sabato, maggio 20, 2006

Delitto e castigo

Nella scorsa settimana, seppure io fossi lontano dagli organi d'informazione, in viaggio, non mi è passata inosservata la notizia della condanna del sig. Cesare Previti per corruzione.
Condanna, va ribadito, confermata in via definitiva dall'ultimo grado del sistema giudiziario.
Al delitto, confermato da prove inconfutabili già anni fa, è seguito infine il castigo.

Ho sempre seguito la vicenda con moderato coinvolgimento, visto che ogni due righe che ne leggevo era evidente il misfatto.
Mi divertirono molto alcune delle prime sortite. La prima posizione (come per ogni criminale che si rispetti, perché di questo si tratta) è negare. Così negò fin dall'inizio ogni cosa.
Poi trovarono i documenti che attestavano, senza dubbi, che un mezzo miliardo di Lire era passato dai suoi conti in Italia a un paradiso fiscale caraibico. Non potendolo negare, disse allora, spontaneamente, senza pudore alcuno, di averlo fatto per evadere il fisco -- ricordo che questo signore era al momento un Deputato dello Repubblica: in uno stato di diritto dovrebbe essere un fatto orribile, ma non qui.
Successivamente fu provato che i trasferimenti di denaro, dopo una giravolta nei caraibi, arrivarono nelle tasche di un giudice, chiamato a decidere se l'offerta di acquisto di un altro signore, su una grossa società italiana, fosse lecita. Il giudice disse di sì, curiosamente.

Ora vi potete giustamente chiedere quale castigo meriti il delinquente suddetto. La Corte di Cassazione ha deciso per una mezza dozzina d'anni di carcere. Decisione a cui si è ovviamente rivoltato (seppur inutilmente), dichiarandola ingiustizia e ritorsione.
Di questi anni da scontare, ha trascorso in carcere solo un paio di giorni, giusto per sbrigare delle formalità. Il resto della pena lo sconterà a casa sua, visto che ha una certa età, e l'ordinanza restrittiva gli permetterà di uscire da casa per sole due ore al giorno. Terribile, vero?

Immagino che fra i pensionati a regime minimo sarebbe una benedizione, passare i settant'anni e poter stare 5-6 anni in casa propria, senza problemi economici, uscendo un paio d'ore al giorno per portare fuori il cane e comprare un quotidiano.
Il tempo di bersi un caffè con gli amici, denunciare i mali del paese, e tornare infine a casa.

Un vero castigo, esemplare.

E mi riporta alla mente un altro personaggio che sfuggì ancor più da ribaldo.
Parlo di quel sig. Bettino Craxi, che dopo un affaire da 5 miliardi di Lire, che si era intascato in modo illecito, non solo scappò dall'Italia prima di essere arrestato, dopo la condanna, ma continuò a lanciare strali. Perché tutti erano corrotti, e lui non voleva pagare per tutti, dimenticando che la condanna era perfettamente ad personam. Perché se tutti facevano affari loschi, lui che era stato Deputato della Repubblica e Presidente del Consiglio, non accettava che esistesse una legge a punirlo.
Come non bastasse l'offesa (verso gl'italiani che rispettano le leggi, o che non sanno aggirarle così bene), è seguita poi anche la beffa. Dopo la morte di Craxi, mai rientrato a rendere conto dei delitti, sono cominciate le macabre lamentele e la sua vittimizzazione. Che prosegue tutt'ora, a periodi regolari, con gli eredi che rivendicano riconoscimenti alla grande figura, di un uomo che ha ammesso di giocare con la corruzione, di averne intascato i soldi, è scappato all'estero, e si aspettava di essere ringraziato.

Fiori

Odore di fiori, intensi
Profumo d'estate
di te
delle tue spalle nude
sotto le mie mani ardenti


Hikmet, che ben aveva studiato la metrica e il componimento, avrebbe di che rivoltarsi nella tomba.
Del resto si dovrebbe poter perdonare, l'uso improprio, ad un giocoliere.

venerdì, maggio 19, 2006

Balle milionarie

Come sempre, ho una certa insofferenza verso le notizie di scandali eclatanti, e in questo mi trovo d'accordo con il sig. Beppe Grillo, che nel suo weblog esprime un concetto analogo.
Ora, l'osservazione che si può fare, è di chiedersi quanto lui si discosti dai giornalisti che tanto aborre e maledice, nell'invettiva.
In fondo anche lui è in continua ricerca degli scandali da denunciare, e può raccontarci di farlo per puro senso del dovere verso i cittadini, ma in fondo è la stessa cosa che dicono tutti i giornalisti.
Solo che non conta granché il suo parere. Meno dei giornalisti, che titolano sui quotidiani o sui mezzi televisivi. Sovverte un po' di opinione pubblica, che in fondo serve a mantenere il senso di vitalità, di falsa reazione dei cittadini ai soprusi. Possiamo darci delle gran pacche sulle spalle, dicendo "hai visto come Grillo ha smascherato questa e quella vicenda?", ma quel che è evidente sono i mancati risultati pratici.
E questo è confortante per chi amministra attività e affari che godono di soprusi e illegalità. Giusto un pochino di libertà di lamentela, distribuita con magnanimità: basta da sola a far sentire tutti meglio, senza cambiare niente.

Il tema originario però era un altro.
Si trattava di una riflessione su quella situazione sconfortante in cui si sono trovati gl'italiani, di recente, rispetto allo sport nazionale -- degli uomini in calzoncini corti che prendono a calci una palla sferoidale.
Dopo decenni di operazioni milionarie (in Euro), di cui nessuno si faceva sorpresa, pare che l'italiano medio si sia sorpreso del fatto che dietro potessero esserci illeciti.

Capisco che i risparmiatori affidatisi ai bond Parmalat fossero finiti ingannati, del resto avevano chiesto garanzie a istituti finanziari che si spacciavano per esperti, e sembravano esserlo a tutti gli effetti.
Ma cosa può mai aver messo in testa agli italiani, che dietro a un fenomeno come il giuoco del calcio fosse tutto limpido?
L'idiozia più eclatante è che qualcuno potesse esserne sorpreso, così come pare accadere continuamente. Ma forse ci viene solo raccontato: magari in realtà l'italiano medio, il senso di realtà del paese, è d'intelligenza superiore ai giornalisti?

Ci sono poi altri risvolti curiosi, nel senso tutto italiano di giustizia ed equità.
Ponetevi in qualsiasi contesto di dialogo, anche con persone del tutto sconosciute, e azzardate una frase generica sulla corruzione dei politici, sui soldi facili, sul peculato (incluse citazioni ai vari sport). Molto probabilmente, una percentuale alta d'interlocutori, annuirà, magari rincarando anche la dose.
Insomma, tutti sanno. Siamo tutti persone informate sui fatti, come si direbbe in gergo legale.
Eppure nessuno vuole crederlo. Si riesce a dire facilmente che il politico, il calciatore, e quanti altri, sono dei profittatori, degli imbroglioni. Ma non si vuole davvero scoprirlo così. Ci piace sperare in una favola, da veri fautori di un'ipocrisia vergognosa.
Come qualcuno che per il gioco delle palle da calciare ama mettercene di proprie.

Al contrario dell'articolo di Grillo, non lancio anatemi su chi sfrutta questo fenomeno. Ci tengo anzi a complimentarmi con chi riesce a far vendere i propri giornali, a far seguire le proprie televisioni, con argomenti stantii: altrove avrebbero annoiato, ma qui da noi dimostrano come il vero affare siano le balle, quando sono milionarie.

domenica, maggio 14, 2006

Serenità

Trovo irritante l'abuso di alcune parole, della lingua italiana, così come l'assoluta ignoranza delle stesse. Certo non in ogni caso, ma quando diventano abuso o ignoranza di chi opera nel campo della comunicazione, è estremamente indisponente.

Partendo dal secondo caso, quello dell'ignoranza, si è spesso vittime di brutture quando qualcuno "traduce" dall'inglese.
Il caso che più m'infastidisce è la parola "performante", inventata di sana pianta e derivata dall'inglese "performance", che si traduce ovviamente con "prestazione", da cui l'aggettivo esiste semplicemente come "prestante".

Uno dei primi casi di abuso che mi salta spesso all'occhio è invece sulla parola "serenità".
Il suo uso recente, degli ultimi anni, è da ricondursi a quando un politico vuole che quelli di parte avversa la pensino come lui.
La trasposizione di "chiedere serenità" è "chiedere di poter fare come si vuole, senza essere criticati". Ad ogni scontro politico c'è sempre qualcuno che invoca la serenità, come una salvifica figura mitologica. Appena còlti con le mani nel sacco a rubare denaro, a esprimersi con demagogia, a barattare favori illegali, hanno subito pronta la frase: "manca la serenità".
Ormai ho coltivato un'idiosincrasia per la parola "serenità", come quel personaggio in Baol, di Stefano Benni
In galera feci amicizia con un bel tipo. Si chiamava Candido. Una vita difficile. Era entrato in galera a sei anni per aver rubato una giostra. Rifiutò di dire (A) come aveva fatto (B) dove l'aveva nascosta. In carcere scoprì le parole crociate. Grazie ad esse si laureò in geografia e diventò un buon cittadino. Uscì perfettamente recuperato, tranne una piccola idiosincrasia. Non sopportava chi gli diceva "E' inutile che le dica che..." oppure "Non devo certo ricordarle che...". Ne picchiò sedici in un mese. Lo rimisero dentro. Scontò la pena. Quando fu nuovamente rilasciato, il direttore del carcere gli disse: "E' inutile che le dica che speriamo di non vederla più qui ". Lo strangolò.
Siate sereni, se potete.

Finalmente una protesta come si deve

Così devono aver pensato, al summit dell'Unione Europea, America latina e Caraibi, tenutosi a Vienna.
Dalle foto infatti saltano all'occhio due fatti evidenti. Il primo è che la manifestatrice di dissenso (relativamente all'inquinamento dato dalla cartiere) è una fanciulla con un bikini molto piccolo e fianchi muliebri, il secondo è che tutti sorridono felici.
Sì, il cartello che lei portava aveva la scritta "basta con l'inquinamento delle cartiere", evidentemente una critica (pare mossa da Greenpeace), qualcosa che avrebbe dovuto mettere imbarazzo nelle persone lì in posa.
In realtà li vedi tutti felici, come chi finalmente vede una donna seminuda senza neppure aver pagato per lo spettacolo. Al solito, chi lo paga siamo noi.

Odio i liceali

Quello che segue è un articolo scritto un mese fa, mai pubblicato.
L'ho ripreso per un paio di motivi. Il primo è dato da una richiesta di Loli, curiosa di leggerlo (senza sapere bene di cosa parlasse).
Il secondo motivo è un articolo di giornale letto oggi, che mi conferma quanto descritto a seguire. Ovvero la totale ignoranza della basilarità del vivere, da parte dei liceali.

Sì, lo so che vorreste controbattere, ma ho da tempo disabilitato qualsiasi commento a questo weblog. Nessuno se n'è accorto, per cui va bene così.

***

Alcuni anni fa, mi fu fatto osservare come il termine "odiare" fosse usato con un peso diverso, in lingue diverse. Altrettanto si può dire di "amare", in fondo, anche limitandosi alla differenza fra lingua italiana e inglese.
Fortunatamente non ho rigide imposizioni morali, per cui sono libero di usarli entrambi, senza che il giudizio di nessuno possa cambiare la mia percezione. O peggio, forzare la mia visione.

La mia plateale intolleranza verso la cultura liceale non è legata a ciò che essa porta, quanto a quello che non porta.
Questa è evidentemente una percezione personale, data dalle persone conosciute, come anche dalle persone non conosciute, ma ascoltate nell'esporre il loro pensiero. Va detto poi che interpreto spesso non solo le parole, ma anche la gestualità, le attitudini sociali: fa inevitabilmente parte del mio metodo di analisi. Se riesco a confermare la mia visione, con una percentuale notevole di osservazioni, convalido almeno il mio pensiero.

D'altronde lo stesso Nietzsche, in un aforisma che suona inizialmente come discriminatorio, ma svela ben altro, diceva "che mai si estenda anche alle ragazze l'istruzione liceale, che fa di tanti giovani intraprendenti ed avidi di sapere, delle brutte copie dei loro maestri".
Perdonatemi, ma nel formalismo del greco antico, del latino, della filosofia, non vedo che esercizi di sterile conformismo. Non c'è alcuno spirito critico, non c'è possibilità di dissentire o innovare. Magari mi si farà notare che è ben difficile vedere innovazione da parte dei giovani liceali.
Eppure innovano come giovani consumatori di credito telefonico, di abiti firmati da stilisti di grido, e così via. Hanno il dovere di farlo in quei modi, mentre tutto il resto è negato.

La negazione del resto è così evidente. Ogni loro espressione finisce per essere malinconica, scialba, priva di espressività personale.
Non raccontano, ma citano, perfettamente. E lo faranno per tutti gli anni a seguire: scimmiette ammaestrate, ma si sentono colti, vista la loro citazione di altri autori colti.
Qualcuno, anni fa, mi descrisse la cultura liceale come l'unica in grado di dare un metodo di studio. Parole valide solo se lo studio è sul passato, su ciò che fu, mai su ciò che verrà: dove si richiede la flessibilità dell'innovazione, il nemico primario della cultura classica.

Oggi li osservo in varie forme. Sia i liceali ancora in formazione, che stanno strutturando la loro identità (o meglio lo stampo a cui uniformarsi), sia i liceali arrivati.
Quelli che più si fregiano d'innovare, sono iscritti alle facoltà universitarie della falsa innovazione. Studiano ingegneria gestionale, sono i nuovi padroni del vapore. Ma in pratica non hanno mai creato niente, ne sono incapaci.
Un esame o due, in sociologia o psicologia industriale, l'illude di conoscere le masse, di sapere come pensa un metalmeccanico o un dipendente aeroportuale, per manipolarlo in futuro. Finiscono poi per irritarsi al primo sciopero che blocca gli aerei per una giornata, perché non han capito che il mondo reale comincia esattamente dove finiscono le prove, senza un reality show che mostri il mondo reale un episodio alla volta.

E hanno gli stessi vizi e virtù dei loro coetanei meno acculturati.
Hanno bisogno della stessa sigaretta per sentirsi accettati nel mondo degli adulti, mostrano le stesse ansie e paure patologiche. Con la sola differenza di saper dire ogni cosa con mille sinonimi, di sapere dove cadono gli accenti e come si coniugano i verbi. Imparano una lingua sterile, formalmente perfetta, vuota nei contenuti. Imparano morale ed etica, o meglio le uniche accettate come possibili.