giovedì, aprile 20, 2006

I grandi vantaggi del software regalato

Fatta la premessa che questo mio intervento ha decisamente connotazioni tecniche, miste a quelle più generali, cercherò comunque di evitare il gergo.

C'è del vero, in proposito al software pubblico, relativamente alla diffusione sia del suo libero uso che di quel che si chiama il sorgente, cioè il testo da cui il computer compila un programma nella sua forma finale, quella che infine usiamo.
E' vero che usare liberamente un programma ci rende più felici di non aver speso un soldo.
E' vero che diffondere i sorgenti permetta di apprendere come si realizzano certe soluzioni, come funziona la parte creativa del processo.

C'è del falso nell'affermare che tutto quello che viene chiamato software aperto lo sia realmente.
Il primo terrore di chi regala il suo lavoro sembra proprio che altri ne ottengano un guadagno economico. Lo stesso tipo di terrore che ha chi vende il software.
Ci sono quindi delle licenze anche dietro al software aperto, che ti dicono che puoi usarlo come vuoi, ma secondo una regola.
Suona come la vecchia storia del libero arbitrio. Libertà, ma solo ammettendo di non essere indipendenti.

C'è dell'opinabile nell'affermare che chiunque possa prendere i sorgenti di un programma, quando è un sorgente aperto, e crearne una versione propria.
Sempre più spesso il software ha una complessità notevole, non a caso certi programmi vengono sviluppati e gestiti da comunità assai ampie.

C'è del deprecabile nel vedere come le comunità che gestiscono i sorgenti aperti sono fra quelle con la più forte chiusura mentale.
Perché sanno creare cose nuove, ma non sanno ascoltare, soprattutto le critiche. Sono abituati a sentire critiche soprattutto da chi sviluppa software commerciale, venduto a caro prezzo, che li critica per le mancanze di fondi, di piani industriali, di professionalità. Così prendono qualsiasi critica come fatta al loro movimento, anziché ad un prodotto o ad una funzionalità.

Riflettevo poco fa su una sommatoria di tutti questi fattori, in cui mi sono imbattuto da tempo, e continuo a osservare come sia sempre una conferma.
Scendendo nel tecnico.
Utilizzo sempre, come browser web, il gratuito ed evoluto Mozilla Firefox. Lo uso da tanto tempo, fin dalle sue prime versioni di prova. Anche quelle erano già un salto notevole, rispetto ad usare il terrificante Internet Explorer, e in ogni caso, fin da prima, usavo altri prodotti Mozilla/Netscape.
Ora, da utente coscienzioso, vista l'apertura della comunità Mozilla, fatta di decine (se non di centinaia) di sviluppatori, pensai bene anche di segnalare i difetti, visto che esiste un sito apposito per farlo.
I risultati delle mie segnalazioni sono stati deludenti, come (quasi) sempre mi è capitato con il software aperto.

Quando segnalai, oltre un paio d'anni fa, un problema nel gestire la memoria di sistema, scoprii che era già conosciuto da almeno un anno. Conosciuto, ma ignorato: gli sviluppatori preferivano filosofeggiare sull'approccio impiegato, anziché adottare una strategia.
Così, tutt'oggi, se utilizzate Firefox: aprendo cento finestre su delle pagine web, si occupa molta memoria di sistema (e questo mi sembra normale), ma chiudendone anche novantanove, la memoria non si libera più. Non finché viene chiuso del tutto il programma.
Stessa cosa per un altro difetto più particolare. Se lavorate in una rete di computer, e salvate con Firefox la copia di un file da internet, sul vostro disco fisso, potreste scoprire che non potete condividerlo con altri utenti della vostra rete. C'è una condizione in cui accade, ed è una condizione conosciuta, già segnalata. Solo che non c'è nessuna volontà di cambiamento, c'è paura del cambiamento: meglio farne una discussione filosofica.
E' software aperto, potrei cambiarlo da solo, no? Sfortunatamente rientra in quel software di estrema complessità, il solo pensiero di provarci mi scatena una noia indicibile.

Cosa ci stanno realmente regalando, senza che ne paghiamo alcun prezzo?
Perché un prezzo c'è sempre: è normale che vi sia, nel mondo reale. Forse non in quello di certi teorici del software. In quello di chi deve giustificare un fine al proprio lavoro, per pagarsi l'affitto o la spesa al supermercato, le cose sono ben diverse.

venerdì, aprile 14, 2006

Mondi perfetti

Non nascondo mai la mia irritazione, nel leggere il weblog del signor Beppe Grillo.
Irritazione data principalmente da un motivo: il fatto che fra lui e le persone che denuncia, non ci sia poi molta differenza. Cerco di spiegarlo.

Spesso richiama a sé dei fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti, come l'inquinamento o altre disattenzioni della politica.
Il punto è che il modo in cui lo fa, riprende esattamente l'ottusità, il populismo, delle stesse persone che contesta.
La prima denuncia è di fenomeni descritti come "in Europa/Olanda/Germania/ecc. le cose sono fatte meglio". Ci racconta di paesi stranieri, come se solo sapendolo tutti gl'italiani volessero istantaneamente imitarli. In realtà, alla fine, sorte l'effetto esattamente opposto.
Perché gl'italiani non sono soltanto un altro popolo (e passo oltre alla mia opinione, ché sarebbe assai dura), ma pur di sentire la propria identità nazionale, preferiscono essere diversi da tutti quelli che cita. Quanto diversi? Anche più idioti, testardi, cocciuti, pur di essere diversi, di rimarcare la loro appartenenza.

Quindi trovo irritante che mi elenchi in quali nazioni europee la segnaletica stradale è stata rimossa agli incroci, per dare responsabilità agli automobilisti, nei confronti dei pedoni.
Qui, se prima non si cambia la mentalità della gente, non ha alcuno scopo cambiare le leggi.
Ecco perché quando leggo gli articoli del signor Grillo mi sento offeso, come dalle leggi emozionali che si promulgano continuamente. Una massa di provvedimenti, di regolamenti, che finiscono per divenire inapplicabili: c'è già una valanga di politici (vecchi e nuovi) pronti a scrivere leggi per metterci il proprio nome, e questo signore, con la scusa della comicità, vuole mettere anche lui il suo. Non ci spiega come applicherà le leggi che propone, non ci dice in quale nazione le veda applicabili seriamente -- e per favore, che non ci dica l'Italia, perché si passerebbe dalla comicità al suo parossismo, per non dire di peggio.

Il mondo perfetto, di questi teologi dell'ecologia, dei governanti del paese dei balocchi, non è qui.
E c'è un motivo: è inutile che ci dica come dipenda solo da chi governa, dipende da tutti.
L'arroganza con cui insiste sulle sue posizioni, me lo rende antipatico anche in quello che concordo con lui: non mi sorprende che finisca per esserlo infine con chi è in disaccordo.

martedì, aprile 11, 2006

Primi risultati politici

La tristezza del pessimista non è in ciò che teme (e pronostica) possa accadere, ma nello scoprire di aver indovinato.
Poco tempo fa esprimevo un concetto di tendenza al centralismo, come punto di presunta stabilità, a cui molti tendono. E che in effetti sembra aver fatto il suo gioco anche in queste ultime elezioni politiche -- seppure in questo momento io non abbia ancora in mano i dati definitivi.

L'immagine interessante è che alla metà della popolazione l'Italia va bene così com'è -- nonostante tutti gli avvenimenti a livello economico, oltre a quelli politici internazionali, degli ultimi anni.
Come dire, "non muoviamoci da questa posizione, buona o cattiva che sia, rimane la migliore".

La dimostrazione, come al solito, è che la media non rappresenta la virtù. Il centro tanto desiderato è come l'uovo da mettere in equilibrio su una delle sue convessità maggiori. Solo che Cristoforo Colombo è morto da un pezzo, per cui è meglio prepararsi all'ennesima frittata. Dove l'uovo lega gli avanzi, certo.
Avrei trovato più decorosa qualsiasi scelta avesse portato gl'Italiani verso una direzione o l'altra, allontanandosi dal centralismo, dalla paura degli estremi.

Non vanno sottovalutate poi le alleanze, quelle che hanno portato le figure politiche da un lato o dall'altro dello schieramento. Il sottile squilibrio è in fondo anche una scelta di partner, il saperseli rendere alleati. Creare insomma una coalizione da cinquanta percento.
Probabilmente questo ha anche portato alcuni elettori a scartare da un lato o dall'altro, rimanendo indecisi anche oggi, con questi risultati.
Insomma: se chiedete un'indicazione stradale, davanti ad un bivio, vi risponderanno probabilmente 'destra' o 'sinistra', difficile che qualcuno dica di restare fermi al centro, aspettando che la vostra destinazione vi raggiunga. L'Italia invece risponde così.

domenica, aprile 09, 2006

Curiosa economia

Alcuni giorni fa, ascoltando la radio, ho sentito un commento che definirei come minimo curioso.
Un economista di fama (di cui purtroppo mi son perso il nome) veniva intervistato sugli ultimi dati economici, relativi allo stato delle famiglie italiane.
In particolare era in esame il crescente indebitamento delle famiglie, che pare aver toccato nuovi record, nel 2005. Il nostro esperto ha dichiarato che "il crescente indebitamento delle famiglie non è da vedersi come un dato del tutto negativo" (sic). Sì, perché a sua detta non siamo abituati ad avere molti debiti, mentre in qualche altra parte del mondo (forse si riferiva al resto dell'Europa? Sinceramente non lo ricordo) le famiglie sono abituate ad un maggior indebitamento.
Chissà se pensava anche alla propria famiglia, quando esponeva la didattica della povertà.

Io che sono malizioso, ho invece interpretato il messaggio diversamente.
Nel senso che l'indebitamento porta infine ricchezza nelle mani di chi lo finanzia, come le banche, che hanno riscosso nel 2005 un aumento degli utili del 66% rispetto all'anno precedente.
E questo non è un dato negativo, per le banche e per chi ne ha quote azionarie. Forse era questa la famiglia a cui pensava l'economista, quella degli azionisti bancari.

Ma per cosa s'indebitano le famiglie italiane?
Tempo fa avevo già letto, seppure con scarsa attenzione, alcuni articoli in proposito. Non perché non m'interessassero, ma perché rivelavano già nei titoli tutto quello che già pensavo.
Debiti per mantenere uno stile di vita decoroso, ma anche debiti per acquistare i nuovi prodotti hi-tech.

Le cassette postali sono ormai quotidianamente zeppe di comunicati pubblicitari multicolori, con al centro dell'attenzione le grandi catene di elettronica. Quelle che vendono dal televisore al frigorifero, in continua rincorsa ai prezzi. Che ormai rimangono gli unici a calare costantemente, vuoi per il miglioramento di certi processi tecnologici, vuoi per la delocalizzazione di certe produzioni in paesi poveri e sfruttabili all'inverosimile.
E i prodotti tecnologici sono spesso loro stessi le icone della propria pubblicità. Creati per appetire, colorati, dotati di sempre nuove funzionalità, di cui scopriamo non poter fare a meno.
Diventano rapidamente status symbol, riempiono il vuoto dell'esistenza dei loro proprietari. E la propria esistenza ha un valore tale per cui ci si può indebitare.
"L'indebitamento non è un dato del tutto negativo". Ancora ne sorrido.