domenica, novembre 27, 2005

Fedeli alla linea

Ho visitato un nuovo centro commerciale qui vicino, non tanto per la frenesia degli acquisti -- i miei acquisti sono stati numero due (2) bottiglie di birra, il massimo svago che posso permettermi, in una settimana di questi tempi.
Forse neppure per farmi emozionare da nuovi prodotti o negozi.
Ci sono andato soprattutto perché essendo a un quarto d'ora di cammino, avevo un buon pretesto per una camminata, anche in una piovosa domenica.

Nel negozio di elettronica (ora pare si chiamino così) del centro commerciale, mi è saltato all'occhio un prodotto che giudico significativo.
Significativo degli istinti maniacali, così come della speculazione commerciale di queste psicosi.
Lo potete trovare anche sul negozio italiano di Apple, come custodia per iPod. Consistente di numero sei (6) calze, di colori diversi, ma di fattura esattamente uguale all'indumento in cui s'infilano i piedi umani.
Alla modica cifra di 29,90 euro (ma solo 29,00 dal negozio on-line).
Se faccio il paragone di 6 calze diviso 2, ottengo tre paia di calzini -- suppur troppo piccoli per la mia taglia 11 1/2 - 12.

Va da sé che un paio di calze qualsiasi non porta un'etichetta con il brand, il marchio prestigioso del suddetto produttore.
E' interessante notare come ci siano produttori molto legati al branding, all'applicazione del loro marchio su ogni cosa.
La mia impressione è che non vendano un prodotto, ma un'ideologia. Dove non sono riusciti i santoni e predicatori televisivi, dalle TV americane, ha fatto presa la tecnologia.
Così il branding parte dall'oggetto ingenuamente acquisito, si propaga per ogni suo accessorio, per fermarsi solo quando anche l'acquirente è stato reso parte del marchio, assimilato. Pare di vedere un episodio di Star Trek, con la devastante razza aliena dei Borg.

E bravo Steve Jobs, anche non è riuscito nell'impresa di trasformare in oro tutto quel che toccava nella sua "prima repubblica" -- nella prima epoca Apple/Macintosh.
Ma di ritorno (era stato cacciato dall'azienda da lui fondata), il nuovo re Mida, è riuscito perlomeno a trasmutare in un marchietto Apple ogni cosa toccata dai suoi prodotti.
Consumatori inclusi.

sabato, novembre 26, 2005

Giornate contro

Ci sono questi eventi, come l'odierna giornata contro il consumismo (il buy nothing day), che passano normalmente inosservati.
Sono talmente fuori dal coro che vengono obliati con estrema facilità.

Ancora meno successo deve riscuotere l'iniziativa contro il consumismo natalizio, visto che gli acquisti (e i debiti contratti) sono l'unico metodo di crescita che quest'economia vede possibile.
Significativo è il messaggio del poster che a lato di un'icona raffigurante un cristo, recita "Dove ho detto che dovevate comprare così tanta roba per festeggiare il mio compleanno?".

Devo dire che per me è stato particolarmente semplice onorare il buy nothing day, visto il mio attuale stato d'indigenza.
Sarei anche facilmente zelante verso il buy nothing christmas, visto che non onoro la festività commerciale al pari di quella religiosa.

E non sempre sono "gli altri" a impedire i messaggi delle giornate contro. Talvolta non sono chiare neppure a chi le proclama.
Come esempio, ad oggi 26 novembre, sul sito di ONU italia non c'è neppure un riferimento alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne (del 23 novembre), neppure negli archivi. Se vi chiedete chi l'abbia proclamata, beh, forse conviene cercarla sulla pagina internazionale delle nazioni unite.

Una ricerca con Google sbandiera una gran varietà di giornate contro.
Chissà quante di queste passano inosservate. Chissà poi quante sortono un qualsivoglia effetto.

venerdì, novembre 25, 2005

Scioperi utili

Pare ci sia un po' di bagarre nel mondo politico italiano, in proposito allo sciopero di oggi.
Eppure il capo del governo, dicendo che si è trattato di uno sciopero "assolutamente inutile", aveva in mente qualcosa di realistico.
Mi ci vorranno un po' di parole, ma posso dimostrare che quest'ennesima palata di fango ha delle basi.

Sono ormai anni, fin dall'insediamento di quel governo, che ad ogni occasione c'è chi si spreca in anticipazioni della sua ormai prossima caduta.
Che non avviene mai, per un motivo ben preciso: siamo in Italia.

Siamo nel paese dove ogni fenomeno che altrove sarebbe ripugnante, offensivo per i cittadini, diventa accettato.
Le proteste, che la gente potrebbe attuare nelle giuste sedi (come in quella elettorale), si annacquano, si stemperano, si confondono.
Tutto finisce nel dimenticatoio dell'italianità, la tanto vantata arte dell'arrangiarsi. Quella per cui non si cerca di cambiare un fenomeno orrido e dilagante, ma se si protrae a lungo ci si arrangia nell'adattarsi.
Se nasce ad esempio una legge che inasprisce (o impone) delle sanzioni inique, sanno già tutti che non serve cancellarla, abolirla. Basta adattarsi, aspettare che cada nel dimenticatoio, perché è così che va la legislatura italiana. Molte leggi finiscono per essere pian piano dimenticate, usate sempre meno, per cui chiunque contravvenga sa che il rischio è solo una flebile statistica.
Gl'italiani sanno che c'è sempre una scappatoia all'onestà.

Lo sciopero era inutile perché non avrebbe fermato l'iter di chi impersona il menefreghismo più puro.
Colui che sa come riprendere voti alle prossime elezioni, raccontando un paio di barzellette o di storie turpi sugli avversari.
Perché sa che anche le tante brutte leggi che ha favorito servono saltuariamente, non sempre.
Così vale per quest'ultima, in materia di finanza statale: ci sarà tempo per dimenticarla.

Anche un perfetto incompetente, che abbia la possibilità di governare un paese come questo, non può che accorgersi come la base più solida della nazione è una massa d'idioti. Difficile non avere la tentazione di sfruttarla a proprio piacimento.

Ma allora perché si sciopera?
La domanda mi sembra lecita. E sicuramente la prima risposta non è così spesso "per lamentarsi verso chi comanda", data la premessa di prima, sul totale disinteresse di chi comanda.
La prima risposta non può che essere "per svegliare dal torpore gli altri, succubi".
Ma anche questo è impegnativo. La propaganda vuole dimostrare che ogni sciopero si divide in due categorie. La prima è quella degli scioperi non seguiti, a cui partecipano in pochi.
La seconda è quella degli scioperi inutili -- a cui ci fanno sapere appartenga l'ultimo.

Chissà se nessuno ne avrà memoria, fra qualche mese, una volta disinnescati gli articoli di giornale, bombe (di) carta dell'informazione. Non nel senso esplosivo, ma che al solito producono al massimo il botto di un sacchetto di carta, gonfiato soffiandoci dentro.

Amore e sofferenza

Ogni tanto inseguo i collegamenti in rete che si rincorrono, e quando non lo fanno da soli ne invento io le connessioni.
Da una frase in guisa di aforisma, ricercando il personaggio, che conoscevo di nome da tempo sono giunto a un paio di frasi interessanti. La prima era questa:
"People have a hard time letting go of their suffering. Out of a fear of the unknown, they prefer suffering that is familiar.", Thich Nhat Hanh

Mi permetto una traduzione in "La gente ha difficoltà a lasciare le loro sofferenze. Prima della paura dello sconosciuto preferiscono soffrire qualcosa che è familiare".
Thich Nhat Hanh cita Antoine de St. Exupéry, seppure racconti anche come sia facilmente interpretabile in modo meno nobile:
"To love each other is not just to sit there looking at each other but to look together in the same direction."
Che suona più o meno come "Amarsi l'un l'altro non è soltanto sedere a guardarsi, ma guardare insieme nella stessa direzione".


martedì, novembre 22, 2005

Biechi ecologismi

Quello dell'ecologismo nominato invano è un tema che sicuramente citerò con ricorrenza su queste pagine, o così mi suggeriscono gli eccessi distorti che leggo spesso.

Il primo fatto innegabile per chiunque viva, e veda il mondo intorno a sé, è che di quasi tutti i dati oggettivi (riguardo qualsiasi argomento) se ne vedono sempre rappresentazioni che cercano di distorcerli.
Ci sono però oggettività che sorprendono per l'ipocrisia con cui viene tentata la distorsione.
Non so è solo una mia impressione, ma ne ho la forte sensazione leggendo un test compilato dal WWF francese sulle automobili più ecologiche.
Scorro la classifica delle compatte e scopro che Mercedes A160 è al secondo posto, con un punteggio migliore rispetto al terzo posto della Ford Focus. Quali vantaggi avrà? Me lo chiedo con curiosità, scorro i dati e scopro che il modello Mercedes consuma l'8% in più di gasolio, ha emissioni di CO2 superiori dell'8%, costa 250 euro in più (e tralascerò che ha una motorizzazione meno potente, in fondo non è un parametro ecologico).
Ah ecco, il modello Ford genera un rumore di 72 dB, ben 2 dB in più -- da notare che la capacità uditiva umana è piuttosto non lineare, ma normalmente impedisce di percepire differenze sotto i 3 dB.

Quindi mi viene solo da pensare che Mercedes offra al WWF francese sostegni economici migliori, evidentemente anche di molto, per riuscire a far classificare meglio un'automobile che inquina di più, consuma di più, costa di più ed ha come pregio di essere meno rumorosa di una quantità impercettibile.
O forse qualcuno vorrà spiegarmi cortesemente il perché, visto che dalla scienza dei numeri non lo capisco.
Beninteso: non ho favoritismi o acidità verso nessuna delle due case automobilistiche, ho solo letto dei numeri. Anzi, potrei avere più antipatia proprio per il gruppo Ford/GM, visto come hanno condizionato il mondo -- vi siete mai chiesti come mai in un paese grande come gli USA ci siano enormemente meno treni che bus?

Torno a raccontare di Firenze, per non perdere un'abitudine.
La città risulta tragicamente nelle ultime posizioni della classifica italiana sulla respirabilità dell'aria -- lo leggo oggi da un quotidiano.
Per non dire poi che l'azienda dei trasporti pubblici (leggi autobus) è vicina alla bancarotta, con una perdita di 27mila euro al giorno.
Cos'è che porta un 4% dei cittadini a lasciare nell'ultimo anno l'autobus per l'auto privata?

La domanda me la pongo da profano, non essendo né un guru dell'ecologia, né un esperto di trasporti.
Tristemente, pare che neppure quelle due categorie di persone se la pongano.
La proposta di Legambiente è penalizzare il traffico delle auto private. Non so come lo leggiate voi, ma io lo traduco come "tasse" e "imposte".
E come vorrei sbagliare, ma faccio un'ipotesi: e se nessuno migliora i trasporti (oppure fa solo un'operazione di facciata) e la gente non si disabitua dall'uso dell'auto propria (per il traffico cittadino) che succede?
Fatemi indovinare: il Comune recupera i soldi che lo stato non gli sovvenziona più? Bingo.
Non sarei sorpreso se Legambiente litigasse ogni mattina con l'assessore al traffico, per poi cenarci insieme a salumi e formaggi alla sera.
Ma i sostenitori dell'uno o dell'altro, che ne pensano? E i cittadini?

venerdì, novembre 18, 2005

Free as in freedom

Con queste parole esordisce un motto di Richard M. Stallman, acclamato sostenitore del software libero, come lo definiscono lui e i suoi proseliti.
Per chi abbia mai letto le licenze che applica a quel che definisce libero, o peggio letto interviste fatte a lui di persona, non può apparire molto diverso da tanti altri predicatori televisivi americani.
Sì, quelli che ti dicono di essere libero grazie a qualche dio, che quindi devi adorare in ringraziamento, per averti reso libero -- di essere suo schiavo.

Così si sviluppa la licenza di usare il software libero.
Sì, libero, ma solo di fare quello che c'è scritto. Pare un rigurgito nel ventunesimo secolo degli hippies anni '60, liberi di essere schiavi degli allucinogeni.

Prima dimostrazione dell'incongruenza: la licenza GPL, di cui tanti si vantano sostenitori, ha dovuto in primis permettere l'esistenza di una licenza LGPL. Insomma la prima viene decretata per "software libero", ma sfortunatamente è solo una proposizione fittizia.
Quella che definirei più propriamente demagogia.
In fondo la gente non ha bisogno di libertà, ha bisogno di sentirsi dire che è libera. Questo ripaga più del peso di qualsiasi libertà.

Non avrai altro licenza oltre me stessa, questo propone, senza mezzi termini, la GPL.
Ricalca fedelmente l'arroganza religiosa di una nota divinità, osannata qui in Italia, ma mai idolatrata quanto nel paese dell'estremismo religioso. Che non a caso genera fenomenologie non assoggettabili ad esegesi, quale il software di Stallman.
O quello di Larry Wall, altro apostata del software, che descrive il suo software (ormai d'uso mondiale) in dei manualetti che nominano i capitoli come scritti biblici.
Dietro al nuovo, c'è molto vecchio. Pare la storia infinita di una nazione nata nel terrore e nell'odio, da esuli eretici, che per consolidare la propria posizione di prediletti da dio hanno prima sterminato gli indigeni, e poi alzato il dito al cielo. "Lui, con noi".

Pare un salto grande, un'iperbole inutile. Ma basta fermarsi a vedere quali sono le "ragioni" che adduce alle proprie scelte.
Le rappresentazioni iconoclaste del software commerciale, appaiate alle santificazioni dei nuovi profeti. Piccoli personaggi come Linus Torvalds, democraticamente eletto dittatore benevolo del mondo nuovo.
Senza che siano diversi dal classico William Gates, se si tralasciano i soldi. Certo i soldi sono tanti, ma del resto c'è sempre chi vuole raccontarci che siano insignificanti.
Così, ironicamente, i due personaggi non sono troppo dissimili. Dittatori di due mondi diversi, visionari completamente sconnessi dal mondo reale -- basta leggersi una qualsiasi intervista a Gates di qualche anno fa, oppure le direttive di Torvalds su come si scrive il software, dove bolla come "eretici" coloro che non seguono il suo metodo.

False as in freedom. Mi sembra più adeguato.

Perché non adottare una licenza come quella BSD, per il software libero?
Forse perché la libertà sarebbe stata vera. E come in ogni epoca, la libertà deve essere concessa solo come speranza, oppure come promessa. Basta vedere quel che è successo di tutti i paesi dichiaratisi socialisti o comunisti: perlomeno le nazioni di stampo fascista hanno sempre mantenuto i loro principi in modo coerente, basandosi su repressione e violenza, puntualmente attuate.

Una delle fortune di essere ateo è di non doversi schierare né con dio né col diavolo.
E distinguerli, nel mondo del software, è sempre un sottile filosofeggiare, come in ogni religione che si dica tale.

giovedì, novembre 17, 2005

Libera chiesa in misero stato

Non mi sorprende l'interpretazione in sede di applicazione del nuovo decreto sulla riforma scolastica.
Del resto era un'altra notizia recente che fossero stati assunti 15mila insegnanti di religione dal ministero della pubblica istruzione, col solito metodo incongruo, per cui vengono assunti (seppure non potrebbero esserlo) e poi siccome non potevano esserlo non sono più licenziabili (e quindi gli unici insegnanti assunti solo come non-precari).

La scuola italiana riprende quindi il suo corso più rigidamente catechizzato, con la religione fra le materie obbligatorie.
La geografia invece viene abolita ufficialmente in molti licei.
L'ingresso alle università diviene infine libero solo a chi ha frequentato licei classici (neppure i licei scientifici si salvano).

Pare che il prototipo dell'universitario del futuro venga costruito con la sicurezza degli insegnamenti a cui dovrà essere educato, religione cattolica (perché a quanto mi risulta rimane l'unico insegnamento religioso, in pratica), con meno conoscenze possibile sul resto del mondo, d'istruzione classica (evitando qualsiasi riferimento al mondo moderno?).

Come dicevo dall'inizio, non mi sorprende questa restaurazione, così come non sorprenderebbe il reinstaurarsi dei tribunali dell'inquisizione -- e le nuove modifiche alla Costituzione sembrano appunto indirizzarsi in questo senso.
Del resto, in un paese democratico, dove il popolo non partecipa, mi appare naturale il ritorno all'oligarchia.
Come dire: se gl'italiani non pensano, se sono esserini completamente insignificanti, è un peccato, ma tant'è.

Mi chiedo piuttosto un'altra cosa.
Supponiamo che alle prossime elezioni il paese cambi rotta. Molti lo danno per scontato, visti i disagi in cui versa la nazione, ma io non ne sono così convinto: il livello di anestesia è tale per cui la gente si sveglia a malapena con le bombe.
Dicevo, supponiamo che la corrente opposizione diventi predominante nel paese.
Siamo così sicuri che cambieranno quel che di peggio è stato fatto negli ultimi anni?
Ne avranno capacità e desiderio?
Annotatevi bene quello che succede di disastroso nel paese, vediamo come va con la prossima legislatura, il percorso è sicuramente lungo -- un altro motivo per cui non cambiare quello che fa fare fatica ed ormai è già obliato.

martedì, novembre 15, 2005

Potenza di una pillola

Con l'adozione della pillola abortiva Ru486 in sempre più regioni d'Italia, s'è scatenata la (vecchia) polemica sul significato dell'aborto ed altri fatti collaterali.
Politici e religiosi, contrari alla scelta sull'aborto, partono periodicamente all'attacco di questo diritto, sancito con tanto di referendum popolare.
Non si capisce mai bene se sperano in una dimenticanza di questo significato: del fatto che la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza è stata scelta dalla maggioranza della popolazione, con un singolo e chiaro quesito.

L'intervento che mi ha fatto sorridere, letto nel virgolettato di un quotidiano, è quello di un cardinale, che sembra aver detto "non possiamo pensare di buttare via la vita umana con una pasticca".
Il sorriso mi viene sempre spontaneo, quando l'ipocrisia cade nel ridicolo.
Forse pensava che servisse almeno una pallottola. Magari consacrata dal sempre più abusato "Dio è con noi".
Che nessuno gli tolga la possibilità di esprimere un'opinione. Ma perché questo signore, come altri suoi confratelli, non leva mai la voce così forte per condannare chi invece si fa scudo della sua fede per scatenare guerre?
Se proprio non può farlo per tutte le guerre, che nel mondo son tante, potrebbe almeno farlo quando sono perpetrate in modo recidivo.
Per una guerra invece si legge al massimo "disapprovazione" e "sdegno", con un paio di parole la polemica si acquieta.
Perché le guerre sono sempre in mano ai poteri forti, meglio non competere con loro.

Quello che questo signore invece sa bene, è che il suo carisma è legato ad alcune ritualità, erose dai tempi moderni.
La rivoluzione sessuale, descritta e attuata negli anni '60 e '70, ha ad esempio consumato l'immagine della famiglia dentro i rigidi schemi cattolici. E' ormai immagine di cartolina sbiadita, quella della procreazione sotto lo stretto controllo della chiesa.

Di tutti i misteri, un paio sono sempre stati il piatto forte di tutte le religioni: quello della vita e quello della morte.
Dare la vita, senza prima chiedere l'intercessione divina, fa crollare un pilastro del potere ecumenico. Figurarsi il darla e toglierla prima ancora che questa esista.
Come dire: stavolta la scienza ha fornito un pretesto alla religione. Se la cultura scientifica fosse rimasta come se l'immaginava chi ha scritto i precetti cristiani, non avrebbero neppure saputo come nasce una vita. Ora che lo sanno cercano di mettere la bandierina di possesso.

D'altra parte, è stato ben chiaro fin dall'antichità che togliere la vita è assai più rapido, per cui la posizione di vantaggio era di regolare il come.
Meglio avere un assassino come alleato, che come nemico. Almeno può togliere la vita con l'unica concessione in regola, quella che viene da chi si occupa di vita e di morte.
E in fondo, i morti passano, ma la brutta figura di non avere più potere sulla vita o sulla morte rimane: meglio evitarsela.

Potere in pillole: che brutto rischio, se per decidere di non dare alla luce una vita non serve più un rappresentante del potere, quel potere che finora ha influenzato sempre l'idea di vita e di morte.

Ma saltiamo ad un altro argomento.
Nelle parole dei porporati non c'è alcun interesse per la donna che abortisce. Non ha alcuna importanza religiosa o politica (se ancora ci fosse differenza) la scelta più o meno difficile di questa donna.
Il terrore è una società che possa rendersi conto di non aver bisogno di loro.
E per il potere, per non perderlo, si fa del tutto. Forse la frase, pensata e non detta, era un po' diversa: "Non possiamo pensare di buttare via un potere secolare per una pasticca!".

domenica, novembre 13, 2005

Selezione naturale

Leggendo del tragico epilogo di una corsa clandestina, con un giovane morto ed uno gravemente ferito, mi viene conforto dal vedere che ogni tanto funziona ancora la selezione naturale.
Sfortunatamente non capita così spesso, abbiamo sviluppato troppi antidoti alla vita, che passano dalle droghe, agli antidepressivi o perfino giù fino ai banali antidolorifici.
Ovvio che io mi riferisca agli abusi: l'antidolorifico saltuario, per chi ha un malessere realmente fisico, assume un significato diverso rispetto a chi cerca di confortare un disagio psichico. Che sicuramente può essere curato a sua volta, ma sotto l'occhio di un buon medico o terapeuta.

L'unica cura che potrebbe curare senza danni nel "fai da te" è forse l'omeopatia, che non curando niente a livello fisico, si può interpretare come un costoso placebo: se funziona tanto meglio, se non funziona è già ben conosciuto il perché.
Non si libera però del tutto dalla pericolosità dei farmaci, perché così come scientificamente non cura alcunché a livello fisico, potrebbe però indurre psicosi da farmaco -- penso ad un paziente che si convinca non solo di essere curato, ma di diventarne dipendente.

Gli stupefacenti hanno invece effetti di ogni sorta, tranne quello di rimuovere la spinta prima che porta ad assumerli.
Magari vengono presi per ansia, depressione, miste a una serie di scompensi in ambito sociale (voglia di estraniarsi, così come desiderii di essere accettati in un gruppo o da singole persone).
Finiscono poi per avere effetti collaterali forti e meno controllati, rispetto ad un farmaco. Dipendenza, assuefazione, sono i primi a cui si pensa. Poi seguono quelli della tossicità degli agenti primari, seguita da quella non indifferente di agenti secondari, dovuti alla rozzezza della lavorazione che li produce.
Non sorprende che chi ne fa uso cerchi poi di giustificare la propria scelta. La prima motivazione è forse fra il "volersi assicurare divertimento" e il "ribellarsi al sistema (che li vieta)".

Il divertimento ad ogni costo è la misura di quanta percezione sia stata persa, nel tempo.
Si assottiglia sempre più la quantità di persone capace di gustare il proprio vivere, come una giornata di sole, un buon cibo, o anche una buona lettura.
Ormai nel distacco dalle sensazioni ogni cosa dev'essere estrema, per fornire un piacere minimo. La giornata di sole deve diventare al minimo un'abbronzatura ustionante. Il buon cibo deve essere un'indigestione. La buona lettura sparisce, in quanto il suo eccesso non riesce più a stimolare.

La ribellione al sistema diventa essa stessa un nuovo sistema, che non oppone cambiamenti costruttivi. Anzi, non cambia proprio niente. Diventando troppo spesso solo l'esternazione di un disagio, con manifesta incapacità di offrire cambiamenti utili.
Fortuna che qualche volta (seppure poche volte, rispetto a cosa combinerebbe la natura con altre specie animali) c'è la selezione naturale.
Ma forse sono completamente sulla strada sbagliata: quello che la specie umana riesce a fare è anche di rendere desiderabili d'imitazione i gesti più stupidi.

Splendori e miserie

Fra i vari manifesti pubblicitari, sparsi per le città, mi sono ritrovato a pensare ad una frase, apparsa come slogan. Una proposizione che propone un partito politico, come entità di grande rilevanza, per quello che viene definito "un grande paese" (l'Italia, nello specifico del messaggio).

In verità non mi ha colpito per l'origine del messaggio, né per il vago richiamo ad un "credere obbedire combattere" di nuova concezione -- già il primo verbo sarebbe scomodo, oggigiorno.

Pensavo piuttosto alla concezione di "grande paese", e a cosa possa veramente riferirsi, nei fatti.
Certo non alla geografia. Anche se la recente riforma scolastica ha confermato che non si debba più insegnare in molti licei, non credo che sia un'affermazione fondata sulla superficie in chilometri quadrati.
Sicuramente aiuta, con maggiore ignoranza sul resto mondo sarà sempre più facile convincere gl'italiani di essere in una grande nazione.
Visto che la geografia tratta anche temi come l'economia, lo sviluppo industriale, la qualità della vita, è ovvio che nascondere questi temi, in Italia, faccia fare una miglior figura.

Un dato di fatto mi sembra pervenire dall'aver avuto grandi donne e uomini, nella storia della nazione. Dal punto di vista artistico, letterario, scientifico, e perché no, magari anche politico.
Sicuramente è successo, nei tempi passati, se non nei tempi antichi.
Ma di tutta quella cultura di un tempo, che ha fatto diventare ciò che erano Da Vinci, Brunelleschi, Alighieri, Petrarca, e tanti altri, di quelle capacità cos'è rimasto oggi?
Non mi pare sia rimasto granché. O meglio, chiunque faccia appello a quella cultura antica per parlare di un grande paese (per pura demagogia) è invero meschino. Cerca di appianare il nulla culturale a cui si è pervenuti, citando una fantomatica, quanto falsa, grande nazione.

Cosa dite? Che in Italia in fondo c'è ancora chi fa cultura?
Vero, verissimo. E magari sono in tanti. Solo che in perfetta antitesi con i tempi antichi, in cui un artista veniva foraggiato da uomini potenti, che speravano nell'immagine riflessa, oggi va esattamente al contrario.
La cultura viene in primis censurata, cancellata, ostacolata. Ne sono una dimostrazione lampante la recente riforma scolastica, o la riduzione delle sovvenzioni statali a cultura e spettacolo.

Appare quindi evidente che quel grande paese citato non è neppure nella cultura.
Ma allora, cosa rimane?

La grandezza di cui parla quella frase in realtà non esiste. Ma non perché non possa esistere: non esiste perché non deve esistere.
Se esistesse poi sarebbe necessario sostenere i suoi alti e bassi. Spiegarla alla gente, giustificarla. Troppo daffare, per chi si occupa solo di politica, ed ha ben capito che ruota tutto solo intorno alla pastorizia. Il cittadino? E' parte di un gregge da accudire, instradare, mungere e tosare. Basta.
Non gli si dica poi che l'unica cosa grande che ha è il gregge in cui si trova.

venerdì, novembre 11, 2005

Come s'illumina il nostro mondo

Un cambiamento a cui penso spesso, che deve aver sconvolto non solo le culture, ma anche la nostra biologia, è la luce elettrica.
Più si va indietro nel tempo, più i nostri antenati erano legati a ritmi di vita estremamente ridotti in inverno (perlomeno ad una certa distanza dall'equatore). Svanita la luce solare c'era ben poco da fare per l'uomo della pietra.
Anche i vari metodi per illuminare, partendo dal fuoco, non erano poi di grande efficienza. Consumare olio, cera o altri combustibili naturali, era magari anche poco economico, se proprio non c'era un motivo specifico per far luce.

Adesso invece abbiamo la comodità di un bene invisibile come l'elettricità, che materializziamo premendo un interruttore, senza neppure pensare più a tutto quello che c'è dietro la sua produzione.
E' assodato che esista, che sia lì.

Forse non ha cambiato tantissimo il mondo neppure l'illuminazione a gas, di alcune grandi città, nei secoli scorsi.
Sì, magari ha migliorato lo stile di vita delle città, ma non credo che sia entrato così tanto nelle case, nelle fabbriche, negli uffici.

E sia la luce: il nostro ritmo circadiano è diventato improvvisamente inadeguato. Ci siamo accorti che si poteva lavorare in piena notte, meglio che nell'ottocento.
La quantità di luce di una notte, grazie all'elettricità, diventa in qualche luogo anche più generosa che di giorno, in un grigio inverno.
Ma che è successo dell'umanità strapazzata da questo nuovo e facile modo di non avere più la notte?

Frasi d'effetto

Giorni fa dissertavo sul termine democrazia ed oggi, visitando un sito web che non posso citare (perché cambia continuamente la pagina principale), ho trovato questa perla
La democrazia è un mezzo che assicura di non essere governati meglio di quanto meritiamo - G. B. Shaw
Condensa benissimo, no?

lunedì, novembre 07, 2005

Quanto costa educare

Sul numero 920 de Il Venerdì, la rivista allegata settimanalmente al quotidiano La Repubblica, ho trovato un articoletto perlopiù fotografico, sui gesti poco consoni da parte di personaggi politici.
Soprattutto corna, con indice e mignolo alzati, scaramantiche o denigratorie -- non riesco a vederle scherzose, da parte di chi dovrebbe mantenere un certo decoro, come figura istituzionale.

L'immagine a mio parere più indecorosa, fra quelle ritratte, è della deputata Daniela Santanché, che alle manifestazioni di studenti e ricercatori universitari, davanti a Montecitorio, ha risposto con un sorriso beffardo e il dito medio alzato.

Va riconosciuto che non tutti si possono permettere, culturalmente, di comunicare con gestualità meno rozza.
Cerco sempre di avere molta comprensione per chi è stato limitato dalle possibilità educative, da un ambiente che non forniva possibilità di crescita. Per quanto alcune persone ci si presentino in modo offensivo, si deve sempre cercare di comprendere quali sono i loro limiti.
E se non c'è compassione, perlomeno non ti curar di loro ma guarda e passa.

Ora la faccenda è decisamente diversa per chi copre cariche pubbliche, chi rappresenta qualcosa di più della propria ignoranza.
Chissà, forse gli elettori della signora Santanchè amano quel tipo d'interazione, e lei s'è sentita amichevolmente vicina alla folla, suggerendo come potevano usare quel dito. Oppure voleva dirci che quando lei sente il bisogno di protestare usa quello, come ansiolitico.
Spero soprattutto che la fotografia non sia sfuggita alla maggioranza dei suoi elettori, gli altri si sa, potrebbero semplicemente strumentalizzarla. Suppongo che possa dare interessanti spunti di riflessione, a chi l'ha proposta per la carica che ricopre.

Ho pensato anche ai paesi stranieri in cui un politico non si sognerebbe mai di sbilanciarsi in cotanta arroganza. Non solo paesi politicamente più civili, ma anche quelli repressivi, sotto aspetti fisici o morali, penso ad un paio di nazioni controllate dall'estremismo religioso, come l'Iran o gli USA.

domenica, novembre 06, 2005

Viabilità cittadina

Visto che avevo espresso un'opinione, non sia mai che mi perda l'occasione di dirne un'altra, pure conflittuale con la prima -- è la fortuna di non scrivere per nessuna testata nazionale.

Se i SUV sono ingombranti, i fuoristrada d'aspetto pericoloso in città, viene da chiedersi per cosa li usino, i loro proprietari.
Ma è ovvio: per affrontare i percorsi più accidentati, sconnessi, pericolosi sotto la pioggia e la neve. In poche parole per il centro cittadino.
Perché nelle città di antiche origini sono ancora presenti pavimentazioni medievali, vuoi per lasciare il fascino di un tempo, vuoi per tagliare le spese sulla manutenzione stradale.
Fate un giro per Firenze, in una serata buia e piovosa magari, dove una selva di cartelli stradali rende il percorso ancor più emozionante del fuoristrada -- non mi sorprendo più di pannelli integrativi che arrivano quasi fino a terra, comunicando in fasi successive che: il traffico è vietato / permesso dalle 19,30 alle 7,30 / solo per gli automezzi con massa a vuoto X / solo se non è una domenica dispari di un mese pari con congiunzione astrale sfavorevole ai tassisti ma solo se non coincide con il mercatino dell'antiquariato ...

Altro che SUV, viene da chiedersi se non comprare un carro armato. Non lo fa nessuno solo perché ci vuol coraggio -- nel saper precorrere i tempi.

Il requisito per il giornalismo

Devo spesso constatare che la professione giornalistica crea spazi d'opinione dove non c'è materia prima, ovvero capacità d'opinione.
Capita ad esempio questo articolo, in relazione all'uso dei pannelli solari, come energia alternativa.
Il titolo riporta "Meno sole c'è più si sfrutta. Paradosso italiano sulle rinnovabili", che non può far pensare di essere derisi dal cretino di turno, che riporta bovinamente un comunicato fornitogli come biada da Legambiente.

Ci racconta che Bolzano e Trento sono all'avanguardia per l'energia solare. Non approfondirà poi sul come e quanto influiscano i contributi provinciali e regionali, per chi s'appresta a questa scelta.
Non ci illumina sul rendimento ridicolo dell'energia solare (anche a latitudini più basse), per cui si può impegnare nel solare solo il Beppe Grillo di turno, col suo cospicuo conto in banca, oppure chi è veramente sicuro di essere aiutato economicamente. Perché la storiella dell'energia solare che puoi rivendere anche all'ENEL è bella, ma i numeri reali sono più difficili da gestire, a sud di Trento.
Giusto gli edifici pubblici possono mettere in mostra applicazioni del genere, visto che se anche non dovessero funzionare c'è garanzia di qualcuno che paga -- probabilmente l'impianto solare, in un appalto pubblico, incide meno della metà delle bustarelle, per cui è accettabile.

Non vi sentite un po' presi in giro dai falsi ambientalismi?
Come le "domeniche ecologiche", in cui si bandisce il traffico da un centro cittadino. Così che gli abitanti del centro possano circolare per una giornata in bici, rilasciando entusiastiche interviste ai media.
Mentre nel frattempo, intorno alla suddetta città, si crea un anello di traffico con livelli d'inquinamento doppi del solito, a causa del blocco.
E non solo. L'amministrazione cittadina si compiace in diretta televisiva dell'aria della propria città -- e ancor più delle proprie casse, in cui piovono soldi governativi, ormai alle strette.
Tutto è idilliaco, lasciando fuori le cose brutte, come le opinioni di qualche esperto, che sa bene come la chiusura del traffico per un giorno o due non cambi assolutamente niente a livello ambientale.
Ma è l'immagine dei nuovi ambientalisti, creare questi finti teatrini per raccogliere consensi, in uno slancio demagogico degno di un proclama di mr. B, quel signore americano che non saprebbe ammettere che il suo paese inquini. Neppure dopo un alfabeto intero di uragani che lo devasta -- visto che annualmente vengono denominati con un'iniziale dall'alfabeto latino, e nel 2005 per la prima volta nella storia son dovuti ricorrere alle lettere dell'alfabeto greco.
Speriamo che il pianeta cambi rotta, fuori dalle bocche piene di parole dei politici dell'ambiente. Prima di arrivare a mr. Z: perché per i dati oggettivi, per la salute globale, non c'è un alfabeto greco a cui ricorrere.

Consigli musicali domenicali

Sto ascoltando il nuovo album di Kate Bush, Aerial, e finora mi pare un ottimo acquisto (è un doppio album).
Kate riesce a mettere in poesia ogni cosa, ed in musica ogni poesia, come in PI dedicata nientemeno che al numero pi-greco, oppure in Mrs. Bartolozzi, che trasmuta in liriche le pulizie di casa, per finire a osservare la lavatrice che fa girare le camicie, come una finestra sui ricordi.
Atmosfera sognante, la voce di Kate risuona angelica, mentre la sua musica esplora ritmi diversi.
Ogni canzone da ascoltarsi col suo testo e le foto del libretto davanti, parte integrante del processo creativo di Kate, artista sonora, canora, visuale.

Dedicato a chi, ascoltando la canzone A Coral Room, alle parole finali "What do you feel?" ha una risposta da dare. Anche senza parole.

venerdì, novembre 04, 2005

Viabilità straordinaria

In un intervento televisivo ho sentito che grandi città come Roma e Milano stanno pensando di dotarsi di restrizione al traffico per i SUV, gli sport utility vehicle che tanto vanno di moda ultimamente.
Quello che mi ha fatto sorridere non è il provvedimento, che sicuramente ha dei suoi perché, ma il paragone di "restrizioni al traffico come a Firenze, dove in certi orari i SUV non possono transitare".

Giro per Firenze da molti anni, sia in auto, come a piedi e con i mezzi pubblici, almeno un paio di giorni alla settimana, per cui ho una conoscenza minima della città, anche se non vi abito.
L'intervento che destò tanto clamore in realtà era ben diverso dai toni televisivi con cui è stato raccontato.
Anzitutto si applica ai permessi per la zona a traffico limitato, quindi al centro cittadino, limitatamente a chi vi abita -- immagino che non vengano regalati facilmente permessi ad altri.
Da una certa data non sarebbero più stato rinnovati i permessi quindi, fra chi ha possibilità di accesso diurno alla ZTL.
Non vedo così tragico un invito del tipo "se hai un veicolo dal costo di 50 o 60mila euro, che neppure riesce a curvare per le strette vie del centro, senza portarsi dietro pietrisco e arredi urbani, sarebbe il caso ti dotassi di una city car".

Non ho invece mai sentito lamentele per altre norme decisamente più inique -- potrebbe in fondo essere per mia ignoranza.
Un esempio lampante è la zona a traffico limitato, notturna, in estate. O meglio le modalità con cui si applica.
Nella trascorsa estate 2005 la situazione, a mio parere, è caduta dal ridicolo al paradossale.
Anzitutto la zona è stata estesa come area: in alcune aree della città include adesso gli accessi a tutti i parcheggi limitrofi, impedendo quindi di poter entrare per parcheggiare l'automobile.
Se pensate che siano stati potenziati i mezzi pubblici, beh, state peccando d'ingenuità.
La zona è stata estesa pure nella notte, per cui si estende ormai oltre due-tre ore dalla fine delle corse degli autobus.
Ma in fondo, chi vuole andare in giro per Firenze, in estate, non può che essere un nuovo ricco: prenderà un taxi, no? Anche qui c'è una piccola sorpresa, che racconto con un aneddoto.

In una calda nottata d'agosto mi trovo in un bar del centro. E' circa l'una e mezza di notte, e noto una coppia di turisti anglofoni che sta cercando disperatamente di avere un taxi, facendo telefonare dalla cameriera del bar da mezz'ora: non ci sono taxi.
Vorrei quasi dir loro che li accompagno io, ma ricontrollo l'orologio: la mia auto è parcheggiata fuori dalla ZTL, fin dopo le due non posso entrare neppure io.
Li guardo sconsolati avviarsi a piedi, magari devono andare dall'altro lato del centro, attraversando qualche quartiere che durante la notte si riscalda per le polverine che passano sotto al naso, e le coltellate fugaci.
E' una calda nottata d'agosto, ed il provvedimento di blocco notturno del traffico riesce a bloccare solo i pochi turisti che cercano di godere della città, perché tutti gli altri abitanti sono al mare.
E' una calda notte d'agosto, e la città è deserta, fatti salvi gl'immigrati poveri e gli spacciatori.
Ah e non dimentichiamo i vigili urbani, con facce tristissime pure loro, a guardia del traffico inesistente.

Sembra essere un inevitabile destino di ogni città d'arte italiana, rendere ogni cosa difficile per chi la vuol visitare.

Ah, e i taxi? Non c'erano perché sono la lobby più potente della città, decidono in quanti lavorare e quando, perché tanto la richiesta rimane alta anche se non lavorano.
Basta contare che una licenza da tassista costa poche decine di euro, di soldi puliti. Ma il Comune ha bloccato il rilascio di nuove licenze, così per averne una si può solo comprare in nero, a cifre che anni fa erano superiori al costo di un appartamento di 4 vani.
Lo sanno tutti, certi annunci si vedevano pure sui settimanali di annunci economici.

Due o tre anni fa, non ricordo esattamente, un imprenditore aveva anche iniziato ad organizzare un'attività di ciclo-risciò.
Fece tutto quello che si doveva, richiese i permessi, assunse personale. Il Comune negò il permesso all'attività: che avrebbe detto altrimenti la potente corporazione dei conducenti di taxi?
Si arrivò addirittura a dire che una persona che pedala, per altre che siedono dietro, dà un senso di "schiavismo". Anche se la persona che pedala ha scelto il proprio lavoro, ne è felice, ed è ben retribuita. Pure se i passeggeri pagano.
Ed è stato quest'anno che ho letto un articolo sul successo dei ciclo-risciò nelle grandi capitali d'Europa, come mezzo ecologico.

Firenze non è una città enorme, però racchiude un'enormità di tesori d'arte e cultura.
Direi pure che la quantità di tesori è spropositata, rispetto alle capacità percettive della sua popolazione, che ormai crede di aver ereditato qualcosa del Brunelleschi, o di Giotto, per il solo fatto di vivere a Firenze.
Basta vedere quel che viene combinato col traffico, per capire che qualcuno crede davvero d'acquisire cultura per osmosi, vista la grettezza.
Buon per l'Alighieri, che è stato cacciato ed è morto, prima di vedere un peggior scempio di quelli descritti nell'inferno della sua commedia.

Non ci si può pentire della politica

Fare politica è una cosa a cui nessuno di noi può sottrarsi, fin dal mattino quando sceglie con cosa fare colazione o che abiti indossare -- non tanto per il gesto in sé, di tipo privato, ma per le implicazioni sociali che ne seguono, come la preferenza di un marchio o l'immagine che si propone di sé agli altri.
E' evidente che ci sono obbiettivi molto diversi, nel praticare tipi diversi di politica.

Di tanto in tanto sento (o leggo) di un politico italiano, dei tempi recenti, richiamato per nuove polemiche, nonostante sia morto da alcuni anni.
Quello che ricollego sempre è un aneddoto, indimenticabile, avvenuto mentre quest'uomo era sempre in vita.
Era il periodo fra il 1997-98, nei telegiornali appariva spesso l'immagine di Bettino Craxi in Tunisia. In particolare ricordo un giorno, in viaggio di lavoro, a pranzo con dei colleghi, in una trattoria molto popolare, che teneva il televisore acceso sulle ultime notizie.
Alle parole dei cronisti su Craxi, uno dei colleghi, un ex-militare, con altissimo senso dello stato e rigore morale, fece un commento che mi sorprese, per la chiarezza.
Disse più o meno "Io non capisco perché sia necessario parlarne tanto, ha avuto un processo, è stato giudicato colpevole, ha ammesso di essere colpevole: che torni in Italia, sconti la sua pena, se è malato la sconterà in un ospedale".
Un discorso senza una piega. Non so se fu per quello che gli altri commensali non replicarono neppure, o se erano rimasti colpiti come me dalla sintesi.

Le tesi di chi richiama quel personaggio dall'oltretomba sono solitamente a carico di un paio di fattori. Da un lato quello umano, il tentativo di appellarsi alla malattia del condannato -- che di per sé non cambia il giudizio appunto.
Dall'altro quello sul modo tutto italiano di fare politica, la scusante che tutti i politici sono in qualche misura dei lestofanti, e Craxi in questo aveva anche confessato di esserlo -- che in un'utopica società civile si chiama onestà, dovrebbe essere usata da tutti, e in ultima battuta può permettere di confessare una precedente disonestà, per accettarne i carichi.
Quel che di certo è inaccettabile, offensivo per tutti gl'italiani, è che quell'uomo, come presidente del Consiglio, aveva anche giurato fedeltà ad un ordinamento che poi ha violato e cercato di ridicolizzare.

Il simbolo proposto dai suoi sostenitori, quello della vittima con di fronte dei carnefici, è palesemente ridicolo.
Non viene più proposto con convinzione neppure nel populismo giornalistico sui ladri di galline, visti in chiave di "poveri in cerca di sostegno vitale per la propria famiglia". Non è più credibile probabilmente perché ormai la maggior parte della nazione è composta da poveri.

Una distinzione interessante è che sembra essere richiamato come esempio da tutti quelli che con lui han fatto affari sporchi.
Come se stessero cercando di rivalutare l'immagine del proprio passato, trasformandosi da complici (o artefici) della truffa in paladini dell'onestà ultima. Una sorta di assoluzione da tutti i peccati, per la quale non si rivolgono neppure ad un'entità suprema, perché non ne riconoscono alcuna, sopra se stessi.
Eppure neanche questo mi sembra il finale.

Quando si parla di organizzazioni criminali, a larga copertura e impatto su ogni aspetto della società, non si possono dimenticare i fenomeni mafiosi.
Come in ogni organizzazione criminale duratura nel tempo, si creano dei legami fra i suoi componenti, a suo modo un'etica dell'appartenere all'organizzazione stessa. Chi rompe le regole ovviamente viene non solo deprecato, ma condannato fisicamente.
I "pentiti" di mafia, o di altre grandi organizzazioni criminali, finiscono certamente per inimicarsi chi era con loro nel passato, con diretto rischio della propria vita e dei familiari. Insomma, qualunque siano le ragioni, onesti alla fine oppure no, rimane il fatto che da condannati scelgono anche il rischio della vita.

Com'è che la classe politica, di cui tutti riconoscono l'inclinazione alla disonestà (fosse anche solo per le truffe in denaro), non si pente?
Insomma, Craxi è stato l'unico grande pentito di quel meccanismo?
Questo sembra riconoscere alla politica, in quei casi, la capacità di essere più prevaricante, più forte dei criminali che si macchiano di ammazzamenti.
Chissà se un Craxi ancora in vita, potenziale denunciatore di tutti quelli che con lui hanno avuto le mani in pasta, sarebbe stato idolatrato tanto. Probabilmente quelli a cui fa veramente comodo da morto sono proprio loro, i suoi vecchi compagni di merende.

martedì, novembre 01, 2005

Globale

Per quanto io stesso abbia tendenze estremiste (non necessariamente cattive, semplicemente estremiste) sono decisamente contrario agli estremismi.
Quando mi dico estremista intendo anche in quelle espressioni che magari estremizzano il babbo natale che c'è in noi, o anche l'ottimista.
Ogni espressione estrema, secondo il mio pensare, ha un potenziale pericoloso. Chi valuta la pericolosità e chi ne soffre, possono poi essere persone diverse.
S'immagini ad esempio un Buddha che predica felicità, decine milioni di persone che ci credono e la realizzano, con il pericolo di crollo di tutti i governi coinvolti. Migliaia di politici che non riescono più ad essere falsi e credibili allo stesso tempo. Se sono stati tolti di mezzo Martin Luther King e Gandhi, figuriamoci chi ottenesse di più.

Il primo punto, di qualsiasi cambiamento, è la gradualità.
Nella gradualità si vedono accettate anche cose ignobili, non solo quelle nobili, ma del resto le rivoluzioni hanno solo portato impulsi di cambiamento: non mi risulta che nessuna rivoluzione abba portato, da sola, un cambiamento sostenuto nel tempo.
C'è un tempo per la gradualità.
Perché ne abbiamo bisogno, per umanizzare il cambiamento, per comprenderlo.

Sono finito lontanissimo dal titolo, ma cerco di riprenderlo.

La globalizzazione è un cambiamento buono o cattivo?
Ora qui sorgono alcune considerazioni linguistiche, semiotiche, che già da sole mi sembrano enormi.
Nel termine, leggo dal Garzanti che si tratta di un fenomeno d'interdipendenza economica a livello globale. Da Wikipedia apprendo che sembra essere nato tutto negli anni '70, nel senso poi accettato come "distruttivo", del termine.

Le nazioni colonialiste di tre o quattrocento anni fa (ma anche di più), non dipendevano già da alcuni beni, ottenuti come sfruttamento delle loro colonie?
Mi sembra che ci si soffermi solo su quello che la nostra memoria storica riesce a percepire, ovvero tornando indietro al massimo di una quarantina d'anni.
Come se l'Europa, avesse scoperto solo dal 1970 che caffè e tabacco provenivano da paesi poveri.

I due estremismi che vedo in guerra, sono invece ben più recenti.
Da un lato quello delle multinazionali, forma moderna ed accresciuta delle compagnie coloniali.
Dall'altro quello dei no-global, una forma riveduta e corretta di hippies armati.
Messa in questi termini è evidente che non ci sarà mai una vittoria definitiva contro lo sfruttamento dei paesi poveri, visto che chi rappresenta le loro difese nei paesi ricchi si presenta come disadattato, inviso al sistema e allo stato sociale imperante -- non ha nessuna importanza l'equità dello stato sociale, la sua giustizia o altro, sono fenomeni puramente collaterali.

Fra due estremismi, in guerra, continua sempre a vincere quello con le armi più forti, con gli amici più potenti -- penso ad esempio ai casi di guerra letterale, come fra israeliani e palestinesi.
Per il potente di turno, i no-qualcosa, gli anti-qualcosaltro possono anche essere un'ottima arma di propaganda.
E' così facile affermare che "loro usano la violenza".
Soggetti come Jose Bové sono ottime armi in mano ai detentori del potere economico, il perfetto esempio di "come sono cattivi i nostri nemici". Così un contadino idiota, diventa rappresentativo di una nazione che è comunque contraria al resto del mondo, per il solo fatto che esiste e che non è più una loro colonia. Scommetto che avrebbe incendiato i TIR italiani che portano vino italiano in Francia, ma stavolta TIRava di più McDonald.
E di cose contro le multinazionali come McD o la CocaCola se ne possono sicuramente dire tantissime. Casualmente Bové è partito dalle multinazionali americane, non dalle molte francesi, magari nel settore petrolifero.

Sono ignorante, lo ammetto, non ho "studiato la lezione" né dei contrari alla globalizzazione, né quella delle multinazionali.
Sicuramente le due sono ricche di quello che in inglese si chiama spin-doctoring, capovolgimenti di fatti in modo che appaiano tutti veritieri e assoluti.

Non avevo bisogno di leggermi la versione delle multinazionali, perché vedo da tutta la vita gli effetti che hanno localmente e globalmente: difficili da spacciare come solamente positivi -- non citerò d'esempio Bhopal, ma fate conto che abbia citato un'altro dei mille casi simili.

Che dire poi dei movimenti contrari all'economia globale, spesso infarciti di leggende metropolitane prima che di fatti. Incapaci di fare informazione, sempre più spesso si vantano di fare disinformazione o distruzione, come segno di protesta.

Note dal mondo
Ma se io volessi mangiare un frutto cubano, vestire con abiti di cotone indiano, bere caffè sudamericano, sedermi su una sedia di legno africano... divento un globalizzatore pericoloso e distruttivo?
In ogni caso?

L'interdipendenza del pianeta è a mio parere imprescindibile. Economicamente, ecologicamente, culturalmente.
Non esiste più il piccolo mondo antico dove cacao e caffè erano roba da ricchi, per cui neppure degni di economia globale.
La globalizzazione, per il significato della parola da vocabolario, trovo quindi che sia non solo inevitabile, ma da accettare come progresso. Fermi un momento però: questo non giustifica i modi con cui viene applicata oggi.
Quello che voglio dire è che la demonizzazione, la rappresentazione in forma di peccato mor(t)ale, sono completamente sbagliate nei metodi e nell'applicazione.
Ad un'aberrazione sociale, come ad un tumore, si applica la scienza, non la catechesi.