venerdì, aprile 27, 2007

Piccoli fatti insussistenti


Leggo da varie testate giornalistiche in Internet che il signor Silvio Berlusconi è stato assolto dalle accuse di corruzione nel processo SME.
Una delle due sentenze - relativa ai 434mila dollari che da un conto Fininvest servirono a corrompere un giudice - lo assolve "perché il fatto non sussiste". Da notare che in precedenza sul capo di accusa era stata invece invocata la prescrizione del reato (fatto ben diverso).
Ora, se non sussiste il fatto, per cui l'anzidetto imputato non aveva versato denaro, ho però ancora un dubbio: se il giudice citato prima è stato dichiarato colpevole - visto che i soldi li aveva intascati - chi è responsabile del versamento?

Quello che mi appare evidente è che ad un certo livello politico il potere reale, non quello delle investiture da elettorato, è ben altra cosa.
Se fino alla scorsa campagna elettorale per le elezioni politiche sembrava imminente la corsa al massacro, la distruzione degli avversari con ogni mezzo, a scrutini conclusi la cosa è cambiata. Una volta redistribuite le poltrone in Parlamento e Senato, finita l'invocazione popolare, è tornata la calma.
Ogni personaggio politico, di qualsiasi schieramento, al Governo o all'opposizione, di partiti grandi o piccoli, è tornato a godere del favore di tutti gli altri.
Un esempio eclatante (ma solo perché si è sentito citare più spesso di altri) è quello della legge sul "conflitto d'interessi". Tutti quelli che se ne sono fatta bandiera in campagna demagogica (mi sembra offensivo chiamarla elettorale) hanno tirato i remi in barca. Basta remare contro corrente, ora sono diventati tutti nuovamente presenti alla Camera, veri e propri camerati. Basta con le scaramucce, con le litigate a furor di popolo, ora si può tornare a più modeste finzioni per tenere viva l'attenzione degli italiani.
Già molto tempo fa, probabilmente da anni, sostenevo che l'unica miglioria al sistema era la cancellazione al completo della classe politica attuale (ovvero la stessa di dieci, venti, trenta anni fa). Solo che certi sovvertimenti dovrebbero essere richiesti da una fascia molto ampia della popolazione, un po' come in un moto rivoluzionario ottocentesco.

Il controllo del potere invece ha studiato e messo in atto una strategia spaventosa.
L'ultima trovata è il cosiddetto "partito democratico", promosso da certi soggetti attualmente al Governo.
La soluzione finale, appoggiata sempre da più soggetti politici, è che infine si crei un netto bipolarismo: due soli soggetti politici fra cui scegliere, A oppure B.
Con quali diversità? Le minori possibili: tutti e due punteranno al centro.
Sembra di leggere la finzione del romanzo Margherita dolcevita, di Stefano Benni, dove in un paese non troppo futuro il potere si alterna fra il partito dei "moderati" e quello dei "moderisti".
L'obbiettivo è ovviamente quello di dare stabilità al Paese.
Non serve poi un corso di fisica superiore, per comprendere che la stabilità di qualcosa è più difficile su un piano, rispetto ad una profonda fossa piena di melma. Vischioso e melmoso è infatti il futuro che prospetta una simile cambiamento.
La differenza fra uno stato totalitario e una democrazia moderna sembra essere quella: lo stato totalitario ha un partito unico, prepotente, oppressivo e corrotto, che sei obbligato a scegliere, mentre la democrazia ne ha due così.

Resto però con il quesito iniziale: perché non capita anche me, che qualcuno compia un fatto insussistente per cui mi piovono in tasca 434mila dollari?

giovedì, aprile 26, 2007

Libertà di lettura


Sfogliando le pagine di un quotidiano convenzionale, cartaceo, riflettevo sulla libertà di lettura. A cosa mi riferisco? E' presto detto, partendo da un concetto strettamente correlato.
Spesso si legge e si scrive, dell'autoreferenziale libertà di stampa. Tutti noi ne abbiamo una qualche idea, non è difficile comprendere che lo scrivere e il pubblicare presuppongano anche la libertà di farlo, qualsiasi opinione si esprima.

Prendiamo per scontato che esista la libertà di lettura, che dato un testo scritto si abbia libertà di leggerlo. Ma cosa implica esattamente la libertà di leggerlo? Se pensiamo al fenomeno fisico che ci permette di trasformare le immagini in concetti, in parole, è piuttosto facile. Ma cosa succede se leggendo un certo scritto, vedendo certe immagini, subissimo pressioni psicologiche?

Un esempio pratico viene da chi osserva le riviste esposte in un'edicola. Molte persone possono sentirsi a disagio quando passano di fronte alle pubblicazioni pornografiche, non solo chi ne è avverso, ma anche chi essendone interessato o tuttalpiù indifferente, teme gli sguardi disapprovanti.
Si può estendere a qualsiasi tipo di pubblicazione: chi legge con interesse un articolo politico e si sente scambiato per un sostenitore di quelle posizioni, chi si sofferma sui dettagli di un crimine e teme di esserne accusato.
Una volta acquisita la pubblicazione, nella consultazione casalinga, ci si sente però tranquilli. Nel parallelo della libertà di stampa sarebbe come sentirsi liberi di produrre scritti dai contenuti forti, ma che siamo sicuri di non far leggere a tutti.

Il mio pensiero era però indirizzato a un altro modo di fruire dell'informazione.
Da un lato il quotidiano, cartaceo, portato a casa e consultato come e quando si vuole; dall'altro il quotidiano telematico, l'informazione via Internet: consumata a piacimento, ma dove ogni clic su un testo o un'immagine può generare traccia delle nostre preferenze, delle nostre frequentazioni, dei nostri interessi.
Per assurdo, la libertà d'informazione fornita da Internet ha generato un nuovo tipo di manipolazione. Tutto è libero, eppure i contenuti vengono studiati secondo le preferenze del pubblico.
Quanto è libero questo modo di creare informazione?

Alcuni giorni fa leggevo una disamina alquanto inquietante sulla cultura della lettura.
Nel passato molti hanno temuto la soppressione della cultura, la schiavitù del pensiero umano, con mezzi diretti e inquietanti -- come nel romanzo Fahrenheit 451 di Bradbury, dove ogni libro veniva bruciato.
In questo nuovo presente (rispetto al all'ipotizzato vecchio futuro) è divenuto inutile bruciare i libri. La cultura viene soppressa ogni giorno grazie alle stesse tendenze sociali, quelle che vogliono la comunicazione immediata, di rapido consumo, finanche distorta. I messaggi brevi sui telefoni cellulari, fatti di un gergo che cancella l'identità linguistica, i platealmente falsi spettacoli televisivi denominati reality show, sono piccole espressioni di questa frenesia, di quest'ansia di semplificare la vita.
E se la crescita culturale impone ritmi più lenti, richiede attenzione, è facile metterla da parte.
Non serve più bruciare libri: nessuno li legge, e chi lo fa è ormai dedito alle letture di moda, quelle per cui non serve senso critico.

Tutto mi riporta continuamente al pensiero della controcultura di Internet, quella degli hacker (nel senso vero della parola, non in quello storpiato), quella di chi oppone un falso comunismo della rete, come negli scambi d'informazione nel peer-to-peer.
I presunti rivoluzionari dell'informazione in realtà hanno sovvertito ben poco grazie all'idealismo. Sono riusciti nell'intento piuttosto grazie al raggiungimento di una massa critica interessata.
Se proponi "software gratuito per tutti" è un po' come proporre "zero tasse per tutti", impossibile che tutti restino impassibili. Solo che nel primo caso ci sono vie di fattibilità: fai sviluppare il software a chi viene già pagato come professore universitario, a un appassionato che impegna il tempo libero, a studenti.
Lo scambio peer-to-peer invece è ben altro: il transito di contenuti gratuiti fin dall'origine è spesso raro, si tratta più di frequente di contenuti dalla duplicazione illecita, ma facilmente ottenibile a costo quasi zero. Tecnicamente è un furto, ma la duplicazione così semplice, l'intangibilità dell'oggetto, genera la falsa convinzione che tutto quel che non si può toccare sia gratuito.
Libertà di leggere, di ascoltare un brano musicale, di vedere un film: anche nei casi di questi illeciti appare ormai (falsamente) garantita. La depenalizzazione per assenza di lucro sembra aver fatto dimenticare il tutt'ora esistente illecito amministrativo per lo scopo di profitto.

Quanto ha realmente liberato gli utenti di Internet questo tipo di cultura?
Se si potesse misurare in cifre sarebbe un numero negativo: chi entra nel giro rimane ingabbiato dal sistema, non sa più pensare a qualcosa da poter fruire senza ricorrere a questi mezzi.
E se avete un esempio diverso fatemelo sapere: sono pronto a scommettere che la quasi totalità di queste libertà è effimera.
Il concetto della parola libertà è ormai stato bruciato, in modo virtuale, insieme ai libri: adesso significa soltanto "condizione di essere liberi da ciò che preoccupa".