mercoledì, novembre 14, 2007

Futuro possibile

Ho l'impressione sempre più spesso, quando torno in Italia, che siamo diventati un paese prigioniero delle paure. E la prima è quella del futuro. Declinata in varie forme. Fanno paura la società multietnica, i cambiamenti sociali, le scoperte scientifiche, sempre rappresentate come pericoli, la contemporaneità in generale. Si fa strada, perfino fra i giovani, la nostalgia di un passato molto idealizzato. Si combina una memoria corta e un speranza breve, e il risultato è l'immobilità.
Il passato sarà un buon rifugio, ma il futuro è l'unico posto dove possiamo andare.
Renzo Piano

Qual è il futuro più probabile che ci aspetta? Chissà quante volte ci poniamo la domanda, davanti agli eventi che ci attorniano, ma anche con quelli che in prima persona condizioniamo.
Il breve periodo citato sopra, da un'intervista al signor Renzo Piano, credo che sintetizzi in modo chiaro ed esemplare la sempre più comune visione del futuro. Lo si vive con timore, tanto da voler desiderare che non arrivi, chiedendosi con ansia come sarà, anche quando siamo deputati a costruirlo direttamente.
E quanti casi mi vengono alla mente, di questo comportamento.

Il caso di Piano è il progetto di una torre, nella città di Torino. I primi articoli che avevo visto, alimentati dai detrattori, avevano creato immagini tanto allucinanti, quanto false. Negli articoli successivi la cosa si ridimensionava, eppure non rendeva ancora il risultato finale, visto che nella realtà le due costruzioni comparate sarebbero a 2,4 km di distanza.
Un gioco di prospettiva, e la sollevazione del populismo è servita.
L'intervista di Piano è molto interessante, ma non la posso riportare per intero. Qualche estratto però rende bene l'idea di quel che stiamo alimentando, con l'idea dei buoni propositi
[...] costruire in verticale ha dei vantaggi. Qui per esempio, il vantaggio è di poter creare un grande parco per i torinesi. Il San Paolo [l'istituto bancario che ha commissionato l'opera] ha molto terreno, io potrei sdraiare la torre in orizzontale. E i verdi, per assurdo, sarebbero contenti di far sparire un parco.

Nelle immediate vicinanze di Firenze è in discussione, credo ormai da anni, la costruzione di un impianto d'incenerimento dei rifiuti. Nella zona, come spesso accade, ci sono decine di comitati cittadini contrari, che periodicamente organizzano manifestazioni, in alcune delle quali hanno avuto come sostenitore anche il signor Beppe Grillo.
La stessa zona è limitrofa niente meno che ad un'oasi faunistica: quale scempio, viene da pensare.
Ma se non avete mai transitato da quelle parti, forse è anche opportuno sapere che adiacente all'oasi faunistica si trova una discarica di dimensioni ciclopiche. Ha creato ormai colline geograficamente rilevanti, la cui fauna sono interi stormi di gabbiani. E' forse questa la vera oasi faunistica in pericolo?
C'è da credere che sia in pericolo assai grave, perché nel giro di pochi anni, due o tre al massimo, dovrà essere chiusa la discarica. Niente più rifiuti come cibo per i volatili, ma magari resterà l'odore della decomposizione, già oggi percepibile a parecchi chilometri di distanza, così da ricordare di vivere vicino a un'oasi faunistica.
Il presidente della Provincia ha iniziato una campagna a sostegno del futuro inceneritore, visto che il 2 dicembre prossimo sarà proposto un referendum popolare, per deciderne il futuro. Su un cartellone si estende una superficie d'acqua, da cui emergono due mani, come in gesto d'aiuto, mentre sopra si legge: "Problema: se una famiglia produce 5,7 kg di rifiuti al giorno e solo il 50% è riciclabile, tra quanto tempo saremo nella cacca?".
I numeri, purtroppo, non fanno breccia in chi solleva l'emozionalità popolare.

Lo stesso discorso è valido a meno di venti chilometri di distanza, dove un altro inceneritore genera da sempre polemiche. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la chiusura di questo per un eccesso nelle emissioni nocive, dopo moltissimi anni di funzionamento regolare.
Dalle analisi di questi giorni è risultato che ci sia stata una partita difettosa di carbone attivo, impiegato nei filtri. L'azienda di gestione ha cambiato fornitore, fatto nuovi test, e si sta preparando a riaprirlo, ma in quale clima?
I comitati del "no" si presentano casa per casa, facendo più terrorismo che informazione. Alla domanda posta loro "Perché non agite prima contro i vivai di piante, che stanno infiltrando diserbanti e altri inquinanti sicuramente tossici nelle falde acquifere da anni?" la risposta è stata "Ah, ma contro quelli chi può farcela?"
Quindi, non potendo combattere gli inquinatori dichiarati (perché troppo forti economicamente) han deciso di ripiegare sugli inquinanti probabili.
Quando mia nonna, abitante della zona, è stata fermata al mercato, per una distribuzione di volantini contro l'impianto di termovalorizzazione, ha detto di essere stufa di quelle proteste e ne ha rifiutato uno. La risposta del ragazzo che li propugnava è stata "Speriamo che tua sia la prossima a morire". E' questo il tipo di benessere che ci si augura di raggiungere?

La guerra alla radiofrequenza, come le emissioni dei telefoni cellulari, è un altro campo di battaglia in cui non si vuole vedere futuro.
Nonostante tante ricerche scientifiche, condotte in modo indipendente, che hanno assolto certe emissioni dalle cause di patologie, si preferisce ancora cercare qualcuno che le smentisca. Insomma, non è possibile che non siano estremamente dannosi, perché la tecnologia deve esserlo, in qualche modo.

Ieri ho assistito casualmente a una breve intervista televisiva, con argomento le centrali nucleari, realizzata in differita con domande uguali a un sostenitore e a un detrattore.
Il nodo delle centrali nucleari a fissione è sicuramente spinoso.
Tanti anni fa, al referendum abrogativo, fui decisamente contrario alle centrali in Italia. E sono convinto di aver fatto una buona scelta, in quei tempi. Ad oggi però trovo ragionevole che se ne torni a parlare, sia per le nuove tecnologie, sia per le stringenti necessità energetiche.
Non saprei capire però se siano la scelta migliore, visti gli aspetti negativi, come lo smaltimento di scorie (che negli impianti moderni è però ridotto, rispetto ad allora).
Sugli impianti nucleari a fusione sono tutti d'accordo per farli: che sia principalmente perché non sono ancora fattibili a livello tecnico?
Quello che però so capire è quando mi si raccontano alcune bugie (non tutte, purtroppo).
Il detrattore delle centrali nucleari, nell'intervista detta sopra, era un esponente parlamentare dei Verdi. Non ricordo il nome di questo signore, ma ricordo benissimo quello che ha detto (molto più importante).
Alla domanda su cosa ne pensasse del fatto che siamo attorniati in Europa da altre centrali nucleari, di paesi stranieri che ci vendono energia elettrica, ha sentenziato che non è vero, e che secondo il presidente dell'ENEL noi vendiamo energia elettrica all'estero. Devo dire che questa frase mi ha lasciato attonito, viste le relazioni dell'Agenzia Internazionale per l'Energia, che ho avuto modo di leggere e commentare. Com'è possibile affermare ciò, quando dipendiamo per una percentuale così platealmente enorme dall'estero?
Alla seguente affermazione che poi l'energia nucleare è la più costosa in assoluto, viene nuovamente da chiedersi se abbia mai letto qualche resoconto reale di costi, come quello in breve sempre della IEA. Nonostante gli alti costi d'impianto e smaltimento, il costo totale risulta infatti paragonabile alle centrali a gas o carbone.
E se proprio vogliamo fare il conto dei costi, la generazione da energie rinnovabili è spesso svantaggiosa, addirittura il solare fotovoltaico è del tutto sconveniente: infatti il costo di generazione è già superiore al costo massimo dell'energia per gli utenti.

mercoledì, ottobre 24, 2007

Diritto alla povertà

Chiunque intraprenda una qualsiasi attività commerciale o professionale, come buona regola per la fine dell'anno fiscale, non può che imbattersi in qualche bilancio.
Se fino a qualche anno fa lo scopo era di capire come andasse in generale il proprio lavoro, adesso è sicuramente primario il confronto con i noti studi di settore, di cui avevo già scritto e riscritto, diciamo pure a sufficienza.

La breve nota del giorno insiste un po' sulla fatica nel diventare poveri. Perché se credevate che fosse impegnativo diventare ricchi, c'è anche da sapere che è costoso impoverirsi.
Aldilà della spregiudicatezza degli imprenditori, che magari hanno conformato alcune attività ad apparire poco redditizie, c'è la difficoltà di chi realmente non incrementa di anno in anno i propri incassi. Come nel mio caso.
E' infatti richiesto dal Ministero delle Finanze che ogni attività non abbia mai un fatturato ridotto, rispetto all'anno precedente, e che anzi sia in continua crescita. Dove questo non avviene, la differenza fra il reale e lo stimato viene intesa come importo evaso. A quel punto, per un procedimento automatico, viene emessa una cartella esattoriale per quell'importo, oltre una multa.
La situazione appare paradossale, tanto che pensando alla compilazione automatica della richiesta presupponevo che un ricorso avrebbe fornito il chiarimento necessario.
In realtà, da quanto ho appreso, nessun ricorso viene accettato: al limite viene fatto qualche sconto, diciamo centinaia di Euro, sulle migliaia.
Insomma, la povertà bisogna pagarsela.

Per dirla tutta: chi opera correttamente, onestamente, deve finire col preoccuparsi. Perché basta poco per arrivare a pagare multe e tasse inique.
Mentre i molti che vivono di sotterfugi, di piccoli e grandi raggiri, possono al massimo vedersi ripresa una parte di quel che hanno evaso.
E' triste osservare che continua ad essere punito chi professa l'onestà, qualunque schieramento si avvicendi al Governo del paese. E' evidente che sono sbagliati i metodi, o perversi gli intenti, se non entrambe le cose.

venerdì, ottobre 19, 2007

In formazione

La comunicazione che può passare da questo weblog è invero limitata, in parte per le mie capacità ed interessi, e in parte per lo scarso numero di lettori.
Ogni weblog è una sorta di diario pubblico, infatti per scopi diversi avrebbe anche nomi diversi, quale forum di discussione oppure pubblicazione on-line.

In questi giorni sta sconvolgendo la rete Internet italiana una proposta di legge, che ha iniziato il suo iter lo scorso agosto e il passato dodici ottobre ha superato l'approvazione del Consiglio dei Ministri.
Lo scopo della legge, come ci viene raccontato, è quello di regolamentare certe pubblicazioni che non siano iscritte al Registro degli Operatori di Comunicazione, richiedendone forzatamente l'adesione. Chi sono questi soggetti?
Praticamente chiunque pubblichi qualcosa, inclusi i weblog.

La legge è confusa, e non poco. L'opinione di Punto Informatico è che non vedrà il termine del suo iter, mentre altrove si leggono commenti piuttosto vaghi.
Scade quasi nel ridicolo l'affermazione del signor Ricardo Franco Levi, che alla domanda su chi saranno i soggetti a doversi iscrivere al ROC, sborsando denaro, risponde "Non spetta al governo stabilirlo, sarà l'Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute davvero alla registrazione."
Insomma, lui ha solo proposto la legge, poi sarà qualcuno altro a spiegargliela: noi che ne abbiamo letto qualche stralcio non facciamo fatica a capirne alcune applicazioni.

In poche parole, Internet è un mezzo troppo libero, è così facile scrivere qualsiasi opinione, senza che possa essere combattuta con le più severe norme contro la diffamazione a mezzo stampa. Qual'è la soluzione?
Nella perversa mentalità del signor Levi, sembra essere l'equiparazione di Internet a qualsiasi altro mezzo di comunicazione. Dove la libertà d'opinione viene tenuta sotto controllo, ed è più facile rivalersi con un indennizzo monetario, quale deterrente verso ogni pensiero.
In effetti pure queste righe potrebbero causarmi guai giudiziari, se quella legge si applicasse già, e se il Levi giudicasse infamante l'accusa di mente perversa.
E se il gestore di questo servizio fosse in Italia, ovviamente: in tutti i paesi che non hanno un governo totalitario infatti non c'è restrizione del genere.

La caparbia idiozia con cui si continuano a produrre disegni di legge (e purtroppo anche leggi) non cessa mai di stupirci.
Così come appare chiaro che quell'idiozia è un fenomeno totalmente trasversale, senza uno schieramento politico di riferimento: pare veramente improbabile, riuscire a costruire una formazione di politici atti a governare questo Paese con un minimo di sale in zucca.

mercoledì, ottobre 03, 2007

Otto per mille e altri numeri

"A chi destina l'otto per mille?" -- alla domanda della commercialista, alcuni anni or sono, risposi ingenuamente "Lasci pure in bianco, che vada allo Stato".
Ebbi invece un chiarimento inaspettato, che non solo rivelò la mia dabbenaggine, ma soprattutto l'astuzia con cui se ne avvaleva qualcun altro. Andiamo per ordine: strettamente inverso, com'è mio solito ragionare, fasullo emule di Sherlock Holmes.

Il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un'inchiesta, giorni or sono, sulla destinazione dell'otto per mille dell'IRPEF (e un breve riassunto si trova anche sulla rete). Oggi ha ripreso l'argomento, probabilmente per le forti critiche ricevute, snocciolando così altri numeri.

"In fondo, se c'è chi li sceglie, avranno diritto di essere assegnati a piacere" è un commento che mi è pervenuto chiacchierando del primo articolo sul quotidiano.
Il ragionamento non fa una piega, se non ci fossero alcuni distinguo. Il primo riguarda sicuramente la modalità di raccolta, organizzata dallo Stato: perché raccogliere fondi in modo indiretto, anziché con una questua?
Perché se la carità volontaria ci costringe a frugare nelle tasche, il prelievo dalle imposte ci appare indolore: sono soldi che comunque avremmo sborsato.
Visto che il cittadino italiano medio non si identifica con lo Stato, che vive ogni tassa e imposta come profondamente inutile e ingiusta, non ha neppure coscienza di dove finiscano i soldi prelevati: li deve sborsare, tanto basta per lamentarsi.

Il racconto però, prende qui una piega da riassunto, visto che mi trovo solo ad esporre in breve quel che ci racconta l'articolo di giornale.
L'origine dell'otto per mille è da ricercarsi nel contributo dato dallo Stato per lo stipendio dei sacerdoti -- viene peraltro da chiedersi come mai vengano stipendiati dallo Stato italiano i rappresentanti di uno Stato estero (Città del Vaticano), ma non fermiamoci qui.
Se in origine serviva a quello, adesso non è più propriamente questo: i sacerdoti cattolici (originali destinatari dell'iniziativa) infatti sono diminuiti in numero, quindi i fondi raccolti sono notevolmente maggiori del necessario.
Dove vanno i soldi?

Nel caso della pubblicizzata emergenza tsunami, nei paesi del sud est asiatico, sei milioni di Euro andarono nelle spese pubblicitarie: realizzare un filmato di qualità, toccante, aveva i suoi costi.
Nell'opera caritatevole (quella pubblicizzata) sono finiti solo tre milioni di Euro, la metà del costo pubblicitario. Lo zero virgola tre per cento dei contributi dell'otto per mille, che per la Chiesa Cattolica si attesta sul miliardo di Euro l'anno.
Il contributo volontario sulle imposte ha fruttato così tanto? Non esattamente.

"..Se lei non specifica il destinatario dell'otto per mille, la quota non destinata a nessuno viene redistribuita fra tutti" -- a queste parole della commercialista risposi con un certo stupore, sentendomi pure un po' sciocco per non essermi documentato prima.
Quanti sono gl'italiani che non decidono un destinatario dell'otto per mille? Tanti, decisamente molti: quasi il sessanta percento.
Così, il maggior beneficiario del versamento, la Chiesa Cattolica, con meno del 37% delle firme, ottiene circa il 90% dell'importo disponibile. Con altre anomalie di contorno: è infatti l'unico beneficiario che riceve il denaro anticipatamente, mentre gli altri vengono saldati dallo Stato dopo circa tre anni.
Perché lo Stato non informa i cittadini di queste modalità? In fondo può esso stesso avvalersene, se i cittadini sottoscrivono di destinargli l'otto per mille.

Chissà quanto può rendere felici i poveri e gli emarginati il miliardo di Euro raccolto: la campagna pubblicitaria ci dice tutto quello che viene fatto con quei soldi.
Con tutti quei soldi?
In realtà l'investimento in opere di carità è solo il 20% del totale: il 29 settembre, per la prima volta, la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha pubblicato le cifre. Finora non aveva mai fornito cifre ufficiali, su un bilancio da un miliardo di Euro l'anno -- unico dei beneficiari a non rendere trasparenza.
Perché la CEI non redistribuisce l'intero importo in opere di carità, similmente alla Chiesa Evangelica Valdese?

Quindi adesso c'è almeno una chiarezza: 800 milioni di Euro l'anno, grazie ad un gioco di prestigio, passano dallo Stato italiano a quello vaticano, e oltre 500 milioni di Euro vi finiscono perché qualcuno non ha deciso dove andassero.

martedì, settembre 11, 2007

Il colore della rabbia

Qualche giorno fa si è tenuta la manifestazione organizzata dal signor Beppe Grillo, denominata V-Day, che nelle intenzioni originarie era la contrazione di "vaffanculo-day". C'è da dire che anzitutto sta tuttora impegnando le pagine dei giornali, e ancora non hanno affondato la notizia.

L'epiteto è all'indirizzo dei politici corrotti, e verso il sistema politico attuale, con tre proposte che ritengo legittime, oltre che interessanti.
I tre punti dicono no ai condannati in parlamento, no alla politica parlamentare come professione di vita (limitando a due anni il tempo massimo di eleggibilità) e sì all'indicazione dei parlamentari direttamente nelle preferenze elettorali. Tutte ipotesi che mi appaiono ragionevoli, tutte verso un buonsenso della politica, e della democrazia.

Sulle cronache locali leggo di comitati cittadini che si stanno costituendo, partendo dai manifestanti all'evento. Infervorati dal grande consenso popolare, sospinti dall'eco raggiunta.
Visto che buona parte dei manifestanti (se non tutti) provengono dagli schieramenti di sinistra, è evidente che questo movimento sarà il prossimo avversario del fantasioso partito democratico: un partito costruito a tavolino, da politici di professione, e rappresentativi dell'elettorato di centro-sinistra.
Eppure questo partito dei Grilli (come pare si vogliano far chiamare qui) non nasce senza precedenti. Se mettete insieme gli interessi del signor Grillo non potete che ritrovarci qualcosa di già sentito, ecologismo su un versante, avversione alla politica attuale sull'altro.
L'ispirazione alla natura era finora prerogativa dei Verdi, nati dalla spinta ecologica, anche dei fanatismi, approdati in parlamento, e pian piano assorbiti dal sistema.
L'odio per i politici del momento era, per esempio, uno dei moti ispiratori della Lega Nord, che proponeva un ribaltamento della politica, visto che non li rappresentava a dovere.
La deriva pronosticabile dei Grilli è quella di un nuovo partito, che frammenterà di nuovo il panorama politico, mentre la politica attuale sta cercando un'aggregazione quasi monolitica. Il passo a posteriori (come per i due esempi citati prima) è di essere di nuovo riuniti, diciamo fra una decina d'anni, dopo essere stati riassorbiti, nuovamente asserviti al sistema.

Perché faccio queste ipotesi? E' presto detto.
Il sistema politico attuale si è creato da solo, con pazienza e tanti anni di esperienza. E' in parte consapevole della propria fragilità, se confrontato con le necessità dei cittadini, ma sa anche che è possibile rimodulare, riprogrammare, i cittadini.
Il punto debole del grillismo è il solleticare solo una parte dell'elettorato, quella schierata a sinistra, come se il bisogno di legalità fosse una questione di parte. Non può fare lo stesso solletico a chi siede a destra, perché se anche fossero divertiti dal Grillo-comico, sarebbero raffreddati in primis dalle suo posizioni originarie, che sono sempre state di simpatia verso sinistra.
E' piuttosto raro trovare elettori che valutino obbiettivamente i propri candidati e quelli avversi: è molto più facile dichiarare sempre buoni i propri, e sempre cattivi quelli altrui. Il bipolarismo buoni assoluti/cattivi assoluti ha spesso la meglio sul buonsenso.

Però potrei anche sbagliare: magari voi riuscite a contare trecentomila italiani scesi in piazza, a protestare contro la politica, pur essendo sostenitori di tutte le forze politiche esistenti. E al contempo capaci di restare fedeli ai partiti d'origine, pur richiedendo loro un impegno diverso.
Se invece approdano tutti compatti ad un nuovo partito, degli insoddisfatti, dei verdi di rabbia, ho il timore che non ci sarà una grande svolta.

venerdì, settembre 07, 2007

Vissi d'arte, vissi d'amore

Negli elogi funebri si scorgono sovente dei vuoti, e dei maldestri rappezzamenti, sulle attività meno felici del caro estinto.
Un paio di veloci ricordi li ho avuti nella rapida scorsa che ho dato oggi, su un quotidiano, riguardo la prosopopea sulla morte del signor Luciano Pavarotti. Va da sé che ho sempre apprezzato molto le sue interpretazioni liriche, sebbene io non sia un esperto del settore: in ogni caso non le metterei in discussione.
Quello che ho ricordato, di meno nobile, erano due altre vicende, in parte dimenticate e manipolate.

Visto che era inevitabile che qualcuno lo ricordasse, sono stati subito prodotti articoletti per citare, nel passato di questo signore, anche le sue vicende giudiziarie.
Vicende trattate come se ne fosse uscito con grande galanteria, mentre in realtà non era mai stato smentito essere un truffatore verso il fisco. Aveva infine evitato le pene carcerarie non per assoluzione, ma perché una legge del tempo portava alla prescrizione e alla non perseguibilità, il falso in bilancio.
Non soddisfatto, dopo il non luogo a procedere per i motivi suddetti, ebbe anche a commentare con queste parole: "Finalmente è stata fatta giustizia". Come dire, legalizzando il furto, tutti i ladri si sentono giusti e giustificabili.

L'altra vicenda di cui invece non trovo menzione (ma confesso di non aver letto molto) è relativa ai concerti benefici, gli eventi detti Pavarotti & Friends.
Di questi ho letto solo grandi plausi, lodi, e ricordi al defunto da parte di rinomati artisti internazionali.
Eppure non era esattamente per questo che li ricordavo.
Se andate a pescare negli archivi di Report, il programma televisivo d'inchiesta, potete sapere nel dettaglio, per cosa li ricordavo.
Comunque guardiate la trasmissione Report, considerandola più o meno veritiera quando esprime opinioni, è piuttosto difficile passare oltre i numeri scritti. E i numeri sono decisamente scomodi, riguardo ai soldi che sono passati dalle opere di beneficenza, per le mani di società create come scatole vuote, che ad ogni transazione riescono a raschiare centinaia di migliaia di Euro. Per finire ai destinatari del denaro (in quel caso i bambini della Liberia), che hanno ricevuto quel poco denaro rimasto, ma solo come compenso per il dittatore che comprava armi e li ingaggiava come soldati.

In fondo suona così impietoso, additare le cattiverie commesse a un personaggio così bravo, generoso, munifico. Solo che io sono più dotato di senso pratico e memoria storica, non devo ingraziarmi nessuno, e soprattutto non ricavo denaro dai miei articoli: posso permettermi anche di raccontare quello che altri evitano.
Sarà chi legge, a decidere se questo signore è veramente vissuto di sola arte e d'amore.

martedì, agosto 28, 2007

La lettera elle

Qualche giorno fa leggevo un articolo di politica e cultura internazionale, al riguardo di una donna iraniana, di orientamento omosessuale, vittima di due soprusi.
Il primo accaduto nel suo paese d'origine, dove non solo le è vietata la sessualità, ma è persino condannata con la morte.
Il secondo è avvenuto a seguire, nel Regno Unito, dove ha chiesto asilo politico, ma le è stato negato, perché non ha portato prove concrete della sua omosessualità -- immagino che avrebbe dovuto condurre la sua compagna, a testimonianza, ma che sfortunatamente è già stata arrestata in Iran, e probabilmente giustiziata.

I britannici non sono europei, questo è palese. La frase non è mia, ma di un signore inglese, con cui mi capitò d'intrattenere dei rapporti di lavoro, alcuni anni fa.
Alla mia domanda, riguardo la possibile entrata della loro nazione nella moneta unica europea, rispose che prima o poi sarebbe avvenuto, ma che non sarebbe piaciuto a nessuno, sulle loro isole: "noi non siamo europei, siamo britannici".
Non credo però che nel resto d'Europa la situazione sarebbe stata facilmente a favore della lesbica iraniana. Forse in Olanda, o in qualche paese scandinavo, chissà.

Curiosamente, il giorno precedente, mi era capitato di vedere in televisione un episodio della serie the L Word.
Non ne avevo mai visti prima, e devo dire che si tratta di un immaginario decisamente raccapricciante. E non mi riferisco ai rapporti affettivi fra donne, tutt'altro.

Il taglio è anzitutto quello classico di molte serie americane moderne, con le molte storie intrecciate fra loro e una buona cura dell'immagine.
Il primo lato che mi è apparso inconsueto è quello dell'immagine delle protagoniste: tutte molto belle, tutte molto femminili, nemmeno un accenno androgino. Può essere un caso, ma ho spesso osservato come ci siano un po' di segni caratteristici dell'altro sesso, in molte persone omosessuali: e mi sembra la normalità. Non intendo che ci debba sempre essere un'esclusiva tendenza a somigliare in ogni modo all'altro sesso, ma nel mondo reale è comune vederlo spesso.
Le donne di the L word sono invece rappresentative solo di un campione che non ha simbolismi maschili, nessuna di loro si atteggia o veste in modo mascolino.
E' altrettanto possibile che la sessualità femminile con attrazione verso il femminile, sia in larga parte connotata da simbologie del tutto femminili, senza tendenze maschili. Eppure la prima impressione che ho avuto dalle storie narrate è rimasta la stessa fino alla fine dell'episodio.

Un chiarimento mi è venuto dal riflettere su tutto l'insieme, vedendo come venissero descritte le scene più intime dei rapporti fra le protagoniste. E qui non ho potuto che essere infastidito, perché ho realizzato chi fosse il target del telefilm: gli uomini.
Non avrebbe senso far vedere qualche lesbica mascolina, perché l'obbiettivo è di realizzare un prodotto che sfiora i confini della pornografia soft, dove gli spettatori sono probabilmente uomini, per i quali deve essere inscenato un tipo di rapporto gradevole.
Non sono i rapporti curiosi di Sex and the city, altra serie assai più famosa, dove l'ironia ci rende simpatica anche la finzione più sfrenata.
Trovo the L word quasi lesivo dell'immagine femminile, soprattutto delle lesbiche, che vengono rese caricaturali.
Solo uno degli avvenimenti dell'episodio si concludeva con una riflessione più profonda di una protagonista, accusata di essere una persona perversa in ogni suo agire, in quanto not straight. L'accusatrice era poi portatrice di quello che non è uno stereotipo della finzione: accusava di perversione, mentre aveva alle spalle una figlia disadattata, divenuta pornostar dopo il rapporto disagiato con la madre.
Questa riscossa finale, nello stile "ci date di peccatori, ma voi avete già peccati più grandi", forse ha risollevato un po' l'immagine o l'immaginario della sessualità lesbica. Di certo ha sottolineato la cura di facciata attraverso cui passano le società occidentali in decadenza.

La prima ipocrisia sta proprio nell'espressività. E' infatti comune per gli americani evitare le cattive parole, credendo che sia accettabile per un puritano pensarle, ma non dirle direttamente. In questo modo il volgare fuck diventa una F-word.
E allo stesso modo hanno trincerato lesbian dietro la L-word. Dimenticando deliberatamente che lesbian non è una cattiva parola, anche se esprime una condizione vietata in Iran e nei pensieri degli americani probi.
Forse però, visto il taglio del programma, la parola nascosta non è lesbian, ma lurker (alla lettera "guardone"), distintivo del bisogno instigato negli spettatori.

Guardatelo e fatevene un'idea: visto che non ho precetti di divieto, non ho parole da nascondere, suggerisco tranquillamente agli altri di farlo, anche se non mi è piaciuto granché.

mercoledì, agosto 22, 2007

Partiti per la tangente

Capita di frequente che le parole abbiano molteplici significati, per non parlare poi dei significati figurativi che attribuiamo loro, metafore, metonimie e così via.
Mentre il significato geometrico e matematico di tangente lo limitiamo a campi specifici, pare sempre più spesso che il significato secondario, meno comune, ricordi solo l'accezione negativa: quella sulle somme corrisposte illecitamente.
Chiederò quindi uno sforzo di fantasia per saltare da "quota spettante di un guadagno economico" (sia pur lecita) alla semplice "quota spettante". Quanto al resto del titolo, come sostantivo o aggettivo, rimane libertà di chi legge.

Mentre un po' di giorni addietro riflettevo su certe coalizioni politiche, che mi apparivano di risultato poco convincente, oggi ho letto di altre, assai diverse.
La carta vincente, del creare un nuovo soggetto politico, l'ha mostrata il signor Niccolò Ghedini, che smessi per un attimo i panni dell'avvocato salvatore di patrimoni, ha riferito
l'iniziativa è volta, nell'ambito della Cdl, a recuperare l'area del non-voto, che in Italia raggiunge ormai quasi il 20% dell'elettorato, e non certo a sostituirsi o a far concorrenza ai partiti della coalizione.
Anziché creare dall'inizio un calderone, in cui ficcare a forza i propri alleati, hanno studiato una doppia strategia: se gli altri compagni di merende saranno d'accordo, sarà il torpedone delle vacanze, ma se così non fosse sarà comunque un soggetto a se stante. Con un preciso obbiettivo: raccogliere tutti coloro che si sentono annoiati dalla politica, con il fine ultimo di accorparne i consensi. Riprendersi la quota spettante.
L'idea è in effetti assai efficace. Se un'azienda produce abbigliamento di lusso e abbigliamento sportivo, si può accorgere che una fascia intermedia di clienti vorrebbe avere anche dei capi intermedi: perché non creare una linea radical chic?
Ecco che questa soluzione mi appare vincente, per il bilancio di chi la pilota.
Ovvio che con un elettorato intelligente, con interessi primari diversi dall'ultimo reality show televisivo, non sarebbe una soluzione vincente.
Ma quella sarebbe la storia di una nazione diversa.

giovedì, agosto 02, 2007

L'ebbrezza dell'automobile

In questi giorni si sta preparando un decreto legislativo, per anticipare la legge sulla sicurezza stradale.
Quando il Legislatore si muove, verso i temi di attualità, dietro pressione dell'opinione pubblica, sono sempre piuttosto scettico sui risultati.
Certe leggi e decreti hanno la dote del facite ammuina, generati dalla capacità di mettere in movimento ministri e deputati, in un macchinario capace di sfornare in tempi più o meno lunghi, ma con vicende sempre complesse, degli editti pressoché inutili -- a meno che per utilità non s'intenda l'appesantimento dell'ordinamento giuridico.

Il punto caldo dell'estate, ma ricorrente anche negli inverni più rigidi, è quello delle sanzioni a scopo dissuasivo per chi assume alcolici prima di mettersi alla guida.
Il limite già presente per lo stato di ebbrezza, aldilà dei calcoli che si possono fare, è lamentato da molti per essere troppo basso, e facilmente superabile con modeste quantità. E' ben difficile sapere invece se la misura del troppo basso indicata da costoro sia reale, o esclusiva lamentela di chi ha la frequente abitudine di eccedere. Ricordo di aver udito il racconto sulle vicende di un signore, non presente alla narrazione, che non si era preoccupato di bere meno, ma di garantirsi che la compagnia assicurativa, nel caso di ritiro della patente, gli rimborsasse il taxi per andare al lavoro.
Tanto vale per chi ci ragiona su da sobrio.
Perché ci sono almeno un paio di considerazioni che si dovrebbero fare, prima di legiferare.
La prima è che il guidatore ubriaco (non solo leggermente ebbro) ha già perso da tempo il contatto con la realtà. Da quando ha iniziato a bere è arrivato più o meno progressivamente al bere sempre di più, e nella condizione finale non ha ovviamente la capacità decisionale di chi è sobrio. Chi è sobrio dovrebbe sapere ad esempio che è spesso impossibile far ragionare chiaramente un ubriaco. Chi è allora che dovrebbe essere spaventato dall'inasprimento delle sanzioni, se chi è già alticcio non se ne preoccupa più?
La seconda considerazione riguarda i livelli degli eccessi. Che il limite inferiore per l'ebbrezza sia troppo basso o no, la dimostrazione pratica, spesso dopo incidenti mortali, è che chi li supera in modo decisamente pericoloso non lo fa mai per "quel goccetto di troppo". I livelli misurati sono sempre più spesso di quattro o cinque volte il limite, prefigurando quindi una condizione di alcolismo.

Forse non se ne ha sufficiente percezione, di questa preoccupante tendenza all'alcolismo, l'ho realizzato qualche tempo fa, al pranzo per una festa, dove mi sono trovato invitato. Uno dei convitati, sulla trentina, era visibilmente alticcio, ma considerava se stesso in condizioni normali, anzi meglio del normale. Tanto da finire per raccontarci, insieme al suo amico del tavolo di fronte, che per loro un buon pranzo era quello in cui si erano scolati (in due) oltre una dozzina di bottiglie. Dopo erano usciti dal ristorante, ed erano andati verso il centro cittadino per l'aperitivo serale, ovviamente alcolico.
Così rimane non significativa la preoccupazione di chi vuole assecondare l'opinione pubblica, il partito dei pubblici scontenti, che ha bisogno della carezza consolatoria.
Si cerca di mettere un tappo in una sola perdita, con un problema che genera falle ovunque. Anziché prendere provvedimenti seri contro l'alcolismo, si cerca di limitare gli alcolisti a chi non guida l'auto.

Il fenomeno è molto simile a quello del consumo di tabacco.
Si cerca di tenere i fumatori fuori dal cerchio di chi non fuma, mentre l'interesse a ridurne il numero complessivo, a monte, non c'è.
Perché è faticoso, c'è da spendere tempo e denaro, e non si hanno risultati sufficienti da sbandierare dopo. E il denaro va perso come mancati introiti per l'erario, per non parlare delle inimicizie con i grandi monopolisti di alcol e tabacco.

mercoledì, agosto 01, 2007

Democrazia partita

Già qualche anno fa citavo un noto teorema, che avrei voluto richiamare in queste pagine assai spesso. Per non sembrare pedante, monotono, ho deliberatamente evitato di ripeterlo per mesi, ma nei pensieri di oggi mi era fin troppo ricorrente, per evitarlo di nuovo.

Sono mesi ormai che raccolgo chiacchiere, qua e là, sull'argomento del costituendo Partito Democratico, senza aver approfondito l'argomento, oppure avere presentato la mia personale disamina.
Ho anche avuto il racconto di chi ha partecipato a qualche incontro politico sull'argomento, e il riassunto fattomi è stato più che esauriente: confermava già tutto quel che ne pensavo.

La notizia di ieri, dopo la candidatura in extremis del signor Antonio Di Pietro, era anche l'altrettanto frettoloso rigetto del candidato.
Quest'oggi, leggo un annuncio a pagamento su un quotidiano nazionale, dello stesso Di Pietro, che commenta "il Partito Democratico ha perso un'occasione".
Il dubbio che ne ho avuto è stato molto semplice. Comprendo il fatto che Di Pietro potesse essere piuttosto scomodo, poco gradito in molti ambiti della politica governativa. Ma con la sua candidatura, ha voluto davvero proporsi per il partito finto-democratico, oppure ha voluto deliberatamente dimostrare che dietro la scenografia sfarzosa c'è il niente?

In fondo è l'obbiettivo finale del sistema bipolare tanto citato ultimamente.
Ricordo che già più di vent'anni fa citavo ad esempio la politica del nord America, per dimostrare come si possa costituire un sistema politico complesso, che indice elezioni pubbliche, con una moltitudine di rappresentanti al governo, ma che infine prende scelte totalmente indipendenti dal popolo che l'ha eletto. La logica vincente era di fornire due scelte, A oppure B, così che nessuno potesse dire che mancava la possibilità di decidere del futuro.
Ricordo di quei tempi l'Unione Sovietica già traballante, ma che veniva additata come un regime senza possibilità di scelta, mentre gli Stati Uniti d'America come il paese della libertà. Per qualcuno, allora come ora, chi era un homeless, un barbone americano, faceva una scelta, in piena libertà. Chi sceglieva fra il partito A e quello B compiva una scelta, indipendentemente dal fatto che i due schieramenti avessero gli stessi obbiettivi, se guardati da un punto di vista esterno. E a posteriori è ancora più facile osservarlo: l'alternanza ha prodotto le stesse guerre, le stesse operazioni segrete, gli stessi scandali.
Esula dalle mie capacità il fare osservazioni quantitative, e rapportarle a quelle qualitative: la mia percezione si limita al capire che nessun cambiamento, in quel paese, ha mai portato modificazioni radicali. E se quello è l'esempio più forte di bipolarismo, in una nazione forte, con un senso patriottico elevato, non voglio neppure immaginare che risultato potrebbe avere qui.

Ma torniamo ai nostri contes de fées, alle favole nostrane.
Chi crederà nel futuro partito, di tronfia democrazia più che di trionfale tale?
Forse è più facile rispondere a chi gli darà sostegno elettorale, responso che non necessita di grandi credo. Vi confluiranno tutti coloro che si sentiranno ormai in barca con l'attuale Ulivo, al pensiero che scendere significhi nuotare faticosamente. Sarà la naturale destinazione di chi ha sentito parlare per decenni di compromesso storico, e ci auguriamo sentitamente che non scateni di nuovo le violenze dei tempi passati. Sarà per certo un percorso verso il punto medio e mediocre dell'opinione pubblica, verso quel centro che vuole stabilità, tranquillità, anonimato della politica. L'incitazione a lasciar fare i politici il loro mestiere: gestire soldi e potere in modo discreto, senza mettere in mostra quell'ingordigia superba di cui tutti sanno, di cui è bene lamentarsene, ma niente più.
Sembra proprio che non siamo capaci di trovare alternative, fra il frazionamento dei mille partiti della bistecca, oppure all'opposto i due soli partiti del bene supremo, ma con ben due colori diversi.

lunedì, luglio 30, 2007

Generazione Disney

Non mi è ancora capitato di leggere Generazione X di Douglas Coupland, seppure abbia gradito molto altre sue narrazioni, come La vita dopo Dio, Microservi e Fidanzata in coma.
Nel primo citato ho sempre avuto la sensazione di un eccesso d'informazioni nel formato scelto dall'autore, che rende le pagine dei collage.
In fondo siamo effettivamente così, bombardati da un eccesso d'informazione, con sempre minore capacità critica. Sia perché si è formata una sorda assuefazione alla valanga di suoni ed immagini, sia perché alcune informazioni superano le nostre conoscenze, e diamo facilmente credito di verità a chi le diffonde.

Mi sono chiesto se la mia generazione, intesa in senso ampio, fra coloro che sono oggi trentenni o quarantenni, ha avuto qualche modello facilmente ricordabile.
Il suggerimento ai fumetti e ai cartoni animati, di una nota produzione americana, mi ricorre fra i pensieri con un'accezione del tutto negativa.
Mi basta guardarmi intorno e vedere il senso distorto della natura, quello ormai più comune fra gli abitanti di città, e perché no, anche di qualcuno periferico. Quella che identifico come visione disneyana del mondo è quella in cui l'antropomorfizzazione di ogni animale ha raggiunto prima degli estremi, e successivamente questi estremi sono divenuti media.
Quale senso della natura può avere chi guarda ad ogni creatura vivente come dipendente dalle stesse regole, dalla stessa psicologia, della specie umana?
E' un modo decisamente offensivo di porsi di fronte al resto delle specie animali. Se non ci fosse questo transfert filiale, questa aberrazione per cui si caricano gli altri animali di sentimenti e bisogni umani, esisterebbero le associazioni animaliste? Probabilmente sì, ma gli aderenti non sarebbero neppure un decimo.

Il ragionamento però era partito all'inverso, ancora più da lontano.
Una settimana fa mi sono trovato a contatto, per una giornata, con quella che Loli definiva la generazione MacDonald. Una definizione decisamente azzeccata.
Un grande gruppo di ragazzini, di vita cittadina, portati per una settimana in mezzo al verde della vita montana. Giovanissimi incapaci di rapportarsi con le cose più banali, non solo sul come si vive in mezzo a un bosco, ma proprio sul come si vive, e basta. A partire dall'educazione alimentare, del tutto inesistente. Incapaci di capire, da adolescenti, quali siano i bisogni fisiologici, ma anche incapaci di avere interesse o gusto per qualsiasi cosa che non fosse confezionata in un incarto colorato.
Di fronte a questa generazione abbiamo riflettuto parecchio su chi erano e da dove venissero, così sul dove stessero andando. Suppongo che sia lo scopo di ogni bravo psicologo, dato chi sei e da dove vieni, immaginare dove finirai per andare.

Chi erano i padri e le madri di questa generazione MacDonald?
Uomini e donne mai cresciuti, rimasti alla ricerca di un'adolescenza interminabile, dove tutto è un cartoon. Genitori di figli che non sanno crescere, perché desiderosi di esserne compagni di giochi e incerti nel ruolo normativo.
Incapaci di dare regole alimentari, igieniche e sociali che possano durare in loro assenza (e probabilmente mancanti anche in loro presenza).
Di solito li vedi nei supermercati, stancamente e svogliatamente spingono i carrelli della spesa, mentre i figli corrono, si rotolano per terra, rovesciano espositori. Dal genitore o dalla genitrice non senti una voce, non saprebbero che dire, non hanno il minimo controllo sui propri figli.
Non possono alzare una mano per uno schiaffo, non sarebbe disneyano. Sono cresciuti con il desiderio di rompere le imposizioni, credono di dare libertà ai figli, mentre regalano loro una crescita senza simboli, senza autorità, ma senza neppure autorevolezza. Senza nessun riferimento forte.

Come crescerà la generazione MacDonald?
E' difficile dare una regola generale, mentre è facile capire quali saranno gli estremi.
Crescerà con l'idea di una libertà per diritto di nascita, tutta già dovuta. Ogni minimo ostacolo della vita sarà insormontabile. E quando non sarà così si sentiranno comunque frustrati dall'avere il mondo contro, continueranno a fare le bizze anche da adulti.
Sentiranno di avere così tanta libertà da non sapere più cosa cercare, come già accade per la generazione intermedia, incapace di andare in una discoteca senza usare droghe, incapace di andare in un bar senza ubriacarsi, incapace di divertirsi se non rischia almeno la propria vita, e spesso anche quella di altri.
Una visione apocalittica.

E fino a quando continuerà così?
Per un po'. Quando il fenomeno sarà lo stile di vita stabile, ne seguirà qualche cambiamento, forse un'altra Restaurazione, ma più probabilmente un altro adattamento.

mercoledì, luglio 11, 2007

Come si cambia politica

Ogni tanto si sentono, leggono, vedono, esempi aberranti di cattiva gestione della politica statale italiana. E diciamo pure che accade piuttosto spesso, anche senza leggersi il lungo elenco di un libro specifico che ho notato ultimamente nelle librerie.

Questa mattina ad esempio ascoltavo alla radio il commento, di un avvocato di parte, sulla possibilità che venga revocato il mandato di deputato della Repubblica al signor Cesare Previti.
Ho citato assai spesso le vicende giudiziarie di questo signore, perché trovo che siano esemplari e lampanti. Eppure non sembra così, tanto meno se le sue stesse affermazioni fossero vere ("a giudizio di metà del Paese, questa situazione deriva da una sentenza ingiusta").
I suoi più recenti commenti alla vicenda sono ancora più sconvolgenti, per una persona che si fregia anche del titolo di avvocato: si suppone infatti che dovrebbe conoscere un minimo di legislazione italiana.
Il suo punto di vista è in breve questo: considero la sentenza con cui sono stato condannato ingiusta, dettata da motivazioni politiche, per cui non ho intenzione di scontarla, né di pagarne le conseguenze accessorie, come la destituzione dalla carica di deputato. Non importa che questa sia una legge dello Stato, ad imporre l'ineleggibilità e l'incompatibilità con la sua carica: lui non si sente colpevole e tanto basta.

Se un assassino, condannato in via definitiva, uscendo di galera chiedesse il porto d'armi, penso che si scatenerebbe un caso piuttosto rumoroso.
Ma questi sono casi del tutto diversi, qui si tratta di esponenti politici.
Già da anni è stato denunciato lo stato vergognoso del Parlamento italiano, eppure niente cambia.

Ora, visto che abbiamo in Parlamento (in ogni schieramento) dei politici che legiferano solo per gli altri cittadini (escluse le leggi a proprio favore), come si può cambiare la situazione?
Credo che questa domanda sia da diffondere il più possibile fra i cittadini, perché ormai non ha alcun senso che la pongano altri politici: si è creato uno strato sociale che non acconsentirà certo a cancellarsi.
Dietro alla falsa promessa di democrazia hanno fatto cartello i politici affermati di ogni fronte. La curiosa oligarchia che si è creata racchiude ormai ogni metodo per sostenersi.
Mentre nelle tirannie o in certi Stati oligarchici classici, si riconosce benissimo la linea di separazione fra potere e popolazione, qui è stata sfumata la linea in ogni modo possibile. Anzitutto è promessa la democrazia, e questo ha il suo peso: tutti eleggono il Governo, ma gli eleggibili rientrano in una casta chiusa, entro cui non possono entrare altri soggetti.
Uno degli ultimi esempi in materia è il costituendo partito democratico, per cui sono stati inventati metodi cervellotici di scelta dei candidati, ai vari livelli: la percezione da dare è che tutti possano decidere, il risultato è che potranno decidere solo fra quello che è già stato deciso.
E' un po' come andare dal gelataio e chiedere come ti può fare un gelato: puoi prendere tutti i gusti che vuoi, ma se ha solo crema e cioccolato sceglierai liberamente fra quei due. Potresti cambiare gelataio, ma se fosse l'unico disponibile?

Si sente parlare spesso di crisi della politica, ma cosa significa in realtà?
Forse sarebbe più opportuno parlare di crisi sociale, generata dai politici. La condizione sempre più disperata, fra le necessità dei cittadini e quelle di chi fa politica, è ben altra cosa che una crisi politica.
Quello che più mi preoccupa è che il degrado dello stato sociale alimenti sempre più le schiere degli idioti che vogliono cambiare le cose con le bombe. Perché il lato triste è questo: gli unici a volere i cambiamenti radicali sono rimasti i fanatici del terrorismo rivoluzionario, mentre chi potrebbe davvero cambiare il Paese in modo sano, rispettoso, sta nell'oblio.
I movimenti dei girotondi di protesta furono un momento folcloristico, e a posteriori solamente ridicolo. Dove non controproducente: finito lo spazio mediatico è finito anche tutto quel che si voleva cambiare. Le uniche dimostrazioni pubbliche che possono essere vittoriose sono quelle che propongono di non cambiare niente, è quello l'unico risultato possibile.

Mentre nelle grandi rivoluzioni i cambiamenti sono stati operati con sollevazioni popolari, con eventi di massa, in questa sfida è necessario costituire una coscienza personale, un bisogno interiore.
La gente in piazza ormai viene portata solo per le finzioni sceniche: finita la rappresentazione, finiti i clamori, tutto è libero di restare com'era prima.
In questa democrazia (come si ostinano a chiamare quest'illusoria forma di governo) è quasi inutile raggrupparsi per protestare: prima o poi qualcuno ti fa osservare che non c'è un monarca da destituire. Se davvero fosse democrazia, chi protesta lo farebbe contro se stesso: reo di aver instaurato lo stato attuale. Se davvero è democrazia, perché non vengono cambiate completamente le regole del gioco dalla popolazione intera?

C'è anche la forza di un'altra ipotesi.
Tutti questi disagi, proteste, disaffezioni, potrebbero essere una sensazione solo mia e di pochi altri. Diciamo di qualche milione di abitanti.
Per un'altra strada questo dimostrerebbe di nuovo l'inesistenza della democrazia: per quanto ci si senta inascoltati, bisognosi di una nuova relazione con il potere politico, siamo qualche milione di cittadini che non contano niente. Ma il termine oclocrazia non si sente mai citare, non è politicamente corretto, può far capire (a chi apre il dizionario) che parlare di un "potere ai molti" esclude qualcuno. E ormai siamo abituati a volerci sentire uguali, nessuno escluso. Soprattutto se non è vero.

Se non migliorano le coscienze dei cittadini non migliorerà la politica. E per dirla con Fermat, dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.

mercoledì, luglio 04, 2007

Ecologia curiosa

Il dubbio era se usare in alternativa l'aggettivo furiosa, che descrive altrettanto bene alcune corse verso il bene dell'ambiente. Sfortunatamente si tratta come al solito di annunci sensazionalistici, più demagogici che pratici, così mantengo il primo aggettivo.

E luce fu
Pare che sia allo studio un piano d'interventi, a livello statale, sulle tematiche ecologiche e i consumi.
Se rileggete la frase sopra con un traduttore simultaneo, dal linguaggio della politica a quello del mondo reale, l'avrete già interpretato con "chiacchiere per far pagare dei consulenti e fingersi interessati all'ambiente".
La notizia che però mi ha colpito è la proposta di eliminare le lampadine a incandescenza dal 2012. Sì, l'idea è di eliminarle in favore di quelle a risparmio energetico, perlopiù fluorescenti. Quelle che ogni giorno vi infastidiscono, perché non si accendono mai come si vorrebbe, perché creano un'illuminazione spesso fastidiosa o troppo fredda.

C'è un aspetto da non sottovalutare.
La lampadina elettrica a incandescenza mantiene ormai da tempi memorabili alcuni primati, non sempre invidiabili. Anzitutto è una delle poche invenzioni che ha mantenuto così a lungo il suo aspetto originario, senza particolari innovazioni.
La pecca peggiore è invece nel suo rendimento, che a fatica raggiunge il 10%. Tradotto in soldoni, per chi non è pratico di fisica, significa che su 1 Euro speso in bolletta della luce, per una lampadina a incandescenza, paghiamo dieci centesimi per la luce generata. E gli altri novanta centesimi? Per il calore generato dalla lampadina.
Risulta lampante lo spreco di questa forma d'illuminazione.

Le lampade fluorescenti aumentano notevolmente il rendimento.
Prendendo un paio di modelli a caso, dal catalogo Osram: data una lampadina da 100 Watt a incandescenza, si ottiene lo stesso flusso luminoso con una lampada da 23 Watt a risparmio energetico, ovvero fluorescente (1500 lumen con il modello DEL LL 23W/827 220-240V E27 FS1).

Sono un po' dispiaciuto dalla futura dipartita di un'invenzione così semplice, come la luce elettrica tramite incandescenza, che in fondo ci ha fatto racchiudere la scoperta del fuoco in una palla di vetro. E' un pezzo di storia dell'umanità.
Vedrei quindi più volentieri un'addizionale da pagarsi per le lampadine a incandescenza, poterle quindi acquistare a un prezzo più alto, piuttosto che eliminarle per proibizionismo.

Ora viene da chiedersi: tutta questa energia nel diventare ecologisti compenserà davvero l'energia di altro genere, quella elettrica?
Conto come innumerevoli le occasioni, in cui passando vicino a edifici pubblici, di enti Statali, scuole, in mezzo alla notte ho trovato luminare degne di un Santo patrono.
Insomma, perché l'Università degli Studi di Firenze tiene accese centinaia di lampade la notte del sabato e della domenica, in aule vuote?
E non si trattava di normali lampade a incandescenza, ma di lampade a scarica di gas da centinaia di Watt ciascuna. Non è forse uno spreco più considerevole, rispetto a un normale uso casalingo?

Corrente elettrica e correnti d'opinione
E in fondo vogliamo tutti l'ambiente più pulito. Oppure no?
Mette qualche dubbio la costituzione di comitati, sempre più numerosi, che si oppongono alla costruzione di generatori eolici. Sì, non pensavo alle centrali termoelettriche, alimentate a carbone o olio combustibile, ma proprio all'energia dal vento, generata senza residui nell'ambiente.
Nelle parole del signor Carlo Ripa di Meana, "l'eolico non risolve nulla, perche' il suo risultato energetico e' modesto a fronte di un devastante impatto ambientale e paesaggistico."
Evidentemente per il signor Ripa di Meana è decisamente migliore l'impatto ambientale delle centrali elettriche che producono inquinanti: meglio rischiare un tumore domani, che vedere un mulino a vento oggi.
C'è chi lamenta, come un noto produttore di vini, che "la presenza delle pale comporta un grave danno all'immagine dell'azienda". E l'immagine di un'azienda viene sempre prima della qualità della vita, si sa.
Resta una lamentela valida quella di chi dice gli aerogeneratori rumorosi. A me è capitato di passare vicino a un grosso impianto in Spagna, molti anni fa, e ricordo benissimo il problema. C'è da dire però che la tecnologia dovrebbe tendere a ridurre questo impatto, e sinceramente non ho sperimentato l'impianto sopra contestato.

Insomma, l'energia eolica riceve grande plauso dalla International Energy Agency, per l'impatto ambientale e i costi energetici sempre in calo, ma nessuno la vuole a casa propria.
Così in Italia importiamo una quantità enorme di energia elettrica dall'estero (nel 2001 è stata l'ottantacinque per cento del fabbisogno), ma quella che potremmo farci in casa, senza inquinamento, proprio non la possiamo tollerare.
Mi pare evidente che se non si riescono a trovare accordi sulle forme di energia più favorevoli, non inquinanti, sulle altre non possono che esserci idee ancora più confuse.

venerdì, giugno 22, 2007

Il gioco dell'estate

Ricordo che da bambino, ogni estate, c'era la gara al gioco dell'estate. Ogni anno veniva eletto un gioco rappresentativo del periodo, che avesse qualche relazione con la vita all'aperto, sulle spiagge.

Il gioco dell'estate del signor Paolo Gentiloni, ma anche di molti altri, sembra che sia un videogame, dal titolo Manhunt 2. Solo che anziché giocarlo o raccomandarlo, lo rendono famoso per non volerlo far giocare a nessuno. Non si tratta di un divieto morale, di uno scoraggiamento all'acquisto, ma di un vero e proprio impedimento alla distribuzione, visto che il signor Gentiloni ne parla dalla sua incidentale posizione di Ministro delle Comunicazioni.
Non ci spiega in base a quale ordinamento dello Stato gli sia data la capacità di bloccare la vendita, e questo dovrebbe essere piuttosto preoccupante, anche se ben pochi lo fanno notare.

In fondo è materiale audiovisivo con contenuti di storie dell'orrore, sicuramente paragonabili a quelli di tanti film già in circolazione.
La differenza non è tanto nell'interattività.
In una trasmissione radiofonica ho ascoltato l'intervento della signora Maria Rita Parsi, di professione psicologa e scrittrice, che esprimeva il suo profondo disgusto per il videogioco in questione.
La discussione della signora Parsi era invero assai interessante, soprattutto per la sua analisi di ciò è un contenuto passivo (come un film) o di uno attivo (come il videogioco).
Quel che ho trovato altrettanto interessante erano le sue parole e il metodo espositivo, con cui rimarcava ripetutamente i contenuti di violenza e degrado, non senza una certa ossessività. Lo scopo funzionale era quello di condensare, nel breve spazio radiofonico, un messaggio forte di significato come di parole. Va notato come nessuno (o quasi) se la sentirebbe di accusare una nota psicologa di plagio, quando la pressione che sa abilmente esercitare serve a scongiurare un allarme sociale.

Una domanda che si pongono spesso gli appassionati di videogiochi (e non specificamente di quel genere di videogiochi) è come facciano tutti questi commentatori a dare opinioni così precise.
Lo stesso signor Gentiloni ha precisato che le pubblicità iniziali del gioco non facevano presagire tutti gli eccessi di violenza che poi sono arrivati nella versione finale.
I fanatici del gioco farebbero del tutto per riuscire ad averne un a copia e giocarlo: il signor Gentiloni e la signora Parsi ci sono riusciti?

Come anticipavo sopra, la differenza fra i più violenti film e spettacoli già accettati e questo videogioco, non è nell'interattività.
Non serve giocarlo.

La censura (che ancora non capiamo come potrà essere messa in atto, legalmente, anche per i maggiorenni) rivela vari motivi all'origine del conflitto.
Un motivo è il bisogno dello Stato di dare un senso di protezione al cittadino: si vieta il videogioco affinché non possa raggiungere i minori, le persone che non hanno raggiunto maturità nelle scelte. Scopo nobile, perfettamente condivisibile. Se non fosse che questa presenza protettiva, nel mondo dell'informazione libera e globale, appare sempre più pressante: non si fa difficoltà ad interpretarla come demagogia o manipolazione.

Il risvolto più ripugnante è la confessione della più completa impotenza. Stato e informazione, formatori e psicologi, sono tutti incapaci di dare un'educazione verso la crescita delle capacità critiche. I giovanissimi giocheranno questo videogioco con qualsiasi divieto, anche se fosse posto in vendita come vietato ai minorenni.
Perché non c'è chi li educa alle scelte e alla comprensione, a partire dalle famiglie.
Leggo da un commento a un articolo in rete
Che Imbecilli, Vendo Videogiochi Dal 1998, Non Hanno Mai Vietato Niente Fin'ora, Basta Un Minimo Di Interesse Dai Genitori Che Si Informino Su Cosa Comprano I Loro Figli Invece Di Dargli I Soldi E Via, Solita Cazzata All'italiana, Ho Sempre Detto Ai Genitori Che Comprano Gta Che è Violento, Ma Dicono " Tanto Lo Gioca Dall'amico..."

Ma i genitori, chi ha fallito nell'educarli? Evidentemente gli stessi che ora cercano di metterli in una gabbia, insieme ai figli, per proteggerli da questa immersione in mezzo agli squali.

Gli adulti, i maggiorenni videogiocatori, si rivoltano a queste censure con le più svariate invettive. Loro che hanno il potere di decidere il Governo di un Paese in una tornata elettorale, si riconoscono impotenti di fronte alla scelta della libertà d'informazione.
Come mai viene data più libertà nel reale che nel virtuale?
Forse perché è ormai chiaro che nessuno saprà valersene: la libertà del reale è in realtà irreale.
Una massa che deve scegliere in che direzione andare è un gregge, ha bisogno del cane, del pastore e del padrone. Un singolo che deve e vuole scegliere, senza doversi confrontare con gli altri, fosse soltanto per scegliere un gioco, è imprevedibile.
C'è un gioco che dura più d'una estate, siamo tutti iscritti e nessuno vince.

mercoledì, giugno 20, 2007

Non è congruo ciò che è congruo, ma è congruo quel che piace

La parafrasi mi è venuta rapidamente, vedendo il gran polverone che continua ad agitarsi intorno agli studi di settore, che ho citato pochi giorni fa in un altro articolo.
Questa ripresa è in realtà assai breve, visto che potrete leggerne fino alla noia su qualsiasi quotidiano.
Il concetto è breve, e credo piuttosto chiaro.

Dall'analisi degli studi di settore, e soprattutto delle dichiarazioni non congrue, sono emerse cifre medie molto significative.
Un gioielliere guadagna la metà di una maestra della scuola primaria (a noi di altre generazioni nota come scuola elementare). E se il gioielliere è congruo con gli studi guadagna il doppio, rispetto alla solita insegnante.
Un'agenzia di viaggi non congrua ha un guadagno medio (sempre al lordo delle tasse) di 1700 Euro, all'anno ovviamente. Cioè circa 140 Euro lordi al mese.
E se continuate a leggere cifre e paragoni avrete di che indispettirvi, a dir poco.

Ora, siccome mi reputo una persona semplice, perlomeno sulle faccende finanziarie, mi sono posto una domanda semplice. C'era davvero bisogno di uno studio di settore per far affiorare queste cifre?
Non bastava leggere le dichiarazioni dei redditi?
Senza lo studio di settore, era ragionevole che qualcuno vivesse con un'attività commerciale che rende centoquaranta Euro al mese?

La dimostrazione è sempre la solita.
Le cifre sono quelle che sapevamo già da anni, senza studi particolari, senza grandi eminenze grigie della finanza: chi evade le tasse lo fa in grande, non si espone per poca differenza.
E chi dovrebbe punire certi abusi continua la solita tresca, in un giro di collusione che di nuovo non ci sorprende.

Come mai allora non riusciamo a mettere al Governo del Paese qualcuno che vada verso l'equità, ma al massimo ci arriva qualcuno che impiega anni di studi per dirci che l'evasione fiscale è dilagante?
Se ci fosse un minimo di dignità ci si porrebbe la domanda e si ripeterebbe a chi governa, mentre invece tutto quello che interessa è come riuscire a divenire tutti evasori, quasi che i soldi evasi al fisco li pagasse qualcun altro.

Pagamenti diversi

Sotto questa voce, "pagamenti diversi", mi perveniva quest'oggi una missiva da una delle banche con cui ho la sfortuna di fare affari -- non penso esista banca con cui si possano fare affari fortunati, perlomeno fra noi persone comuni.
Di solito ci irritano le spese spropositate, gli esborsi inaspettati e copiosi, ma nel mio caso la sorpresa, il fastidio, nasceva dal pagare troppo poco.

Aldilà del motivo, della fonte, di questi pagamenti diversi, era infatti l'importo a colpire: 0,65 Euro. Sì, 65 centesimi della moneta europea tristemente nota in terra italica.
Guardo subito l'affrancatura sulla busta: 0,60 Euro.
Se le spese di processo della comunicazione, carta, stampa, trasporto, fossero assommate a 5 centesimi di Euro (e non lo vedo improbabile) la Banca avrebbe speso per la comunicazione esattamente quello di cui è latrice.

In una visione surreale ho immaginato il recapito, ad infinitum, di comunicazioni su pagamenti diversi, dove ciascuno comunica la richiesta di rimborso del precedente plico.

In una visione realista c'è piuttosto da chiedersi altro. Quale sia il limite di stupidità ammesso per il software, come quello che ha fatto spendere alla Banca (e a me) quei soldi per una comunicazione.
D'altronde viene da credere che il software abbia più spesso un limite, rispetto a chi lo sviluppa e lo amministra.

martedì, maggio 29, 2007

Settori da studiare

Chi si trovi a compilare la dichiarazione dei redditi, avendo al contempo un'attività imprenditoriale, si sarà imbattuto già nei cosiddetti studi di settore.
E chi non li avesse incontrati finora, da quest'anno lo farà: ormai sono stati introdotti per le attività più disparate.
Ma come funzionano?

Alla domanda non posso rispondere in modo professionalmente obbiettivo, come di solito faccio con le attività che mi competono: per economia e finanza (e la burocrazia) ho infatti una certa avversione.
Mi sono però posto domande e risposte, come mio solito, perché ho dovuto compilare questo modulo anch'io e mi sono posto questioni che ho indirizzato a chi coadiuva in questi compiti noiosi.
E le risposte che ho ricevuto sono state poco confortanti.

Anzitutto a che cosa servano, perlomeno negli intenti, mi è abbastanza chiaro.
Si studia un settore di attività imprenditoriale, se ne traggono dati statistici, si vede da questi di quanto si discostano i dati denunciati. Chi è troppo al di fuori della media evidentemente ha compilato male i dati, oppure è un potenziale evasore fiscale.

"Anzitutto scegliamo il tipo di attività... qui c'è la lista... allora, 001 Consulenza nel campo moda e spettacolo... no... 002 Consulenza per la comunicazione e la cura dell'immagine... no..."
Ci siamo letti tutta la lista, e se ne avete la pazienza potete farlo anche voi, alla pagina 14 del modulo.
Trovate attività come pranoterapia, naturopatia, astrologhi, spiritisti, centri tatuaggi e piercing, ma non si contemplano attività legate ai settori elettronici ed informatici: evidentemente, per chi ha realizzato lo studio, sono attività scarsamente presenti in Italia. L'unica voce che li possa raccogliere recita "Altre attività di consulenza".
Non viene certo chiesto nel dettaglio quale sia questa altra attività. Mentre i questionari pubblicitari lasciano sempre uno spazio per la descrizione ("se altro, specificare"), per questo che si dichiara uno studio non serve.
Determinerà (non so con quale metodo) che chi fa altro forse guadagna troppo o forse poco.

Le altre voci da compilare non sono meno ridicole.
Si va dai dati che già esistono nella dichiarazione dei redditi, a informazioni su dove sia svolto il proprio lavoro, in Italia o all'estero.
Evidentemente, con queste poche informazioni, debbono aver studiato un modello matematico portentoso, per riuscire a capire se sono un evasore oppure no.
Finita la compilazione ho visto che l'addetta alla contabilità è rimasta per un attimo con il respiro in sospeso.
"E' congruo..."
Il modello matematico portentoso si è pronunciato sui miei redditi.
A quel punto mi sorge spontanea la domanda: ma che succede per chi non è congruo?

In quell'ufficio passano centinaia di persone per i miei stessi scopi, e la risposta è stata per esempi pratici, che la ragazza ha già visto più volte.
"Eh... vengono a cercarti, o meglio, spediscono la cartella con l'importo da pagare: loro ormai non si muovono più per fare i controlli"
In pratica la propria denuncia viene marcata come non congrua, in automatico viene calcolato quanto avresti dovuto pagare, e su quello ricevi una cartella esattoriale per quello che hai evaso.
E se non hai evaso? Impossibile (per l'Agenzia delle Entrate).
Così mi narra di piccolissimi imprenditori, gente che magari, ultra settantenne, è già in pensione, e decide di aprire una minuscola attività, sia per arrotondare che per mantenersi attiva e passare il tempo. Piccole vendite nei mercati, tutto legale, pagano le tasse, e comunque hanno già un reddito dalla pensione.
Eppure per lo studio di settore non è possibile. Anche inserendo i dati della pensione percepita non è ammesso che un fioraio o un fruttivendolo guadagni così poco dall'attività.
Le scelte sono due: aumentare il proprio giro d'attività e guadagnare di più, oppure chiudere. Altrimenti arriveranno richieste di decine di migliaia di Euro dall'Agenzia delle Entrate.
Mi appare evidente che a quel punto, se l'intento era di catturare l'evasione, non fa che incentivarla: è evidentemente più conveniente chiudere l'attività e continuare a vendere completamente in nero, senza dichiarare niente al fisco.

La lotta all'evasione fiscale, in un Paese dove non sembrerebbe così difficile, anche solo censendo case e automobili, ha creato una mostruosità atipica anche per le più sfrenate fra le altre nazioni capitaliste: la povertà non è ammissibile.

***

Un aspetto collaterale di questo piccolo episodio è stata la risposta emozionale delle persone coinvolte. Fa fede per tutte l'espressione dell'addetta alla contabilità, che mi ha sottolineato come "quest'anno è tutto peggiorato".
La nostra memoria è breve, ci piace collegare i fatti ad eventi vicini nel tempo.

Trovo interessante quindi aggiungere delle piccole note bibliografiche.
Il provvedimento è infatti datato 20 marzo 2007, ma se si scorrono un po' di documenti si scopre che la relazione sullo studio è del settembre 2006, mentre i questionari sono stati realizzati a partire dai dati del 2004, come dichiarato nella Nota Tecnica e Metodologica relativa.
Quindi i dati sono stati raccolti nel 2005, con un questionario sull'anno 2004. Chiaramente ci sarà voluto anche qualche tempo per preparare la cosa.
Il dispositivo di legge 20 marzo 2007 richiama infatti il decreto Ministeriale 10 novembre 1998, "integrato e modificato" (sic) con decreti negli anni 1999, 2000, 2002 e 2004.
Come risultato: quello che è oggi la questione della contesa è stato elaborato nel corso di quasi un decennio, non è quindi una sorpresa di due mesi fa.

lunedì, maggio 21, 2007

Molte scomode verità

Ho acquistato pochi giorni fa il DVD del documentario sul grave stato dell'ambiente terrestre, intitolato "Una scomoda verità".
L'immagine che si ha, dello stato del pianeta, è semplicemente allarmante.
L'esempio con cui ci descrive il signor Albert Gore, il documentarista che ne racconta i fatti, è perfettamente calzante. Siamo come delle rane, che messe in una pentola d'acqua bollente saltano fuori, ma messe in una pentola d'acqua che sale in temperatura progressivamente, ci lasciamo cuocere, se qualcuno non ci tira fuori. Ci servono delle scosse, ci servono fatti che scuotano, affinché li consideriamo importanti da subito.
Per l'ambiente quindi si fa poco o niente, grazie alla capacità di alcune grandi aziende di mettere tutto in relazione al profitto: rispettare i limiti naturali, cercare soluzioni che non distruggano l'ambiente, appare a loro puramente una riduzione dei profitti. Non hanno capacità di capire che distrutto il pianeta su cui viviamo non avranno un secondo posto dove spendere quei soldi.

Un lato inquietante, che dovremmo trovare oltremodo offensivo, è quello secondo cui le informazioni scientifiche vengono mutilate e modificate dal loro significato originale.
E' interessante un semplice dato.
Mentre su un campione di 928 pubblicazioni scientifiche che trattano l'argomento del riscaldamento globale, nessuna smentisce che ne siamo la causa diretta, su un campione di 636 pubblicazioni per il grande pubblico, quelle che non aderiscono a nessun rigore scientifico nelle loro affermazioni, ben il 53% degli articoli afferma che gli scienziati sono in discussione sull'argomento.
La manipolazione di quel tipo d'informazione, quella ad uso dei profani, è così evidente che non può evitarci un moto di animosità, quando si leggono o si ascoltano le parole di alcuni ciarlatani. In qualche caso si tratta addirittura di personaggi descritti come esimi scienziati.

Se da un lato arrivano le manipolazioni e le falsità che cercano di modificare i dati certi, dall'altro c'è anche chi li piega in altri modi.
Mi sono imbattuto giusto ieri in un centro cittadino chiuso al traffico dei veicoli a motore, per quel curioso evento denominato domenica ecologica.
Forse sarà capitato anche a voi di vederne o di sentirne parlare, ma vorrei raccontare le informazioni che ho raccolto sul campo, in qualche chiacchiera, e sulla carta.
L'evento consiste nel chiudere al traffico dei veicoli a motore, escluse alcune tipologie (con alimentazione a gas metano o GPL, oppure ibrida), ampie zone cittadine limitrofe e inclusive dei centri urbani.
La città gode a tale scopo di un cofinanziamento da parte del Ministero dell'Ambiente (D.M. 25/1/2000). Questo significa che per ogni cittadino interessato alla zona del provvedimento il Comune riceve un certo importo. Tanto più grande è la zona interessata, tanti più soldi ne derivano: come vengano spesi non è dato saperlo. In un periodo di "vacche magre", con scarsi finanziamenti ai Comuni, anche poche centinaia di migliaia di Euro non sono certo da buttare.

Quello che poi ho rilevato sul posto, intorno a queste presupposte oasi ecologiche, è poi sconfortante.
Se in una città che la domenica si svuotava del traffico, causa bel tempo e fuga verso il mare, si chiude il traffico ai pochi che sarebbero rimasti, questi cominciano a girare intorno alle strade chiuse, cercando un parcheggio. Inutile dire che non tutti questi sono necessariamente interessati ad andare a vedersi il centro cittadino.
Il risultato è stato di creare un anello di smog e di traffico in zone che neppure lo sognavano.

Sentii lo scorso anno, in un intervista, qualcuno che sembrava essere preparato sull'argomento.
Le sue osservazioni sembravano ragionevoli, per cui mi sembra doveroso riportarle.
In breve concludeva che non serve chiudere un centro cittadino per solo un giorno. La coltre d'inquinamento non si dissipa quanto necessario. E qui mi viene da pensare, come detto prima, che non si elimina un settimo dell'inquinamento settimanale: perché di domenica il traffico sarebbe già ridotto (in alcune aree).
E' vero, concordo che quel piccolo contributo sia meglio di niente.
Ma il fatto più terribile è l'effetto palliativo di quel poco-più-di-niente: con quello politici e amministratori si mettono il cuore in pace, i soldi in tasca e voti nell'urna. Molti si convincono che sia così, proprio così, che si sconfigge l'inquinamento, e tutto va avanti come prima, se non peggio.
Ci sono verità scomode su più fronti.

mercoledì, maggio 16, 2007

Pseudoscienze

Una delle strategie d'attacco alla scienza, nei tempi moderni, è senz'altro quelle delle scienze alternative. Con questo termine si autodefiniscono facilmente tutti quei movimenti incapaci di seguire il rigido percorso di ciò che è scientifico.
Immagino che la prima fonte di tutto questo non siano stati gli oscurantisti, sempre più occupati a contrastare ogni manifestazione del pensiero razionale, quanto chi ha cercato una fusione fra i fenomeni comprensibili, replicabili, verificabili, e tutto quello che spazia dalla mitologia alle semplici manie psicotiche. In questo ruolo vedo bene tutto lo sviluppo verso la cultura new age, prima ancora degli avversari classici del mondo scientifico, da Galileo Galilei in avanti.

Immagino che vi sia poco nota la persona della signora Claudia Gurschler, ma vi semplificherò la vita aggiungendo che ricopre la carica di amministratrice delegata (o come si firma lei, con scarsa stima di sé, "amministratore delegato") della Laboratoires Boiron Srl.
In una lettera pubblica, che ha pubblicato sull'inserto di un quotidiano (ma che in forma diversa stava già propinando da tempo su altri mezzi), ci racconta della sua indignazione verso chi non supporta i rimedi omeopatici, e del suo appello verso il mondo accademico e ospedaliero, affinché li appoggino.
Il lato più divertente dell'intervento della signora Gurschler è in due frasi, scritte di suo pugno (e se così non fosse avrebbe di che adirarsi con gliele ha suggerite).
Prima ci ammonisce recitando
l’omeopatia non si ferma, avanza comunque

poi prosegue con un altro dato
E’ vero, l’omeopatia ha dei limiti che le riconosciamo. Il più grande è che non si conosce ancora il suo meccanismo d’azione.

Ora queste due affermazioni in cascata portano facilmente, chi ha un senso logico, a chiedersi in quale direzione stia avanzando un fenomeno del genere.
Come se non bastasse, la Gurschler non può ovviamente dire che non solo non se ne conosce il "meccanismo d'azione", ma che ad oggi non c'è un riscontro scientifico sul fatto che esista, il "meccanismo d'azione".
Spesso si vedono citati articoli che parlano di omeopatia e di ricerche "universitarie", "mediche", e tanto basta ai molti: il fatto che si dica come esistano. La verità imbarazzante salta fuori ogni tanto, quando qualcuno si prende la briga di leggerle, queste ricerche, queste citazioni di articoli su articoli. Quel che capita normalmente è che le citazioni sono a dati che non sconfessano la statistica: la somministrazione di prodotti omeopatici non ottiene risultati migliori o peggiori di un placebo.
Nonostante la presa di posizione di scienziati seri, la grande bolla della cura senza farmaci (o meglio della cura con sola acqua e zucchero), il mito dell'omeopatia continua a espandersi.
Se quello che manca alla signora Gurschler è solo la conoscenza del meccanismo d'azione, ed è sicura di averne uno, perché la sua azienda non partecipa al premio James Randi?
Non tanto per vincere il milione di dollari (USD), ma quantomeno per lanciare una forte campagna pubblicitaria e di seria richiesta di sostegno: come mai le certezze dell'omeopatia accarezzano la scienza, ma non vogliono farsi esaminare da questa?
Forse perché se nel 2004 hanno avuto incassi per 313 milioni di Euro, saliti nel 2005 a 428 milioni di Euro, è meglio non rischiare di perdere una clientela che non ha bisogno di prove scientifiche.
Se c'è amore per l'uomo, ci sarà anche amore per la scienza. -- Ippocrate
La vita è breve, l'arte vasta, l'occasione istantanea, l'esperimento malcerto, il giudizio difficile. -- Ippocrate

martedì, maggio 15, 2007

Automobilismi

La scorsa settimana, leggendo un quotidiano locale dal barbiere, mi sono soffermato su un trafiletto, breve quanto inquietante, sui numeri delle cosiddette auto blu in Italia.
Sicuramente sono numeri fonte d'imbarazzo, se li vediamo in rapporto a quel che succede anche nel resto del mondo.

Viene anche da chiedersi a cosa servano, oltre 574mila automobili ad uso di Governo, Regioni, e altre istituzioni. Viene da chiederselo quando deteniamo il primato mondiale, e chi ci segue sono gli Stati Uniti d'America, con 73mila veicoli. Con quel numero di veicoli coprono infatti una popolazione cinque volte la nostra e una superficie geografica trentadue volte l'Italia.

Non è poi difficile capirlo se seguiamo il semplice ragionamento fatto da un lettore di un quotidiano italiano.
Tante automobili, tanti soldi. Qualcuno le vende, qualcuno ne cura la manutenzione, qualcuno le guida, qualcuno ha amici a cui distribuire favori. Nessuno che si lamenti: siamo abituati alle ingiurie, le consideriamo lo stile di vita italiano, ormai.
Spiace molto di essere fra i "qualcuno che paga" per lo spreco.
Per non dire quanto sia offensiva la stampa italiana, che ci manipola con il sensazionalismo delle manovre finanziarie, ma non spreca molta carta per dirci degli sprechi che paghiamo già. A quelli siamo assuefatti.

giovedì, maggio 10, 2007

Etica, politica, manipolazione

Poco tempo fa, in questa stessa serata, vedevo in televisione, nel programma Anno Zero, delle considerazioni sulle implicazioni politiche e sociali della famiglia.
Sì, la famiglia come istituzione, simbolo.
Il signor Marco Travaglio, noto giornalista, citava i dati di un'inchiesta del quotidiano Libero, definito dal Travaglio come non propriamente "un quotidiano comunista".

La posizione della Chiesa Cattolica sulla concezione mi pare una delle più chiare, una posizione solida, inamovibile nei secoli.
C'è da dire che negli ultimi mesi anche chi è portavoce della Chiesa stessa, a partire dal Pontefice, ha reso le cose fuligginose. La posizione è infatti variata continuamente, nelle sfumature come nei fatti basilari. Prima scomunicano chiunque non aderisca, poi dicono di essere stati fraintesi: sembra che la storia recente sia un continuo gioco del bastone e della carota.
Per non parlare poi della posizione odierna su aborto e sessualità fuori dal matrimonio. Da un lato la scomunica è giunta come atteso, per i politici che compiono scelte abortiste, ma oggi stesso il signor Joseph Alois Ratzinger si è presentato in pubblico con il signor Luis Inacio Lula da Silva, in sorridente amicizia. Se il primo vi è noto (il prima detto Pontefice) non dovrebbe esservi ignoto neppure il secondo, Presidente del Brasile, non contrario all'adozione di leggi in favore dell'aborto.
Come dire: se dell'aborto ne parlate voi, che non presiedete alcuno stato del mondo, siete da condannare. Limpido.
L'intervento sui temi della famiglia, della sessualità, da sempre tocca gli interessi primari della Chiesa.
Un arcivescovo brasiliano, citato da qualche giornale televisivo, non ha perso occasione dell'attuale visita del signor Ratzinger in Brasile, e ha rimarcato come qualunque donna che abbia rapporti sessuali fuori dal matrimonio sia una prostituta. Quando si dice cavalcare l'onda.

Decidere dell'etica è fare politica? E' manipolazione?
Questa è la domanda che si dovrebbe porre chiunque, quando le questioni sollevate dalla morale cattolica, sbandierate come un editto, vengono infine descritte come male interpretate. Tutti i portavoce della Chiesa, a ogni livello, si sono adoperati per dirlo, per sottolineare che non si tratta di politica.
Si limitano a mettere all'indice i politici che potrebbero essere sgraditi, ma non fanno politica. Chiaro.

Ma qual era l'argomento del Travaglio questa sera?
Molto semplice.
Ha fatto un elenco di politici che si presenteranno alla manifestazione di Roma, nei prossimi giorni, in nome della famiglia. Quel family day che non ha neppure un nome italiano (o perlomeno latino, visti i propositori dell'evento).
Un elenco dei politici che di famiglie ne hanno due o perfino tre, che sono divorziati, separati, in coppia con altri divorziati o separati, non sempre risposati, qualche volta con riti pagani.
E questi sono coloro che scenderanno in piazza per dirci che la famiglia dev'essere fondata sempre e soltanto sul matrimonio cattolico, secondo i dettami della Chiesa di Roma.

Ora, in questo fatto non c'è solo ipocrisia, c'è soprattutto sfrontatezza.
C'è quell'arroganza di chi sa che qualsiasi bugia diventa verità, se viene ripetuta in modo convincente, per molte volte.
Vedere le interviste di chi appoggia quei politici, ma anche quegli ecclesiastici, porta ad uno stato di tristezza indicibile. Una sorta di sindrome di Stoccolma in ambito politico e religioso, dove le vittime stesse diventano sostenitori dei loro carnefici.
Ho volutamente interrotto la visione di Anno Zero, perché gli argomenti trattati erano talmente lapalissiani da insultare la mia intelligenza.
Esiste un limite pratico oltre il quale chiunque si sottrae alle manipolazioni e ragiona con la propria testa?

E non finisce qui.
Se avete notato i reportage dei giornali, dei notiziari televisivi, dei programmi "d'inchiesta", avrete notato che il viaggio del signor Ratzinger in Brasile è diventato la notizia.
La profusione di notizie con cui ce lo ricordano è di un'insistenza insolita, persino se confrontata con i viaggi del suo predecessore in carica. Ogni voce, ogni bisbiglio, ogni manifestazione della sua presenza in quel paese viene amplificata con toni epocali.
Evidentemente lo spregio dell'etica, del buonsenso, e perché no, della politica, non è ancora finito