mercoledì, gennaio 31, 2007

Pax

Purtroppo i miei articoli da weblog si son rarefatti, per un'odissea telematica, sull'abilitazione di una nuova linea ADSL: non appena si sarà conclusa ne narrerò il tragicomico svolgimento.

Nel frattempo vorrei però bastonare a dovere tutti coloro che si occupano della vicenda sui cosiddetti pacs.
Come spesso accade, è una di quelle notizie che impegnano la stampa per giorni, se non settimane, e che ascolto, leggo, quasi in modo passivo. Si segue un giornale televisivo, uno radiofonico, si legge un quotidiano, e non si evita che questa non-notizia venga sviscerata fino al ridicolo. In fondo è una passività, visto che non abbiamo modo d'intervenire sui media. Se poi credete che i talk-show, gli spettacoli della chiacchiera, siano un mondo attivo, con orde (selezionate) di gente con il diritto ad insultarsi pubblicamente, o a diffondere plateali sciocchezze, se davvero lo credete, allora è pure peggio.
In fondo il mondo della comunicazione è riuscito nel suo intento. I mezzi di comunicazione, presi sempre d'assalto da chi voleva dire la sua, hanno reagito con un format che permettesse loro di uscirne con una splendida immagine. Quando in televisione si è cominciata a vedere la gente comune, non solo giornalisti, artisti, conduttori di programmi, le cose sono apparentemente cambiate.
Spesso sono stati sufficienti degli artifici. Come introdurre attori che impersonificassero gente comune, nelle trasmissioni televisive che si fingono concorsi a premi, ma anche in quelle dove si chiedono opinioni.
Tolti i filtri, i mascheramenti, le manipolazioni, non c'è quasi più partecipazione attiva: viene infatti concessa solo quando è ben noto che non altera lo status quo.

Messa da parte l'inutile (in questa fase) opinione pubblica, torniamo a questi famigerati pacs.
Il primo ossimoro della storia, che mi ha risvegliato il desiderio di scriverne, è il signor Giuseppe Betori, nella sua figura di Segretario Generale della CEI (che non ha niente a che fare con gli autorevoli documenti del CEI/IEC).
La sua frase, che ho trovato in un chiaro virgolettato, riassumeva che lo Stato "vuole legiferare troppo".
Leggetela come volete, ma il significato letterale è alquanto semplice. Perché non ha detto che lo Stato voglia legiferare in modo a lui sfavorevole, oppure a suo parere ingiusto: questi sono commenti accettabili da chiunque in fondo. Perfino un ladro ed assassino potrebbe obbiettare che lo Stato legiferi in modo a lui sfavorevole.
Il Betori ha invece usato una parola chiave: troppo. E per il troppo c'è la cura, ovvero il limite. E la cura contro quello che Betori considera troppo è appunto il suo giudizio di limite alle competenze di uno stato sovrano.
A ben vedere ce n'è da riempire un articolo e procedere ad aprire un fascicolo per sovversione dello stato democratico. Cosa che ovviamente non accadrà, perché lo Stato Italiano, chiaramente, non è sovrano su tutto quel che lo riguarda. Ci sono cose per cui rimane vassallo.

L'ipocrisia seguente è dei politicanti, dove tutti hanno dimostrato la loro inutilità, in ogni schieramento politico e carica istituzionale.
Hanno dimostrato che loro, pure in carica, non saprebbero far valere le pretese di una democrazia. Perché il terrore è che l'elettorato, facilmente manipolabile dagli avversari, potrebbe punirli.
Così stan cercando una via di mezzo, un guado nelle acque pericolose.

C'è poi chi beneficerebbe o meno di questi pacs.
E' evidente che una coppia di conviventi, eterosessuali, possa scegliere per il regolare matrimonio, l'unione civile. Certo possono esserci casi particolari, ma a prima vista mi sembra che per questi soggetti ci sia già la soluzione: basta prendersi la responsabilità di andare davanti all'ufficiale di rito civile.
Per i conviventi omosessuali è invece ben diversa la faccenda, per cui è chiaro che questi pacs siano una facilitazione per loro. E se la motivazione dell'unione riconosciuta è economica, legale, amministrativa, non vedo perché negarla.

Una famiglia non convenzionale è accettabile?
Penso proprio di sì, se vogliamo parlare di libertà personale. Ovvio che se la libertà personale non è ammessa per tutto, come accade nella quasi totalità delle fedi religiose, ci sono dei limiti.
Chi vuole essere religioso, seguire una precisa dottrina, non può ovviamente trasgredire. Così non avrebbe alcun senso l'esistenza di una coppia omosessuale che vuol essere cattolica praticante.
Come non avrebbe senso che il signor Silvio Berlusconi entrasse in una chiesa con l'attuale moglie, visto che ha contravvenuto ad un Sacramento Cattolico (divorziando, nonostante un matrimonio religioso e contraendone uno civile).
E ha ancor meno senso la condotta del signor Pier Ferdinando Casini, che rappresenta un partito politico d'ispirazione cattolica, è divorziato da un matrimonio cattolico, ed ha infine una relazione ed un figlio fuori dal matrimonio sia civile che religioso.
Viene da chiedersi cosa intendono per istituzione della famiglia questi signori, quando la difendono tanto: come possono parlare di famiglia in senso cattolico, se neppure loro seguono ciò che predicano?
Ma non sono i soli, se spulciate nella vita privata di tanti predicatori scoprirete gli stessi risultati. In un paese come gli Stati Uniti d'America, dove l'estremismo religioso è molto forte, questi personaggi avrebbero sicuramente visto la loro disfatta politica. Ma non qui da noi, dove amiamo farci dileggiare, canzonare, anche sui fatti più evidenti.
Paritur pax bello.

giovedì, gennaio 18, 2007

Sotto contratto

Quanti di voi dedicano il giusto tempo a leggere i contratti?
E non parlo del contratto per la casa, o quello di lavoro, ma dei contratti minori, quelli dei servizi che vogliamo presto e subito, senza pensarci troppo.
Negli ultimi anni ho imparato a leggerli sempre più spesso con attenzione, per rilevare delle situazioni estremamente preoccupanti.

Gestori telefonici e di servizi Internet, ma anche produttori di software e di beni d'ogni genere: tutti sembrano avere come redattori degli avvocati arrivisti e un po' furboni. Ed hanno ben donde di esserlo, visto che facilmente ne vengono ripagati: solo alla risoluzione dei contratti gli utenti scoprono infatti che qualcosa non va, che hanno firmato una vera e propria truffa.

Un caso che mi era parso eclatante si trova nel documento di contratto di un fornitore di connessioni ADSL a basso costo, tale Siportal. Nel contratto, che deve essere accettato in toto dall'utente, per avere dirito al servizio, vi si leggono fatti inquietanti. All'articolo 19, punto (b), risulta infatti che per ottenere il servizio si cede al fornitore ogni propria informazione personale: loro le gestiranno solo in modo lecito, ci tengono a sottolineare, ma tutto quel che farete in Internet, dalla loro connessione, verrà controllato per scopi commerciali e pubblicitari. Senza limite di alcun tipo.
Trovando il fatto piuttosto insolito, feci un esposto al Garante per la Protezione dei Dati Personali, citando il dettaglio e gli articoli di legge che a mio parere venivano contravvenuti.
E' passato un bel po' di tempo, e devo dire che non ho visto né risposte dal Garante, né cambiamenti a quel contratto. Traete voi le conclusioni.

Mi chiedo peraltro per quanto ancora riuscirà a sopravvivere questo weblog. Sì, perché forse l'unica cosa a salvarlo è il suo pubblico, ridotto forse a 2-3 lettori.
Come mai dovrei preoccuparmi?
Il gestore del servizio, Google, ha pensato bene di modernizzare il weblog, così propone un nuovo servizio, che prima o poi dovrò accettare anch'io, se voglio continuare a scriver qui. Nel nuovo servizio, il contratto d'uso è di nuovo un documento preoccupante.
Se leggete anche i due soli paragrafi relativi ai "contenuti che incitano all'odio" e la "diffamazione/calunnia", appare evidente che quel che scrivo, spesso fortemente critico, può essere facilmente considerato contrario ai divieti. E in quel caso rimosso, da loro.

E non crediate che sia finita qui, di contratti vessatori ne incontro ogni giorno, leggendo con un minimo d'attenzione.
Cito solo un ultimo esempio, che molti spesso dimenticano. Tutto il software commerciale è solitamente fornito come licenza d'uso. Questo significa che la vostra versione di Microsoft Windows o di Microsoft Office non è in realtà... vostra. Ne avete la licenza d'uso, che vi costa i quattro o cinquecento Euro di un pacchetto Office, ma in realtà vi può essere ritirata e cancellata in qualsiasi momento: non avete alcun diritto su di essa. E l'avete accettato quando avete giudicato prolissi e noiosi tutti quei documenti su cui cliccare Ok, prima di avviare il programma.
Attenzione ai prossimi Ok.

Il valore dei morti

Negli ultimi anni, quasi con mistero, sono spariti dalle notizie i morti.
Sì, avete letto bene: in nessun incidente, disgrazia o cataclisma, ci sono più morti. Si parla sempre di vittime e feriti, ma di morti non più. La parola morto ha scatenato il senso di terrore nei notiziari, che sempre più richiedono una grande ipocrisia, per raggiungere i grandi ascolti.
Mentre venivano sdoganate tutte le parole volgari, il plateale turpiloquio, la rozzezza simbolo di profondo disagio culturale, qualche parola, pur lecita e non indelicata, veniva abolita.
Questo abuso del linguaggio, che dovrebbe indignare chiunque ami il linguaggio libero, ha invece creato una nuova falsa libertà, quella di potersi esprimere con un frasario un tempo considerato proibito. Così per poter citare i nomi volgari di organi e atti sessuali, ci siamo giocati la libertà di usare il resto del vocabolario.

Ma quanto pesano questi morti?
Già molte volte ho citato ad esempio la morte del signor Bettino Craxi, partendo dagli abusi della simbologia -- quella del latitante, condannato dai tribunali in patria, che espatria per sfuggire alla legge e poi accusare tutti di volergli del male.

Un altro caso che poi mi è rimasto in mente, dagli ultimi anni, è quello del signor Carlo Giuliani, morto (in quanto vittima e deceduto) negli scontri di protesta contro l'incontro G8 del luglio 2001, a Genova.
Non ci voleva una grande scienza per capire i fatti dalle foto e dai filmati di quell'evento. Durante gli scontri di piazza, durante una ritirata dagli attacchi dei Carabinieri, i manifestanti più violenti li hanno inseguiti, fra questi il Giuliani. Nel confronto ammazzo-te/ammazzi-me, è andata che il Giuliani non ha avuto il tempo di avere la meglio, ed anziché uccidere è stato ucciso.
Una vera disgrazia, comunque fosse andata la faccenda, chiunque ne fosse uscito vivo e morto.
Eppure non è stata interpretata così.
Complici gli abusi dei militari e della Polizia sui manifestanti, la morte del Giuliani è stata resa un assurdo simbolo di martirio. La decisione era tutta su chi rendere vittime e carnefici, già a monte delle dimostrazioni di piazza.
Così ad oggi ci sono addirittura proposte di comuni che vogliono mettere il nome di Giuliani a piazze e vie, come se fosse paragonabile a quello di Garibaldi o Mazzini. E non è tutto. Periodicamente, quando si parla di eventi sociopolitici c'è sempre pronta l'intervista o la citazione, su quello che ne pensa la madre. Che non ha la minima preoccupazione di parlare del figlio come un violento, ucciso mentre portava un passamontagna nero, assalendo altre persone, ma continua con una ridicola difesa ed atto accusatorio nei confronti degli altri.
In questo è in effetti in linea con tutte le madri, sia di figli buoni che cattivi.
Da morti diventano tutti buoni. Perché non è bello parlare male dei morti. E delle vittime.

Una vittima è ancora più intoccabile di un morto, perché è caduta a causa di qualcuno o di qualcosa.
Ecco perché una vittima vale di più di un morto, a parità di risultati.
Ecco perché siamo ostaggi di un mondo della comunicazione dove le parole vengono storpiate, con un'ipocrisia che sfiora il ridicolo. Questo per il politicamente corretto, dove si preferisce dire diversamente abili, anziché disabili, che sposta la problematica di chi porta un handicap (a mio avviso in modo realmente offensivo).
Chi conia e utilizza certe terminologie, dai politici ai giornalisti, ai sociologi, non mi si rivela altro che diversamente intelligente. Di ampia diversità, direi.

venerdì, gennaio 12, 2007

Cinismo o realismo?

Sono piuttosto avverso all'insistere con i commenti sui fatti che sconvolgono l'opinione pubblica, perché di solito non vi si cela granché di stimolante per il ragionamento. Certo non è una regola, ma in qualche modo pesa sul mio modo di accettare le notizie.

Già due persone hanno chiesto, in modo più o meno diretto, che ne pensavo di un recente fatto di cronaca, commentato anche un articolo di giornale.
Il signor Gabriele Romagnoli, che firma il suddetto articolo, mi trova d'accordo sulle sue conclusioni. Trovo facilmente condivisibile il fatto che esista un po' ovunque il vicino di casa psicotico, che ti vuole vedere nei guai, se non morto. E su questo è sicuramente d'accordo anche chi mi ha raccontato una storiella, due sere fa, su una vicina di casa che ungeva le scale d'olio d'oliva, per attentare deliberatamente alla sua salute.
Gli argomenti del Romagnoli sarebbero invero una piacevole fonte di chiacchierata, viste le variazioni sul tema che se ne possono trarre.
Un esempio è quello, dove per sfumatura semantica e profilo psicologico, vedo diversamente la frase in cui scrive che "[affermazione scontata] è che l'uomo sia un animale socievole". La mia espressione spesso usata è invece che "l'uomo è un animale sociale": questo prende nella giusta considerazione l'interazione dell'uomo con i suoi simili. La socialità infatti non implica necessariamente socievolezza, com'è il caso di un vicino di casa con intenti da assassino seriale.
La socialità umana non detta che venga ricercata sempre e con chiunque. Il gruppo di rapinatori o stupratori, che opera in accordo, è infatti un esempio di socialità applicata al gruppo, mentre al contrario non implica certo socievolezza verso l'intera comunità umana.

Quello che ha osservato Loli, parlandone per telefono, è che si sa come certe cose possano succedere, eppure il momento in cui succedono è traumatico, non solo per l'evento in sé.
E' in effetti come se una parte di noi volesse scongiurare la possibilità che possa succedere davvero.
La mia posizione è invece passibile di cinismo, per quanto io la consideri una forma di percezione del realismo. Non sono infatti sorpreso da certi eventi tragici, per almeno due motivi.
Il primo motivo è ovviamente la lontananza della tragedia: quando qualcosa di minimo accade a persone vicine, anche appena conosciute, siamo più sensibili per il legame di conoscenza.
Il secondo motivo (anche se non hanno un ordine d'importanza) è che la violenza, di qualsiasi tipo, non è cosa nuova. Questo non significa essere indifferenti alla violenza, ma giungere alla comprensione che non è eradicabile, anche se tutto è contro di essa.
Vorrei tanto che potesse esistere quanto prima un mondo privato della maggior parte delle violenze, ma purtroppo non è così facile. Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek, raccontava storie del ventiquattresimo secolo, perché voleva credere fermamente in un futuro senza fame, guerre e violenze. Eppure chissà se sarà sufficiente aspettare solo altri tre secoli per raggiungere quel futuro.

Una mancanza del Romagnoli, nell'articolo suddetto, è però il mea culpa che dovrebbe fare qualsiasi giornalista, prima di dire che in fondo nell'orrore raccontato non ci sono novità.
Insomma, il caso efferato è la quotidianità, se si estrae dal contesto giornalistico.
Un esempio recente è la minore eco ricevuta dalla notizia della donna uccisa a Corleone, probabilmente sempre da un vicino di casa.
In questo caso mancavano gli elementi per l'interesse popolare (non ci sono bambini uccisi, la vittima è una sola, non c'è il sospetto che uno "straniero" abbia ucciso), e i giornali, le televisioni, hanno compiuto il loro dovere servile: lasciare spazio alle notizie più rilevanti.
Così se venissi ucciso dal mio vicino psicopatico (e qualcuno ne ha l'aspetto) non farei notizia, ma posso sentirmi confortato per l'avere come dirimpettai anche dei cinesi piuttosto loschi: con loro diverrei sicuramente famoso. E io che sto cercando una nuova casa più spaziosa: avere la fortuna a portata di mano e lasciarsela scappare!

e-dioti o iDioti?

Mi ero trattenuto dal commentare il nuovo prodotto svelato da Apple qualche giorno fa, anche perché mi sembrava di sparare sulla Croce Rossa. Oggi però credo meriti un breve commento.

Il gergo di internet aveva fatto scuola, con il prefisso e- usato e abusato in ogni modo, dal più comune (e dotato di senso) e-mail per indicare la posta elettronica (electronic mail), allo e-business. E non dimentichiamo lo e-government, usato senza ritegno anche in Italia. Solo che qui, anziché prendere il significato della traduzione letterale, si sa bene cosa indica: come far spendere alle istituzioni dei soldi in apparati informatici, che non verranno applicati al loro proprio uso, ma finiranno in mano dei lavoratori al più basso grado di competenza.

Apple ha invece fatto proprio, come oggetto di design, il prefisso i, seguito da un nome con iniziale maiuscola (iMac, iBook, iPod, e così via).
Sorprendentemente non sono stati seguiti da Microsoft, in questa pratica compulsiva: probabilmente non c'erano più lettere iniziali degne di marchio. Microsoft si è accontentata del suo marchio .net, oltre alle tante X (partirono con ActiveX, e con Xbox sono riusciti addirittura a metterne due in quattro lettere).

Il nuovo prodotto Apple è nientemeno che un telefono cellulare, capace di instaurare conversazioni telefoniche (mi auguro), di riprodurre brani musicali, di collegarsi ad Internet, dotato infine di una fotocamera e schermo sensibile al tocco.
Sorprendente, vero?
Se la vostra risposta è "non tanto, ho già un telefono Nokia/Motorola/ecc. che fa le stesse cose, da due anni", beh, allora non avete letto la notizia con attenzione. La novità non stava nelle caratteristiche tecniche, altrimenti avreste obiettato che non è neppure un telefono UMTS, che la fotocamera ha solo risoluzione di un paio di megapixel, e così via.
La notizia era che Apple ha sfornato un nuovo prodotto, e tanto basta per i fanatici del marchio. Se poi è un prodotto già vecchiotto, prima di uscire, non ha importanza: chi osserverebbe mai che un'opera di Mondrian o Kandinsky è vecchiotta, se mettete in mostra un'originale nel vostro salotto?
Insomma, soddisfa chi se la rimira. Se poi ha incidentalmente una funzionalità tecnologica, allora sarà in ogni caso eccelsa.
In ogni caso vi rimangono comunque i suggerimenti di The Register su come impiegarlo.

Se però il vostro artista preferito dipinge un quadro, puntando sul nome dell'opera, e lo intitola la gioconda, potrebbe venirvi il dubbio che non sia di grande originalità.
Così lo Apple iPhone, dati gli unici suoi vanti, il nome del produttore e l'originalità del design, perde inaspettatamente uno dei due. Già, perché il nome iPhone è un marchio registrato di un prodotto Cisco Systems.
Però è un prodotto Apple, ed è stato pubblicizzato da Steve Jobs, davanti a un selezionato pubblico adorante, dove ha pure dimostrato come si potessero ordinare dei caffè via Internet, tramite l'eccelso dispositivo. Che fortuna.

martedì, gennaio 09, 2007

Filantropi e filastrocche

Spesse volte vorrei annotarmi da qualche parte le scabrosità, le spigolature, le ruvidità che si apprendono dai mezzi di comunicazione. Articoli di quotidiani, giornali televisivi, e perfino i messaggi pubblicitari, mi conducono a riflessioni sulla profondità dei contenuti e le implicazioni collaterali.
Finisco poi per non annotarmi niente, sia perché sono davvero troppi gli spunti, sia perché sono davvero troppo per sopportare di vederseli scritti di nuovo anche qui.

Come i discorsi del sedicesimo/sedicente Benedetto, che dimostra piena incapacità nel gestire le vicende dell'organico clericale (vedi la vicenda dell'arcivescovo polacco, ex-spia), ma che non cessa con l'arroganza di dichiarare incivile chi non segue la morale cattolica (vedi le invettive sui PACS).

Una faccenduola invece collaterale, per chi come noi vive lontano dai paesi africani, mi è arrivata come lettura e come ascolto in radio, in due fasi. Che mi hanno spinto a mettere per iscritto l'indignazione.
Un articolo di ieri su La Repubblica, firmato dal signor Vittorio Zucconi, citava dati, da un'inchiesta del Los Angeles Times, sugli affari del signor William Gates e la sua famigerata fondazione.
L'articolo dello Zucconi ha un piglio moderno, quello del nuovo modo di fare giornalismo all'americana. O meglio, il modo di fare giornalismo di parte, in modo che apparentemente non sembri così. Probabilmente quel metodo ha anche una certa presa sul pubblico, negli Stati Uniti d'America, mentre qui è un po' dubbio.
La descrizione parte dal fatto, nei suoi dettagli: la Bill & Melinda Gates Foundation, spende soldi in beneficienza, sì, ma ad un costo per chi la riceve. Questo di per sé esclude già il termine beneficienza, ma il gioco di denaro è assai complesso, per essere liquidato così.
I signori Gates investono prima in compagnie petrolifere, farmaceutiche, producendo inquinanti e danno economico alle nazioni in via di sviluppo, in seguito, con un ramo separato della fondazione, donano soldi alle stesse popolazioni, con un fattore diciamo del 50% rispetto agli introiti.
Così possono prima causare il cancro e diffondere l'AIDS, per poi vendere i farmaci e regalare scuole per l'infanzia.
La conclusione dello Zucconi si evince già prima della metà del suo articolo, quando in proposito alle attività nel settore informatico del signor Gates scrive "è stato ripetutamente accusato e incriminato per pratiche contro la concorrenza, negli Stati Uniti come alla Commissione Europea, nel tentativo, finora sostanzialmente vano, di spezzare il suo impero".
La decisione europea non aveva nessuna intenzione di combattere una grossa multinazionale, che fra l'altro aveva già avuto vittorie negli USA per le amicizie che legano Gates al presidente in carica. Il punto era di evitare il soffocamento di un settore, evitando che si giungesse ad un monopolio legalizzato. Il tono dell'articolo invece è costantemente lamentoso, con un pover'uomo che non riesce a fare il miliardario come vorrebbe, perché limitato da cattivissime organizzazioni come la Comunità Europea.
Ma non si ferma qui.
Il finale ad effetto, dopo tanto prologo, è che non si può negare come Gates stia sfruttando popolazioni povere, forte del potere economico, in un continente così disastrato. Ma, prosegue lo Zucconi, è un male necessario, perché se non facesse un po' di morti e feriti, come ci si potrebbe aspettare che arrivino anche aiuti economici e umanitari? Ci spiega che se non fosse Gates a pilotare il settore farmaceutico, lo farebbero altri, molto più avidi, che non destinerebbero nemmeno un soldo in beneficienza.
Insomma, Gates è il minore dei mali, quindi per lo Zucconi non si può che gioirne. Il cancro è una gioia a seconda di chi te lo causa?
Lascio a voi la scelta di un epiteto colorito per definire l'articolista e la buona e felice famigliola Gates.

venerdì, gennaio 05, 2007

Gente d'ogni specie

Esperti alla guida - 2
Nel guazzabuglio di parole che ho compilato ieri mi ero dimenticato un punto.
Il signor Ken Livingstone, che casualmente copre anche la carica di sindaco della citta di Londra, ha opinioni assai precise sui guidatori delle auto a quattro ruote motrici: a suo parere si tratta d'idioti o di contadini. I primi le guidano in città, i secondi in campagna, e tanto è sufficiente per lui.
Il fortunato Livingstone, che non ha mai affrontato avventure come un suo più antico omonimo, si deve essere perso i terreni accidentati, gli acquitrini, le trappole improvvise. Se fosse sindaco di qualche città italiana dovrebbe cautelarsi infatti, perché quel tipo d'imprevisti sono ormai più comuni nella cerchia urbana di città come Firenze, che fuori dalle mura.
Cantieri infiniti, buche scavate dove già non ce n'era una, pietre sconnesse fino a rendere certe strade un percorso da cingolati, fanno ricredere sul tipo di mezzo necessario. Fortunatamente non vivo in una città come Firenze, appunto, ma giro per le periferie e mi avvicino alle campagne, così da poter tranquillamente usare una normale berlina. Altrimenti una fuoristrada sarebbe strettamente necessaria.

Famosi fino in fondo
Quando con "fondo" penso al letterale "fondo del barile", appaiono citazioni consone come l'entrata in classifica, nella lista Who's who delle personalità britanniche degne di nota, del signor Jonathan Ive.
Se vi chiedete chi sia questo signore, posso riassumervi che è riuscito in un compito in effetti delicato: ha reso simboli d'arte delle scatole vuote (di contenuti e significati). In realtà le scatole non erano vuote nel senso del contenuto fisico, ma trattandosi di prodotti come gli Apple iMac e iPod erano in realtà vuote nel senso tecnologico. Niente d'innovativo, prodotti che nessun consumatore vorrebbe, visto che per le funzionalità tecnologiche ne esistono tanti altri, ma che il tocco del designer ha reso oggetti di culto.
Una sorta di ritratto alla Marylin Monroe dell'informatica, l'icona decadente di un mondo vuoto, portata fino all'autodistruzione per il distruttivismo insito nel modello stesso. Che dire, almeno il dipinto di Andy Warhol era multicolore, mentre il minimalismo di Ive ricorda qualche asettico strumento da farmacista. Suppongo che Apple non produrrà mai una bilancia per neonati o un misuratore di glucosio per diabetici, visto che hanno già quel design. Però potrebbero smentirmi: quando qualcosa è già stato inventato e funziona non sanno esimersi dal farne una copia con caratteristiche ridotte.

giovedì, gennaio 04, 2007

Esperti alla guida

Immaginate un esperto di autoveicoli, qualcuno che abbia studiato con estrema passione la meccanica e la termodinamica, l'elettronica dei mezzi e la psicologia dei guidatori. Vorreste averlo come istruttore di scuola guida? Probabilmente sì, sapendo che magari potrebbe introdurvi con dei buoni argomenti.
Supponiamo che però, nel contempo, veniate a sapere che questo esperto non ha mai realmente guidato un'automobile. Se l'è studiate tutte, le ha viste guidare, ma per scelta personale lui non lo farebbe mai. E' un fenomeno quantomeno curioso, se non assurdo, ma l'assurdità rende chiaro un altro parallelo, con un caso più realistico, che mi ha suggerito l'analogia.
Quali sono i suggerimenti che un prete cattolico può dare a due futuri sposi, tanto da farne un corso prematrimoniale?

Confermando quel che mi è stato detto una volta, cioè che io ho un flusso di pensiero non lineare (e lo considero uno splendido complimento), torno invece all'argomento automobilistico.
La rivista New Scientist ha pubblicato uno studio sui guidatori dei cosiddetti sport utility vehicles (SUV), che tanto hanno acquisito diffusione anche da noi.
La preferenza degli automobilisti verso questo tipo di mezzi, che spesso sono un incrocio fra automobili di grandi dimensioni e fuoristrada a quattro ruote motrici, è sicuramente dettata da alcune percezioni facilmente indovinabili.
Avere la sensazione di migliore controllo della strada, vedendola da una posizione più in alto, è sicuramente una di queste. C'è anche la sensazione che un mezzo di maggiori dimensioni sia più robusto. Non sottovaluto poi l'appagamento di sfoggiare un veicolo grande, che a mio parere è anche la molla primaria del meccanismo che ha reso altrettanto diffuse le cosiddette automobili station wagon. Il senso del "grosso è bello" ha insomma conquistato anche i guidatori e le guidatrici italiane, riempiendo con alcuni chili in più di acciaio quel vuoto della persona che cresce quotidianamente.
Penso infatti che non sia difficile individuare in certi simboli il desiderio di affermazione, il bisogno di sentirsi considerati come persone speciali. Sono valide anche altre simbologie, come l'estensione, tutta maschile, del proprio membro virile, attraverso un simbolo sociale quale la dimensione della propria automobile. Probabilmente sono ben altri simboli ad appagare invece le donne, che non mostrano spesso questa necessità in termini automobilistici, quanto in altri settori (gusto estetico, simboli di femminilità).

La preoccupazione dell'articolista di New Scientist, come dei ricercatori che hanno condotto lo studio, è principalmente sul senso di falsa sicurezza, indotto da alcuni veicoli.
Le dimensioni del mezzo fanno infatti pensare, all'ingenuo guidatore, che anche in caso di collisione si sia tutelati in modo direttamente proporzionale. In realtà questo non è proprio così, e non solo perché gli incidenti reali non sono lineari come i crash test. Un esempio è la riluttanza all'uso delle cinture di sicurezza e l'eccessivo affidamento agli airbag, che hanno il loro migliore effetto sotto i 30-50 km/h di velocità.
Tutti i moderni meccanismi di sicurezza, come anche l'assistenza nelle frenate di emergenza, oppure il controllo elettronico contro i tamponamenti, sono benvenuti. Nessuno di questi però può salvare da un urto ad alta velocità (già ad un centinaio di chilometri orari è assai normale uscire seriamente feriti o morti da una collisione, qualsiasi sia il mezzo).
Un'altra falsa sicurezza, che ho notato in molti automobilisti, è la scarsa attenzione verso la sicurezza offerta dagli altri. Chi in autostrada si avvicina troppo al veicolo che lo precede, non ha infatti la percezione che la sua sicurezza è data principalmente dalle capacità dell'altro guidatore e dell'altro mezzo: se questo infatti rallenta improvvisamente per un guasto, non serve quasi a niente avere un mezzo molto migliore. Se il veicolo che precede è assai vetusto, e subisce lo scoppio di uno pneumatico, se lo ritroverà sul cofano chi segue, per quanto guidi un'automobile moderna e prestante. Come per molte altre situazioni: nel momento in cui si crea una catena, il difetto più grave è pari a quello dell'anello più debole.

Così sono ben pochi a ricordare che il rischio ribaltamento di un'automobile molto alta (quale un SUV) è maggiore rispetto a veicoli più bassi da terra, e che sicuramente si può compensare solo con un'andatura più moderata.
Il corollario di queste considerazioni è a mio parere un'automobile ben precisa.
Parecchi anni fa Daimler-Benz, con il marchio Mercedes, immesse sul mercato la serie A, un'automobile pensata per aggredire il settore delle monovolume compatte, con un prodotto di sicura eleganza.
Mentre un gruppo di giornalisti del settore automobilistico la stavano provando, per rilasciarle il premio di auto dell'anno, si generò un clamoroso incidente. In una semplice curva, ai sessanta chilometri orari, l'automobile perse completamente aderenza dal terreno e si adagiò su un fianco, con qualche trauma per gli occupanti.
Ora, mentre è comune vedere incidenti di tante auto, dove per l'alta velocità capitano slittamenti fuori dalla sede stradale, il ribaltamento sul fianco, senza interventi esterni, è di solito incidentale per velocità assai più elevate. Questo fa pensare che il veicolo in questione sia seriamente pensato male, fino dall'origine, per la distribuzione dei pesi.

La soluzione del costruttore fu d'impiegare un ottimo controllo elettronico della stabilità, per rendere così sicura su strada un'automobile fondamentalmente ideata male. Tutt'oggi non è quindi incomprensibile vedere quel modello che si ribalta sul fianco, in caso d'incidente con un urto dall'esterno (che non può essere corretto dal sistema elettronico).
L'elettronica aiuta, ma anche quando riesce a fare qualcosa che non capite non crediate sia un miracolo.

martedì, gennaio 02, 2007

Finestra con Vista

Felice anno nuovo.
E tenete gli occhi aperti, anche se non basteranno per capire cosa c'è in vista. O in Vista, se vogliamo essere più precisi.
L'infausto nome che accompagna il nuovo sistema operativo di Microsoft, crea un delizioso calembour nella pronuncia italiana, window-svista.

Come mai tanta generosità dall'azienda americana, da regalare la nuova versione a più utenti possibile?
Va ricordato che infatti ne potranno beneficiare molti utenti. Tutti coloro che acquistano (nei due mesi antecedenti il rilascio del nuovo sistema operativo) dei nuovi calcolatori, di qualsiasi fatta, purché recanti la scritta Windows Vista Capable.
La risposta, non tanto misteriosa per gli addetti al settore, è anche nella dettagliata analisi del signor Peter Gutmann, che approfondisce bene anche tutti quelli che sono gli effetti collaterali.
Se volete la conclusione è presto detta: l'obbiettivo è creare delle licenze d'uso che portino soldi sicuri a Microsoft, con il forte appoggio delle grandi industrie americane del settore audiovisivo (cinematografico e musicale, per citarne un paio).
Il tentativo era già in corso da tempo, con varie pressioni anche sui costruttori dei sistemi di lettura e scrittura di DVD. Se a quel tempo l'insistenza era sul rendere fondamentale l'uso dei formati di Windows Media Player - per avere royalties da ogni unità prodotta - stavolta il gioco è molto più complesso.

Vorrei soffermarmi a raccontare alcune delle novità elencate dal Gutmann, qualche perla degna di nota.

Le compagnie cinematografiche, in primis, stanno cercando da anni di stringere sempre di più i loro prodotti in un castello a prova d'assedio. Le mura del castello sono i sistemi crittografici di protezione contro le copie e le visioni (o gli ascolti) non autorizzate.
Con Vista, la stessa Microsoft ha redatto specifiche di prodotto da un lato assai complesse e rigide, ma al tempo stesso fumose.
La preoccupazione per i contenuti audio e video ad alta qualità è che possa esserci un qualsiasi canale di comunicazione in cui questi passino senza protezione. Il transito dei dati, dal lettore di DVD, al processore, alla scheda video, fino al monitor, deve essere protetto nel modo più stringente. In questo sforzo hanno coinvolto tutti i produttori delle parti elettroniche interne: per essere compatibili con i contenuti premium del nuovo Vista, dovranno includere una gran quantità di sistemi crittografici.
In cosa si traduce?
Semplice: le parti hardware saranno più complesse e costose, le parti software più complesse e lente.
Ma non finisce lì.

I contenuti premium diverranno il fulcro di Vista: questi non sono certo gli ormai obsoleti DVD, ma i nuovi (ancora costosissimi) dischi Blu-Ray e HD-DVD.
Se l'utente dei contenuti premium va premiato, l'utente dei restanti va tenuto sotto controllo (per evitare che i vecchi DVD siano facilmente copiati e visualizzati). Così il loro contenuto verrà peggiorato nella visione e nell'ascolto. In quella che sembra una fiera dell'assurdo, verrà peggiorata la visione dei DVD per chi usa impianti video e audio di altissima qualità, con le connessioni digitali in fibra ottica o S/PDIF: perché il segnale che ne esce è di qualità troppo elevata e può essere facilmente duplicato.
Come verrà peggiorata l'immagine o il video? In modo automatico, nascosto all'utente.
Così, come descrive il Gutmann, se un medico vorrà visualizzare delle immagini di una radiografia, per accertare la presenza di un tumore, potrebbe ritrovarsi con Vista che sfoca l'immagine inavvertitamente, e non vederlo.
E non finisce neppure qui.

Visto che tutto è centrato sul combattere la fruibilità illegale, sono richiesti dei controlli paranoici su tutto.
Supponiamo che un utente australiano abbia una scheda video simile alla vostra. Potete pensare che i suoi guai non vi riguardino, se la vostra funziona alla perfezione. Questo valeva prima di Vista, infatti.
Se l'australiano si ritrova però con un componente software che smette di funzionare con la sua scheda video, la cosa non passa inosservata. Viene registrata, e in caso grave la sua scheda video viene dichiarata sgradita. Anche se potrebbe ancora funzionare, e non ha guasti irreparabili.
Incidentalmente tutto questo viene registrato, inviato a Microsoft, catalogato. Al prossimo aggiornamento potreste scoprire (magari insieme ad altri centomila utenti) che la vostra scheda video è dichiarata sgradita a livello globale, Vista non la supporterà più. E se si tratta di una scheda un po' vecchiotta, per cui nessuno indaga sul problema, non funzionerà mai più.
In teoria, avrete un computer a orologeria, che a discrezione di Microsoft potrebbe venire interdetto completamente nel suo funzionamento, prima o poi.
E ancora non siamo alla fine.

Potreste desiderare di usare un altro sistema operativo, magari gratuito, open source.
Eppure non vi salverà da tutti i costi: i componenti hardware, per ammortizzare i costi, verranno sempre pensati per Vista. Dovrete comunque pagare il costo delle complicazioni aggiunte per Vista, anche se non lo usate.
Per non parlare dei cosiddetti driver, quelle parti di un sistema operativo che fanno funzionare le singole componenti del calcolatore (scheda video, scheda audio, eccetera).
Per la compatibilità con la presunta sicurezza di Vista, le informazioni su queste parti diverranno segreti non divulgabili: nessuno potrà realizzare una versione di Linux o FreeBSD funzionante a pieno per il vostro audio e video, perché sarà illegale.
E la fine delle cattive notizie non ha mai fine.

Sarà interessante vedere se nella Comunità Europea vincerà il solito servilismo verso il potere commerciale o se riuscirà a spuntarla qualche obbligo di apertura, che in ogni caso arriverà troppo tardi, quando i giochi saranno già fatti: com'è accaduto già con Internet Explorer e Windows Media Player.
Vedete un po' voi cosa c'è, fuori dalla finestra.