoli le occasioni, in cui passando vicino a edifici pubblici, di enti Statali, scuole, in mezzo alla notte ho trovato luminare degne di un Santo patrono.
Insomma, perché l'Università degli Studi di Firenze tiene accese centinaia di lampade la notte del sabato e della domenica, in aule vuote?
E non si trattava di normali lampade a incandescenza, ma di lampade a scarica di gas da centinaia di Watt ciascuna. Non è forse uno spreco più considerevole, rispetto a un normale uso casalingo?

Corrente elettrica e correnti d'opinione
E in fondo vogliamo tutti l'ambiente più pulito. Oppure no?
Mette qualche dubbio la costituzione di comitati, sempre più numerosi, che si oppongono alla costruzione di generatori eolici. Sì, non pensavo alle centrali termoelettriche, alimentate a carbone o olio combustibile, ma proprio all'energia dal vento, generata senza residui nell'ambiente.
Nelle parole del signor Carlo Ripa di Meana, "l'eolico non risolve nulla, perche' il suo risultato energetico e' modesto a fronte di un devastante impatto ambientale e paesaggistico."
Evidentemente per il signor Ripa di Meana è decisamente migliore l'impatto ambientale delle centrali elettriche che producono inquinanti: meglio rischiare un tumore domani, che vedere un mulino a vento oggi.
C'è chi lamenta, come un noto produttore di vini, che "la presenza delle pale comporta un grave danno all'immagine dell'azienda". E l'immagine di un'azienda viene sempre prima della qualità della vita, si sa.
Resta una lamentela valida quella di chi dice gli aerogeneratori rumorosi. A me è capitato di passare vicino a un grosso impianto in Spagna, molti anni fa, e ricordo benissimo il problema. C'è da dire però che la tecnologia dovrebbe tendere a ridurre questo impatto, e sinceramente non ho sperimentato l'impianto sopra contestato.

Insomma, l'energia eolica riceve grande plauso dalla International Energy Agency, per l'impatto ambientale e i costi energetici sempre in calo, ma nessuno la vuole a casa propria.
Così in Italia importiamo una quantità enorme di energia elettrica dall'estero (nel 2001 è stata l'ottantacinque per cento del fabbisogno), ma quella che potremmo farci in casa, senza inquinamento, proprio non la possiamo tollerare.
Mi pare evidente che se non si riescono a trovare accordi sulle forme di energia più favorevoli, non inquinanti, sulle altre non possono che esserci idee ancora più confuse.