venerdì, giugno 22, 2007

Il gioco dell'estate

Ricordo che da bambino, ogni estate, c'era la gara al gioco dell'estate. Ogni anno veniva eletto un gioco rappresentativo del periodo, che avesse qualche relazione con la vita all'aperto, sulle spiagge.

Il gioco dell'estate del signor Paolo Gentiloni, ma anche di molti altri, sembra che sia un videogame, dal titolo Manhunt 2. Solo che anziché giocarlo o raccomandarlo, lo rendono famoso per non volerlo far giocare a nessuno. Non si tratta di un divieto morale, di uno scoraggiamento all'acquisto, ma di un vero e proprio impedimento alla distribuzione, visto che il signor Gentiloni ne parla dalla sua incidentale posizione di Ministro delle Comunicazioni.
Non ci spiega in base a quale ordinamento dello Stato gli sia data la capacità di bloccare la vendita, e questo dovrebbe essere piuttosto preoccupante, anche se ben pochi lo fanno notare.

In fondo è materiale audiovisivo con contenuti di storie dell'orrore, sicuramente paragonabili a quelli di tanti film già in circolazione.
La differenza non è tanto nell'interattività.
In una trasmissione radiofonica ho ascoltato l'intervento della signora Maria Rita Parsi, di professione psicologa e scrittrice, che esprimeva il suo profondo disgusto per il videogioco in questione.
La discussione della signora Parsi era invero assai interessante, soprattutto per la sua analisi di ciò è un contenuto passivo (come un film) o di uno attivo (come il videogioco).
Quel che ho trovato altrettanto interessante erano le sue parole e il metodo espositivo, con cui rimarcava ripetutamente i contenuti di violenza e degrado, non senza una certa ossessività. Lo scopo funzionale era quello di condensare, nel breve spazio radiofonico, un messaggio forte di significato come di parole. Va notato come nessuno (o quasi) se la sentirebbe di accusare una nota psicologa di plagio, quando la pressione che sa abilmente esercitare serve a scongiurare un allarme sociale.

Una domanda che si pongono spesso gli appassionati di videogiochi (e non specificamente di quel genere di videogiochi) è come facciano tutti questi commentatori a dare opinioni così precise.
Lo stesso signor Gentiloni ha precisato che le pubblicità iniziali del gioco non facevano presagire tutti gli eccessi di violenza che poi sono arrivati nella versione finale.
I fanatici del gioco farebbero del tutto per riuscire ad averne un a copia e giocarlo: il signor Gentiloni e la signora Parsi ci sono riusciti?

Come anticipavo sopra, la differenza fra i più violenti film e spettacoli già accettati e questo videogioco, non è nell'interattività.
Non serve giocarlo.

La censura (che ancora non capiamo come potrà essere messa in atto, legalmente, anche per i maggiorenni) rivela vari motivi all'origine del conflitto.
Un motivo è il bisogno dello Stato di dare un senso di protezione al cittadino: si vieta il videogioco affinché non possa raggiungere i minori, le persone che non hanno raggiunto maturità nelle scelte. Scopo nobile, perfettamente condivisibile. Se non fosse che questa presenza protettiva, nel mondo dell'informazione libera e globale, appare sempre più pressante: non si fa difficoltà ad interpretarla come demagogia o manipolazione.

Il risvolto più ripugnante è la confessione della più completa impotenza. Stato e informazione, formatori e psicologi, sono tutti incapaci di dare un'educazione verso la crescita delle capacità critiche. I giovanissimi giocheranno questo videogioco con qualsiasi divieto, anche se fosse posto in vendita come vietato ai minorenni.
Perché non c'è chi li educa alle scelte e alla comprensione, a partire dalle famiglie.
Leggo da un commento a un articolo in rete
Che Imbecilli, Vendo Videogiochi Dal 1998, Non Hanno Mai Vietato Niente Fin'ora, Basta Un Minimo Di Interesse Dai Genitori Che Si Informino Su Cosa Comprano I Loro Figli Invece Di Dargli I Soldi E Via, Solita Cazzata All'italiana, Ho Sempre Detto Ai Genitori Che Comprano Gta Che è Violento, Ma Dicono " Tanto Lo Gioca Dall'amico..."

Ma i genitori, chi ha fallito nell'educarli? Evidentemente gli stessi che ora cercano di metterli in una gabbia, insieme ai figli, per proteggerli da questa immersione in mezzo agli squali.

Gli adulti, i maggiorenni videogiocatori, si rivoltano a queste censure con le più svariate invettive. Loro che hanno il potere di decidere il Governo di un Paese in una tornata elettorale, si riconoscono impotenti di fronte alla scelta della libertà d'informazione.
Come mai viene data più libertà nel reale che nel virtuale?
Forse perché è ormai chiaro che nessuno saprà valersene: la libertà del reale è in realtà irreale.
Una massa che deve scegliere in che direzione andare è un gregge, ha bisogno del cane, del pastore e del padrone. Un singolo che deve e vuole scegliere, senza doversi confrontare con gli altri, fosse soltanto per scegliere un gioco, è imprevedibile.
C'è un gioco che dura più d'una estate, siamo tutti iscritti e nessuno vince.

mercoledì, giugno 20, 2007

Non è congruo ciò che è congruo, ma è congruo quel che piace

La parafrasi mi è venuta rapidamente, vedendo il gran polverone che continua ad agitarsi intorno agli studi di settore, che ho citato pochi giorni fa in un altro articolo.
Questa ripresa è in realtà assai breve, visto che potrete leggerne fino alla noia su qualsiasi quotidiano.
Il concetto è breve, e credo piuttosto chiaro.

Dall'analisi degli studi di settore, e soprattutto delle dichiarazioni non congrue, sono emerse cifre medie molto significative.
Un gioielliere guadagna la metà di una maestra della scuola primaria (a noi di altre generazioni nota come scuola elementare). E se il gioielliere è congruo con gli studi guadagna il doppio, rispetto alla solita insegnante.
Un'agenzia di viaggi non congrua ha un guadagno medio (sempre al lordo delle tasse) di 1700 Euro, all'anno ovviamente. Cioè circa 140 Euro lordi al mese.
E se continuate a leggere cifre e paragoni avrete di che indispettirvi, a dir poco.

Ora, siccome mi reputo una persona semplice, perlomeno sulle faccende finanziarie, mi sono posto una domanda semplice. C'era davvero bisogno di uno studio di settore per far affiorare queste cifre?
Non bastava leggere le dichiarazioni dei redditi?
Senza lo studio di settore, era ragionevole che qualcuno vivesse con un'attività commerciale che rende centoquaranta Euro al mese?

La dimostrazione è sempre la solita.
Le cifre sono quelle che sapevamo già da anni, senza studi particolari, senza grandi eminenze grigie della finanza: chi evade le tasse lo fa in grande, non si espone per poca differenza.
E chi dovrebbe punire certi abusi continua la solita tresca, in un giro di collusione che di nuovo non ci sorprende.

Come mai allora non riusciamo a mettere al Governo del Paese qualcuno che vada verso l'equità, ma al massimo ci arriva qualcuno che impiega anni di studi per dirci che l'evasione fiscale è dilagante?
Se ci fosse un minimo di dignità ci si porrebbe la domanda e si ripeterebbe a chi governa, mentre invece tutto quello che interessa è come riuscire a divenire tutti evasori, quasi che i soldi evasi al fisco li pagasse qualcun altro.

Pagamenti diversi

Sotto questa voce, "pagamenti diversi", mi perveniva quest'oggi una missiva da una delle banche con cui ho la sfortuna di fare affari -- non penso esista banca con cui si possano fare affari fortunati, perlomeno fra noi persone comuni.
Di solito ci irritano le spese spropositate, gli esborsi inaspettati e copiosi, ma nel mio caso la sorpresa, il fastidio, nasceva dal pagare troppo poco.

Aldilà del motivo, della fonte, di questi pagamenti diversi, era infatti l'importo a colpire: 0,65 Euro. Sì, 65 centesimi della moneta europea tristemente nota in terra italica.
Guardo subito l'affrancatura sulla busta: 0,60 Euro.
Se le spese di processo della comunicazione, carta, stampa, trasporto, fossero assommate a 5 centesimi di Euro (e non lo vedo improbabile) la Banca avrebbe speso per la comunicazione esattamente quello di cui è latrice.

In una visione surreale ho immaginato il recapito, ad infinitum, di comunicazioni su pagamenti diversi, dove ciascuno comunica la richiesta di rimborso del precedente plico.

In una visione realista c'è piuttosto da chiedersi altro. Quale sia il limite di stupidità ammesso per il software, come quello che ha fatto spendere alla Banca (e a me) quei soldi per una comunicazione.
D'altronde viene da credere che il software abbia più spesso un limite, rispetto a chi lo sviluppa e lo amministra.