venerdì, agosto 31, 2012

Energia punita

Ho letto nei giorni scorsi un breve reportage su un argomento che scatenava il mio interesse negli ultimi anni, la costruzione del reattore nucleare ITER, il più grande esperimento al mondo per generare energia da fusione atomica.
Spiegata in poche parole, l'energia da fusione potrebbe essere la vera fonte di energia quasi inesauribile (rispetto alla nostra vita sul pianeta), con un impatto ambientale zero, e con un'altissima sicurezza dell'impianto: le radiazioni prodotte sono infatti ben confinate, il più piccolo guasto non può che renderlo innocuo. La criticità tecnica di un simile sistema è infatti farlo funzionare: allorché smettesse di funzionare si estinguerebbe immediatamente tutto il processo di fusione.
L'energia da fusione è dello stesso tipo di quella prodotta dal nostro sole, ma che per i nostri piccolissimi scopi umani potrebbe essere prodotta con pochi grammi d'idrogeno, già in grado di fornire centinaia di MWh.
Un procedimento teoricamente semplice da comprendere, ma con delle enormi difficoltà realizzative, visto che gli atomi di quella piccola quantità di materia dovrebbero essere fusi e ricombinati alla temperatura di centinaia di milioni di gradi, in un anello che li tiene sospesi nel vuoto tramite potenti magneti. Una piccolissima massa infuocata, che se smettesse di muoversi come voluto cadrebbe nel reattore con un danno ambientale nullo (toccherebbe altri materiali, si spegnerebbe la reazione istantaneamente), ma carissimo a livello tecnico ed economico (il reattore ha un costo di miliardi di Euro).

ITER è diventato quindi il più grande esperimento mai realizzato al mondo, con un contributo tecnico ed economico di tutte le nazioni più avanzate a livello tecnologico e scientifico. Quasi la metà dei fondi provengono dall'Unione Europea, ed il restante è diviso equamente fra Stati Uniti, Giappone, Russia, Cina, India e Corea del Sud.
Ecco che qui sorgono le prime difficoltà: oltre a dividere le quote di partecipazione in denaro, come sono suddivisi i compiti della realizzazione tecnica e progettuale?
Il progetto sembra essere cresciuto in modo scoordinato, i costi sono lievitati, le parti che lo compongono hanno avuto difficoltà di accoppiamento fra loro, e altrettanto i tempi realistici di completamento sono cresciuti di parecchi anni.

E' opinione del tutto personale che aldilà delle complicazioni tecniche, ci sia una buona quantità di caos nel progetto, introdotta deliberatamente.
Pensiamo per un attimo alle altre fonti di energia. Per i combustibili fossili è ben chiara l'origine, e le guerre per i territori ricchi di risorse non sono delle novità. Qui invece è in ballo il know-how, la conoscenza tecnologica che permetta di replicare un impianto per la fusione nucleare ovunque: nessuno avrebbe particolari agevolazioni da risorse locali o siti geologici, il combustibile per un'intera centrale è in fondo disponibile anche in un secchio di acqua di mare. Non c'è quel vantaggio che permetterebbe ad alcune nazioni la supremazia energetica, se non per i costi d'impianto: una volta assodata la tecnologia, potrebbe essere portata ovunque.
Ecco che allora tutte le nazioni con maggior peso economico cercano di avere una posizione importante nella ricerca, ma in fondo nessuna di queste vuole che una delle altre raggiunga per prima la capacità di produrre un impianto in modo indipendente. Tutti giocatori, in un gioco dove cercano di raggiungere il traguardo in tempi più dilatati possibili: se tutti arrivano davvero in fondo, che vantaggio c'è ad essere pari merito?
Così, mentre la richiesta di energia cresce a velocità sempre più elevata, gli stati membri del progetto cercano di posticipare il raggiungimento di un obbiettivo comune.

Non bastassero i giochi di potere fra gli stati, all'interno di questi c'è poi chi si oppone al finanziamento di un progetto come ITER. In Europa, paradossalmente, il progetto è inviso ai Verdi, che temono un danno per i soldi sottratti agli investimenti nell'eolico e nel solare: produzione sì da fonti rinnovabili, ma i cui costi continuano ad essere ripianati da contributi continui di altri soldi, mentre si blocca qualsiasi futuro alternativo.

Lo stesso ITER non è poi il prodotto finale della ricerca, ma solo un grande e grosso laboratorio, che dovrebbe produrre conoscenza, tale da permettere, dopo un paio di generazioni di reattori di prova, di arrivare all'energia da fusione per tutti.
Il mio sconforto è che per quanto io possa essere longevo, non vedrò mai il risultato dell'energia da fusione per le masse, mentre continuiamo a dibatterci fra inquinamento ambientale ed eccessi di CO2.
Forse fra qualcosa come un centinaio d'anni, gli impianti a fusione nucleare potrebbero aver raggiunto la maturità da renderli pratici, mentre per ora continuiamo a punire la visione di un mondo migliore, finché non sarà deciso quanti soldi renderà e come spartirseli.

giovedì, gennaio 26, 2012

Moneta sonante

Per anni ho considerato i travellers cheque come denaro contante, o perlomeno così mi era stato riferito, quando ancora erano in voga (oggi è di sicuro più conveniente limitarsi alle carte di credito). Tant'è che in un mio lungo viaggio, di quasi una quindicina d'anni fa, ne portai un po' con me, e negli USA li spesi effettivamente come contante: mi venivano accettati tranquillamente come tali.

Lo scorso anno, pochi mesi fa, una rivista americana di settore, accettò un mio modesto contributo editoriale, e decise di premiarmi con una piccola somma in denaro. Anzi, in travellers cheque.
Qui comincia l'avventura, declamava un fumetto in rima del vecchio novecento.

Mi reco così presso la banca che gestisce i miei conti correnti, una filiale di Monte dei Paschi di Siena, e chiedo d'incassare i titoli: un documento da 100 dollari statunitensi, ed uno da 50, emessi da American Express.
La cassiera li guarda perplessa, mi chiede un attimo e va a parlottare con un responsabile. Torna e mi liquida con un "noi non li cambiamo", accompagnato da un gesto d'impotenza. Chiedo conferma di aver capito bene, e la ricevo di nuovo, così decido lasciar perdere, per il momento, e contattare prima American Express.

Scopro anzitutto che American Express, per chi non è titolare di qualche loro carta, è ben difficile da contattare. Non esiste un indirizzo e-mail di riferimento, i numeri telefonici sono tutti dedicati all'assistenza carte, tranne uno che riguarda l'emissione di travellers cheque: proviamo con questo.
Dopo qualche difficoltà linguistica, di chi mi risponde in "quasi italiano", ottengo i nomi di un paio di banche presso cui rivolgermi, per cui considero che in fondo è stato meno difficile del previsto. Sbagliando.

Entro nella filiale di Unicredit qui vicina che è il pomeriggio dell'ultimo venerdì dell'anno, c'è già aria di festività. Anche qui, i titoli American Express vengono guardati come un atto di proprietà del suolo marziano, chiedendomi di ritornare il successivo lunedì, dopo che si saranno informati.
Il lunedì hanno finalmente le idee chiare: loro non li cambiano, per chi non è cliente.

Decido allora di andare in una vicina filiale di Banca Intesa, la seconda consigliatami da American Express.
Qui, sfortunatamente, mi dicono che non trattano titoli esteri, ma che posso andare nell'altra loro filiale, ad alcuni chilometri. Prima di andare decido bene di telefonare, dato che neppure lì sono cliente.
Al telefono sento che si passano la voce un paio di persone, concludendo cordialmente "certo che li cambiamo, per chi è nostro cliente". Altro buco nell'acqua.

Torno a contattare American Express, che dopo lunga attesa al telefono mi mette in contatto con un operatore in inglese. Credendo che ci fosse stato un qui pro quo, chiedo (in inglese) se parla italiano, immaginandolo bilingue, solo che mi dice brevemente di attendere, per parlare con qualcuno in italiano. Suppongo quindi che la comunicazione sia stata passata solo all'operatore errato. Passano i minuti, finché non s'instaura una rocambolesca conversazione a tre: American Express ha messo in contatto un'interprete, che tradurrà fra me e il precedente operatore. Consolandomi di aver dato lavoro ad una traduttrice temporanea, riprendo a parlare. Pazientando di comprendere le frasi in inglese, aspettare la traduzione italiana, rispondere in italiano, e aspettare la traduzione in inglese, che avrei potuto fare direttamente io, seppure con minore professionalità.
L'operatore americano dice di cercare le filiali delle banche indicate sull'elenco del telefono, e chiamarle una per una, finché non ne trovo una che mi accetta il cambio, dato che le singole filiali hanno regole di cambio diverse: devo solo trovare quella che mi accetta i documenti.

Faccio una prova al telefono con un'altra banca locale, sempre del gruppo Intesa San Paolo, ma anche loro cambiano solo per i clienti, e l'impiegato ne approfitta al telefono per incitarmi più volte a divenire loro cliente.
Chiamo una filiale di Banca Popolare di Milano, ma con una certa perplessità mi dicono che certe cose si cambiano solo negli uffici di cambio.

A questo punto, avendone fatta una questione di principio più che d'importo, decido di chiedere direttamente chiarimenti alla direzione di Monte dei Paschi di Siena, visto che gestiscono i miei conti: se io fossi un ristoratore, o un tenutario di bed and breakfast, e un cliente americano mi pagasse con travellers cheque, come potrei incassarli? Dovrei avere il conto presso un'altra banca?
Anche qui il muro di gomma del call center è impenetrabile: chiamando alla sede centrale mi dicono che loro sono la direzione centrale, e non si occupano di certe cose. Mi lasciano un numero della direzione territoriale, a cui non risponde nessuno, a qualsiasi ora.
Lascio così dei messaggi dal sito web, e finalmente, dopo una settimana, mi arriva risposta via e-mail: la mia richiesta è stata reindirizzata alla mia filiale, per i chiarimenti.

Torno così da MPS, e con il capo cosparso di cenere mi dicono che possono cambiare i miei travellers cheque. Aggiungono che evidentemente il giorno della mia prima richiesta erano indaffarati e c'era stato un malinteso.
Intanto, il responsabile di filiale però fa una telefonata al loro ufficio estero, "tanto per avere chiarimenti".
Durante la chiamata si annota un po' di numeri su un foglio, e non ci metto molto a capire che sono i costi dell'operazione. Con disinvoltura, a fine chiamata, chiedo se quelli sono i costi per l'incasso: "eh sì... costa come incassare un assegno estero".
Ringrazio e dico no: mi sembra uno cifra spropositata, ben 46 Euro (quarantasei) per incassare un controvalore che al cambio è poco più di 110 Euro (se il cambio mi fosse stato favorevole, e sono pronto a credere che anche su quello avrebbero speculato).

Infine, prendo in considerazione l'ufficio di cambio del vicino aeroporto. Alla prima occasione passo di lì, e infine, pur con un certo costo, ottengo il mio cambio: un controvalore di 78 Euro. Certo, ho perso 38 Euro rispetto al cambio favorevole di quel giorno (sarebbero stati 116 Euro), ma mi è andata già meglio che con MPS.

Cosa sono quindi, i travellers cheque? Un costo per chi li acquista, e un costo pure maggiore per chi li incassa, perlomeno qui in Italia.
Magari presso qualcuna delle banche dette sopra (se ne fossi stato correntista) i costi d'incasso potevano essere più bassi. Ma le risposte avute non sono mai state di buon auspicio.
Un caloroso suggerimento? Evitare sempre i travellers cheque.