giovedì, febbraio 28, 2008

Proprietari del futuro

Leggendo il solito quotidiano in forma cartacea, nella rubrica dedicata alle lettere dei lettori, mi è saltato all'occhio un piccolo articolo.
Uno studente di liceo citava come il microcosmo giovanile, a partire dalla sua stessa scuola, sia così diverso da quello raccontato nei giornali e nei notiziari. Come siano più indistinte e nebulose le posizioni politiche dei giovani, che avocano posizioni con nomi di ideologie che ormai non conoscono più, come quelle comuniste o fasciste.
Ho trovato interessante la sua conclusione ad effetto, in cui si mette nettamente dal lato di chi è giovane oggi, rammentando che mentre il presente è di qualcun altro, il futuro non lo sarà: "oggi il presente è vostro, domani no".

A livello logico non fa una piega, considerando il domani come un futuro generico. E' ovvio che chi controlla oggi politica, informazione, economia, non lo farà nello stesso modo fra venti, cinquanta o cento anni.
Da un certo punto di vista è un sollievo saperlo, perché significa ricambio generazionale. Se da un lato la maggior parte di noi è terrorizzata all'idea di morire, dall'altro dovrebbe essere felice che ciò accada, perché la vita è cambiamento. Dopo la nostra vita ce ne saranno altre, così com'è già stato in passato. Riguardando la storia ad oggi si può anche dire che il ciclo di vita e morte, di miliardi di individui, ha portato un miglioramento per le generazioni successive.
Miglioramenti nello stile e nella qualità di vita, che certo non sono valsi in modo universale, che non hanno neppure migliorato in modo sicuro il pianeta (vedi gli eventi climatici). Quel che è certo è che per ogni epoca, se questa fosse rimasta inalterata, senza nuove nascite e morti, sarebbe stato disastroso.

Quello che il giovane studioso della cultura non ci dice esplicitamente è insito nell'osservazione stessa che ci pone.
Se oggi c'è qualcuno che dice proprio il presente, domani chi lo farà?
Il modo in cui pone la frase è anche sintomo della sua incertezza, del timore di vedere il futuro: infatti non scrive "oggi il presente è vostro, domani sarà nostro". Forse preoccupato di risultare arrogante, presuntuoso, finanche inopportuno.
In verità, sotto la mia lente, vedo solo il completamento del messaggio. Ci dice: abbiamo un senso civico diverso, non ci comprendete, saremo presenti nel futuro, ma non sappiamo come.
E in questo ha pienamente ragione.

La diseducazione culturale, iniziata già molti anni fa, sta progredendo a grandi passi.
Nel momento in cui dovesse superare il progresso culturale, sociale ed emotivo, della gente, ci sarà un evidente ritorno indietro. E' mia opinione che questo sia fra i possibili obbiettivi dei poteri politici e mediatici forti.
Cito ad esempio il livello raggiunto dalla comunicazione televisiva.
A me capita sempre più raramente di vedere qualcosa in televisione, se non per qualche fantasioso racconto di finzione o per dei notiziari. In entrambi i casi si tratta perlopiù di visioni inframmezzate da pubblicità, o dalla mia distrazione nel fare altro.
Poi ho avuto occasione di vedere di sfuggita, o anche solo di ascoltare, certi programmi seguiti da altri, molti comuni reality show. Eppure una rapida visione, un fugace ascolto di poche frasi, mi ha permesso di farmene un'idea: anche perché sono ripetizioni costanti di nuovi e vecchi stereotipi.
Il primo punto è certamente sulla parola reality, indubbiamente falsa, visto che certi spettacoli sono costruiti a tavolino. Al minimo vengono selezionati dei protagonisti con caratteristiche già ben precise: la ragazza seducente e licenziosa, il ragazzo un po' arrogante e piacente, e così via.
Il secondo punto è creare ambienti eterogenei, in cui far crescere nervosismi e litigi, ambizioni e invidie. I sentimenti negativi sono quelli più facilmente trasmissibili: tutti abbiamo un lato più attento alla negatività, probabilmente donatoci dalla nostra natura come difesa.
Lo scopo finale è l'attenzione: in una carambola dall'apparenza perpetua, si creano legami e alterchi, la cui alternanza mantiene vivo l'interesse dello spettatore.
Perché è importante tenere impegnata l'attenzione di chi assiste. Nasce tutto come svago, come proposta di divertimento, in cui si assiste alla vita di qualcun altro, ma da cui si finisce per essere dipendenti. Il desiderio compulsivo di conoscere cosa succederà nella prossima puntata diventa lo scopo di ogni visione.
E se questo era già possibile con un semplice romanzo a puntate, per raggiungere lo scopo è necessario dare di più allo spettatore. Le puntate non sono più una decina, ma migliaia, come in tutte le soap opera. Oppure si gioca sulla presenza costante, senza interruzione, come in quegli spettacoli che portano i protagonisti su un'isola tropicale, o chiusi in un ambiente ristretto, fino alle presunte scuole di spettacolo.
Qualunque sia lo scenario rimangono vivi i due punti detti sopra: simulazione di realtà, imbastitura di relazioni interpersonali alterne.

Perché tanto daffare per l'attenzione?
Perché siamo curiosi, abbiamo bisogno di mantenere attive le nostre percezioni, di pensare, d'inventare, di elaborare fantasie. Anche le persone dal livello intellettivo più basso sentono questa necessità tipicamente umana, se il tempo ce lo permette, ci è necessario. Se non abbiamo tempo ne soffriamo la mancanza. E se le capacità non sono sufficienti al costruttivismo, è un buon impegno anche osservare gli altri.
In una società così complessa come quella in cui viviamo, diventa sempre più probabile guardarsi intorno, come parte del nostro impegno. E che succede se guardandoci intorno ci fermiamo troppo a considerare i disagi sociali, economici, politici?
Statisticamente potrebbero essere sempre di più, coloro che mettono l'impegno in progetti sociali, economici e politici. A quel punto, i proprietari del presente più ampio, rischierebbero di perderne una fetta. Un esempio? Chi possiede del mio presente i ricavi economici, come una grande azienda (o meglio come gli oligarchi dell'economia) potrebbe accusare una perdita di potere.
Meglio allora inventare svaghi, giochi televisivi. Giochi dissuasivi. Se il soggetto è più complesso di un criceto, anche la ruota per criceti si può costruire più complessa.

Dove sono i proprietari del prossimo futuro, se già da oggi fanno ancora girare la ruota, senza capire che è solo l'invenzione di migliaia di anni fa, riadattata alle tracotanze dei padroni del presente?

mercoledì, febbraio 27, 2008

Informateci, informatici

Parlare della scienza dei calcolatori fa pensare a qualcosa di puramente tecnico, mentre nel quotidiano si tratta sempre più di sconfinamenti in ogni settore.
Il settore economico è inevitabile, visto che buona parte dello sviluppo informatico è ancora oggi una risorsa finanziaria. Credo che la visione del software come qualcosa di sempre libero, in qualsiasi settore, rimanga applicabile solo in contesti ben circoscritti.
L'esempio va in fondo visto al contrario: partiamo da qualcosa di apparentemente libero, gratuito, come uno sport o un hobby. Quando questo diventa di larga e importante diffusione finisce sempre per essere permeato da interessi economici. Figurarsi se sia poi possibile invertire il processo, de-finanziando un processo economico (come lo sviluppo del software) rendendolo solo ed esclusivamente gratuito.
Il denaro è in fondo parte di un fenomeno osmotico, che tende a vederlo diffuso in modo più o meno uniforme nelle attività umane. Purtroppo non segue la diffusione uniforme la quantità di denaro, ma questa è un'altra storia.
***
Scrivevo le parole sopra ieri, leggendo della (nuova) multa comminata a Microsoft, dalla commissione antitrust europea. Ben 899 milioni di Euro, per aver continuato ad ignorare la precedente sentenza, secondo cui avevano sborsato 497 milioni di Euro.
I motivi sono semplici, triti e ritriti. L'abuso di posizione dominante, ai danni di altri produttori, ma sicuramente ai danni degli utenti.
Ho letto qualche commento in cui i sostenitori della causa Microsoft affermano che in fondo è poca cosa, rispetto ai guadagni annuali dell'azienda, e che sicuramente caricherà i costi legali e le multe sugli utenti finali. Se è veramente così, allora non è certo motivo di rassegnazione, quanto di maggiore indignazione: chi può fermare un egemone americano? La legislazione europea, perlomeno, che speriamo rinnovi ancora le multe aumentandole di un ordine di grandezza: magari in quel modo saranno valutate più attentamente.
Ma ne riparlerò in seguito.

giovedì, febbraio 21, 2008

Traslochi differenziati

Fare un trasloco non inizia col primo mobile di casa a cui si cambia collocazione, e non termina con l'ultimo. C'è anche tutta una serie di attività collegate, come quelle burocratiche, giù fino all'aggiornare il servizio di igiene urbana, ovvero lo smaltimento rifiuti.

Nella municipalità adiacente a quella in cui ci siamo trasferiti è in funzione da molti anni un termovalorizzatore. Se vogliamo essere precisi, un contestatissimo termovalorizzatore, così come questi lo sono un po' ovunque, di recente.
I più accaniti contestatori sembrano essere gli abitanti limitrofi all'impianto: viene da pensare che possa essere naturale, per chi s'è trovata d'improvviso questa imponente struttura a un chilometro da casa. Certo, se si volesse essere un po' più precisi, bisognerebbe rammentare che le case le hanno costruite almeno una decina d'anni dopo che l'impianto era a pieno regime, magari lucrando sul terreno a basso costo. Sottigliezze.
La richiesta dei comitati negazionisti è la raccolta porta a porta, senza però specificare dove portare infine quel che si raccoglie: semplicemente non qui. Portano nomi utopici, se non parossistici, del tipo "comitato rifiuti zero". Evidentemente non hanno ben chiaro che ogni individuo produce rifiuti, scorie, materiale di scarto, fin anche al suo estremo interramento (o falò).

La zona precisa del mio trasferimento, per qualche ragione urbanistica, è la prima del circondario ad avere un sistema di raccolta più differenziato della media.
Anziché avere la differenziazione minima (carta, vetro, plastica, generico) abbiamo infatti anche un contenitore per i rifiuti organici, che immagino siano sfruttati come biomassa.
Tutto questo regolato da una chiave elettronica (chiamatela smart tag, RFID, o come volete). Che però funziona solo per gettare la parte organica e quella indifferenziata: carta e vetro/plastica sono d'uso libero.
La meraviglia della chiave elettronica è che promette anche tariffe personalizzate, pesando la quantità di rifiuti scaricati. Più o meno.

La gentile signorina del consorzio di gestione mi lascia tutti i depliant illustrativi. Perfino un pacco da una cinquantina di sacchetti di carta, in cui inserire i rifiuti organici e uno stand su cui tenerli in piedi. Dopo la breve spiegazione, la interrompo per un altro motivo: ho già visto l'impianto, ho visto come si usa, e ho un'annotazione da fare.
"La bocca d'entrata del contenitore per la carta è piccola, come dovrei fare per gettare una scatola di cartone, farla a striscioline?"
Mi spiega che è solo per la carta pulita: riviste, quotidiani. Non solo non comprendo quanto possa essere più sporca una scatola di cartone generica, ma non sa dirmi dove dovrei buttarla. Non hanno previsto un contenitore per nessun tipo di rifiuto più grande di una quarantina di centimetri.

Questa mattina, carico sull'auto le scatole vuote dei miei mobili economici, e faccio il giro dell'isolato, giusto cinquecento metri. Scarico il cartone in un cassonetto qualsiasi per la carta, dove non esistono chiavi elettroniche intelligenti, ma con modesta stupidità si riescono ancora a riciclare dei rifiuti.