lunedì, ottobre 20, 2008

Appelli firmati

Non passa giorno che qualcuno manchi di chiederci una firma, a testimoniare il nostro impegno. Ripensavo oggi, leggendo l'ennesimo appello di firme, a quale risultato ci portino davvero.
Quante di queste raccolte divengono davvero qualcosa di concreto?
Quando si firma per un referendum popolare, spesso se ne vede un risultato (mentre il risultato finale, quello del referendum, è spesso tutto da decifrare).
Nelle firme di solidarietà vedo però una difficoltà nel concretizzare. Oggi, su un quotidiano on-line, s'invocava la raccolta firme, già partita da dei premi Nobel, per sensibilizzare lo Stato contro le minacce che la camorra ha fatto ad un noto scrittore. Se anche le firme fossero innumerevoli, quale risultato produrrebbero?
Non dovrebbe essere già un dovere prioritario dello Stato, abbattere la criminalità organizzata? Il mio sospetto su questo caso è che se qualcosa di meglio poteva esser fatto, doveva essere già avvenuto. Il mio timore è che qualsiasi movimento popolare finisca per essere fine a se stesso, ovvero che alimenti soltanto il desiderio di esserci, di scegliere. Nei fatti, i risultati verso l'esterno divengono spesso irrisori.

Mi chiedo se questo tipo di coinvolgimento non sia più dannoso che utile. Un po' come certi forum e weblog: la comunicazione libera dona un senso di libertà, anche se finisce per alimentarsi di sé, chiudersi in un circolo vizioso. Tutti che si trovano d'accordo, si riuniscono, firmano proteste, ma chi dovrebbe leggerle le ignora tranquillamente.
La nostra libertà di parola è un calmante concesso da chi gode della libertà di azione?
Non so se firmerei per aver risposta al quesito.

giovedì, luglio 10, 2008

Quel che si sceglie al sole

Se fate una breve ricerca su questo weblog risulta evidente la mia feroce critica all'abuso di alcune parole. La prima, la più quotata, è la parola democrazia.

Un paio di giorni fa si è tenuta una manifestazione a Roma, una protesta assai accesa, contro il comportamento di alcune personalità politiche italiane.
Visto che l'evento ha scatenato molte discussioni, era improbabile che non vi fossero strascichi di discussioni, critiche o polemiche. E' interessante notare che se non ci fossero state iperboli, sarebbe stato classificato tutto come "la solita manifestazione di facinorosi".

Il fatto più interessante, dal mio modesto punto di vista, è che il signor Antonio Di Pietro ha dimostrato esattamente quello che può essere il senso vero della parola democrazia.
Qui è meglio che approfondisca, perché detto così sembra solo una lode, ad un fenomeno gioioso.
In veste di promotore della manifestazione, il Di Pietro ha accettato una serie di relatori abbastanza dissimili fra loro. Questo l'ho visto in diretta da internet, e in parte riletto a posteriori. La televisione, il mezzo di comunicazione di massa, ha volutamente evitato buona parte della discussione. Ha scansato ogni strada diretta verso la massa. Perché passino le manifestazioni sindacali, dove c'è sempre qualcuno che protesta con lunghi discorsi noiosi, ma qui c'era un po' troppa foga, andava ammorbidito.
L'intento della democrazia è quello di dare a tutti lo stesso diritto di decidere del governo di un paese. Proprio tutti, dai serafici non violenti, agli estremisti che auspicano morti e torture. Questo è il senso di sovranità appartenente al popolo. La democrazia non presume bontà negli intenti, toni pacati, atteggiamenti sereni, ma esclusivamente la possibilità di tutti a intervenire nel governo di un paese. E' un concetto in effetti paradossale, perché se non sono tutti d'accordo (ed è la norma), quelli che verranno scontentati sapranno di non poter decidere, ovvio.
E' un concetto fragile, perché se un'influente casta di demagoghi riesce nell'intento, può indurre la scelta di un'oligarchia, più o meno velatamente.
Una delle concezioni più moderne non è quindi quella di democrazia, visto che ha solitamente delle derive chiaramente oligarchiche, ma quelle in cui si riconosce un gruppo di privilegiati, al di sopra del resto della popolazione, magari lasciando a quest'ultima delle scelte, come in certe monarchie costituzionali. Sembra un'affermazione rivoltante, ma è esecrabile solo il risultato, non il riconoscerne l'esistenza.
Provate a chiedere a chiunque, se crede veramente che qualsiasi rappresentante popolare, in uno stato, sia sicuramente integro nella sua funzione.
Se le situazioni sfavorevoli ai più sono una certezza delle oligarchie, altrettanto evidenti sono le possibili fratture dell'ordinamento democratico.

Questo non implica che sia malsano sperare nella democrazia. E' un po' come sperare nel bene universale, nella possibilità di benessere per tutti, senza scontentare alcuno. Qualcosa che ci riempie di gioia, meravigliosamente utopico: se non lo raggiungiamo non c'è ovviamente bisogno di augurare un male universale.

Ora, la manifestazione del Di Pietro ha messo insieme un'accozzaglia di proteste. Alcune più chiare, indirizzate, altre confuse, talune persino incoerenti con l'argomento della manifestazione.
E per completare il senso della democrazia avrebbero dovuto partecipare anche gli avversari. La ricerca della democrazia non può che essere un passaggio per l'anarchia, perché è esattamente lo stesso stato: cosa succede se tutti comandano, ma non tutti hanno la stessa opinione?
La lezione di democrazia reale è questa: un calderone in cui tutti parlano a modo loro, esprimendo il proprio concetto di sovranità, secondo le proprie idee. Che caos.
In realtà quello che è avvenuto nella manifestazione di due giorni or sono è stato pure troppo tranquillo, rispetto a quello che una democrazia deve garantire. In fondo c'era un argomento di base, verso cui tutti tendevano.

Non mi farei mai rappresentare dal signor Beppe Grillo, che come ho citato spesso pecca di qualunquismo, nella sua ricerca di visibilità posta sopra tutto. Ma non posso certo dire che un personaggio eccessivo si muova sempre nel torto: quando ha ragione, gli va dato credito. La statura morale dei politici è un requisito fondamentale: non importa lo schieramento.
Comprendo che essere estromessi dai mezzi di comunicazione sia opprimente per la signora Sabina Guzzanti, e che ha tanti interessanti argomenti seri o divertenti da raccontarci, ma farne un gran misto, per la popolarità in una piazza, è insensato.
La satira repressa ha prodotto due aberrazioni, incapaci di rappresentare l'ironia (per l'amarezza dei temi) e altrettanto incapaci di rappresentare la politica (per l'incoerenza delle trattazioni).

E allora che si fa?
La risposta più stolida viene dal signor Walter Veltroni, che imputa al Di Pietro ogni male del mondo, lanciando anatemi. Lui, il Veltroni, auspicava dialogo, concertazioni, compromessi. Insomma la democrazia della tranquillità, quella in cui tutti cercano la poltrona soffice.
Non ha ancora capito che qui fuori c'è un altro paese, assai peggiore dei dati ISTAT. Oppure preferisce non capirlo. Peggio sarebbe il fingere di non capirlo.
Auspica libertà, senza capire che non è possibile averla per concessione, ma che necessita di una costante conquista. Se credi di dare uguali diritti agli altri, e questi se ne agguantano ogni giorno di nuovi, schiacciando i tuoi, serve un nuovo equilibrio.

Se per pura ipotesi avessimo da un lato dei governanti che spadroneggiano, forti dell'anestesia popolare, e dall'altro lato degli antagonisti che temporeggiano, è evidente che avremmo una sola forza politica, con compiti individuali diversi. Alcuni si occupano del governare, altri si occupano di riempire lo spazio del dissenso, fungendo da semplice imbottitura.
E per fortuna non vorremmo mai scegliere di vivere in una situazione così. O no?

mercoledì, giugno 25, 2008

Vegetali animati

Già qualche giorno fa, su un quotidiano, leggevo uno scritto del signor Umberto Veronesi, riguardo l'alimentazione umana e il consumo di carne. Quest'oggi trovo un secondo articoletto, e visto che già la prima volta mi aveva sollecitato dei commenti ne colgo l'occasione.

C'è anzitutto un tema interessante per la salute umana, e riguarda le patologie connesse a un'alimentazione troppo pesante, rispetto alle nostre reali necessità. Sicuramente il Veronesi è ben preparato sull'argomento, visto che si occupa di scienze mediche da lungo tempo, e sono altrettanto confidente che queste problematiche, spesso citate anche da altri, siano di primaria importanza.

L'articolo, o meglio i due articoli, sono però incentrati su un altro argomento. Tanto che il quotidiano di oggi intitola la sua indagine con la Terra salvata dai vegetariani.
Ora, questa affermazione, per loro primaria, assurge in realtà verso il ridicolo.
Le prime affermazioni del Veronesi non parlano infatti di tesi scientifiche, di ricerche mediche, ma di questioni etiche. Il punto di partenza del Veronesi, come per molti altri sostenitori del vegetarianesimo, è di tipo etico e morale. Chiaro che ogni etica o morale sia poi del tutto soggettiva, ben lontana dal divenire scienza.
Il primo comandamento del vegetariano moderno è "non puoi mangiare un animale, se ami gli animali". La trasposizione inquietante viene dal "non puoi mangiare un essere umano, se ami gli esseri umani", passando per quella che io definisco solitamente etica disneyana, un'etica in cui l'antropomorfizzazione viene spinta verso gli estremi. Mangereste Paperino o Pippo?
Il Veronesi si arrischia per una china assai pericolosa, infervorato dall'avversione per la carne, arrivando perfino a scrivere "Non c'è una differenza biologica fra animali". Se avete mai letto o sentito, anche solo per sbaglio, il termine biodiversità, c'è da rimanere perplessi. Com'è possibile che uno scienziato la neghi?

Ancora più discutibile è il ragionamento economico. A detta del Veronesi, le colture vengono oggi sprecate per alimentare animali, anziché per l'uso diretto umano: con il dirottamento dell'alimentazione verso il vegetarianesimo si auspica la risoluzione della fame nel mondo.
Neppure la fantasiosa etica degli animali antropomorfi riesce a spiegare questa conclusione, neanche gli animali di La Fontaine riuscirebbero a crederci. Davvero questo signore crede che le potenti lobbies finanziarie, dietro alle multinazionali della nutrizione, devolverebbero tutto in beneficienza, con un calo dei consumi di carne?

Vedo sempre pericolosità nei fanatismi, nel caso migliore solo verso i singoli propositori, nel caso peggiore di riflesso su chi ne subisce l'influenza.

Insistendo su un argomento che dovrebbe essere scientifico, il Veronesi ci ribadisce che alimentarsi senza prodotti di origine animale mantiene comunque sani, senza che niente ci venga a mancare. Come coniuga la nostra incapacità biologica di assorbire certe vitamine, minerali o proteine altrettanto rapidamente? Un esempio classico è quello del ferro, che non possiamo metabolizzare tanto velocemente dalle verdure come dalla carne -- sempre che non crediate ai cartoon di Braccio di Ferro.
Dalla mia esperienza, con i conoscenti che seguono alimentazione vegetariana, è ricorrente la carenza vitaminica, la debolezza fisica e quella del sistema immunitario. Evidentemente non ho un campione significativo, oppure non ho alcun interesse a perorare una causa. Costa meno la produzione di un chilo di carne o quella degli integratori alimentari?

Non ho dubbi sulla libertà d'opinione del Veronesi, così come non ne ho sull'alimentazione più sana con minori eccessi, resto invece scettico sulla manipolazione delle informazioni dietro principi settari.

E' facile comprendere quanto la nostra alimentazione sia eccessiva, basta confrontarla con quella dei paesi più poveri. E non si tratta neppure di discriminare troppo sul tipo di alimenti: anche solo un calcolo dei chilogrammi giornalieri di cibo sarebbe sufficiente.
Ma arrivare ad affermare che cambiando le abitudini alimentari si ridurrebbero i gas serra e la fame nel mondo è pura demagogia.
E' una favola che ricalca quelle della lotta al consumismo: il cibo stesso è divenuto un bene di consumo sempre maggiore, ridurne i consumi porterebbe a perdite economiche nelle multinazionali che decidono governi e guerre. Il Veronesi è convinto che non se la prenderebbero, che basti scegliere una cotoletta di soia al posto del vitello. Che sia solo pessimismo, il mio?

mercoledì, maggio 14, 2008

Salute alternativa

Poco vicino all'ingresso principale di un ospedale sono stato colto da un certo fastidio, nel vedere un giardinetto, che appare pertinenza della stessa struttura, con tanto di statuetta votiva.
Probabilmente non era (del tutto) lo scopo originario, forse la sua erezione alludeva al rinfocolare la religiosità (di un ben definito credo) in chi necessita di cure, per sé o per qualche persona cara. Già anche questo, da solo, è una forma di ricatto: non senti anche tu il bisogno di pregare?
Quasi come se i medici fossero solo accessori, e per tutti la soluzione finale fosse quella. Un monumento al cattivo gusto.

Mi ha ricordato quel certo disgusto la notizia che leggevo oggi sui quotidiani (mentre in rete è già più aggiornata), di una giovane deceduta. In breve: malata di diabete, sottoposta a cure d'insulina, i genitori le trovano una "cura alternativa". Una presunta specialista suggerisce loro che il diabete si curi con delle vitamine, sospendendo il farmaco vitale. Facile decorso: degenerazione di tutti gli organi, coma e infine la morte.
Quale genitore si sottrae a una struttura medica seria, per rincorrere una ciarlatana?
Ho già ben in mente il tipo. Spaventato dalla medicina e dalla chimica, con in mente il motto secondo cui "i nostri nonni non vi facevano così tanto ricorso" (senza avere però idea della carente eziologia del passato, così come dei malanni e della vita media di allora). Preoccupato prima delle cure naturali, che dell'efficacia delle cure.
Tutto bene se la malattia è un semplice raffreddore senza complicanze, oppure una contusione. Tutto bene nel senso che il decorso positivo, per certe banalità, è spesso assicurato anche per chi trascura di curarsi. Tutto male quando spinge a credere che una discutibile terapia alternativa abbia curato il sintomo.
Un errore fatale in questo caso.

L'ordine dei medici invita tutti a "stare in guardia e prestare la massima attenzione", contro simili ciarlatani. Ma che siano davvero così nascosti nel loro operato?
Qualche tempo fa mi ero imbattuto in sito abbastanza preoccupante, di un istituto che si prefiggeva di curare con particolari diete e altre tecniche non rivelate, le più svariate malattie. C'era tutto, nome e cognome dei presunti sanitari dell'istituto, così come innumerevoli testimonianze di casi curati felicemente, fra cui molti casi di iper/ipotiroidismo curati abolendo le normali terapie ormonali.
E se volete rabbrividire ancora basta vedere i forum che parlano di salute on-line. Non manca mai un messaggio di chi dichiara di essere guarito da qualche grave patologia con una vitamina, un frutto, un semplice esercizio fisico, o anche con una dose adeguata di acqua fresca. Per non parlare poi delle cure con qualche granello di zucchero (dette altrimenti omeopatia).

Fin qui, chi cercava alternative alla medicina, con una medicina alternativa, può solo scoprire che la salute alternativa è un'alternativa alla salute: resta da considerare bene se ci si può permettere.

venerdì, maggio 09, 2008

V per vendibile

Qualche giorno fa mi è capitato di vedere una trasmissione televisiva, condotta dal signor Enrico Mentana, sul tema delle invettive pubbliche del signor Beppe Grillo.
I partecipanti erano un po' misti, e va detto che l'unico sostenitore sfrenato del Grillo sembrava essere un tale Montanari, qualificatosi come massimo esperto in Italia delle nanopatologie. Potete anche leggere sul suo weblog come ha interpretato il proprio intervento, e le ostilità degli altri presenti, ma se avete assistito alla trasmissione con un minimo di senso critico, non potrete che rimanere allibiti.

La prima cosa che mi lascia infastidito, in una qualsiasi forma d'intervista, sono coloro che rispondono fuori tema. Chiedete a Montanari cosa pensa dei residui dell'incenerimento, e lui vi risponderà che i risultati sono visibili dalle guerre in Iraq e Afghanistan, così come dal crollo delle torri gemelle di New York. Già a questa frase mi è apparso evidente che avevo di fronte un fanatico, che può essere maldestramente inteso per cretino, ma che purtroppo non lo è.
La differenza forse ci è più lampante quando qualche fanatico lancia una bomba, oppure diviene un omicida seriale, perché i fatti sono più forti.

Quando poi ha avallato le paradossali ipotesi di Grillo, secondo cui bruciando una tonnellata di rifiuti si producono due tonnellate di nanoparticolato, ha raggiunto mete invidiabili da qualsiasi alchimista medievale: la generazione della materia a partire dal nulla.
Curiosamente nel suo weblog inverte quanto affermato, cercando di accusare il signor Giugliano, che intervenendo con competenze da chimico cercava (invano) di dare un senso alla discussione.
E' interessante notare poi che in certi weblog, come quello del Montanari o del Grillo, la frequentazione dei commentatori è quasi esclusivamente di parte, dove ogni commento serve a darsi grandi pacche sulle spalle.

Tutte le colpe sul Montanari? Certamente no, infatti come dicevo la trasmissione era fortemente partigiana dal lato avverso, con personaggi come il signor Maurizio Gasparri, che riusciva facilmente a far scadere le discussioni con commenti inappropriati. L'unico a tenere toni equilibrati, senza esaltazioni o servilismi, era il signor Antonio Di Pietro.

Quello che provoca indignazione è l'arroganza con cui il Montanari sostiene ipotesi inconsistenti, finché si trova in assenza di contraddittorio, mentre di fronte ai fatti rimane del tutto inebetito. E' piuttosto aberrante che questo suo comportamento passi del tutto inosservato da parte dei suoi sostenitori.
Come può continuare a sostenere (sul suo weblog, di persona non poteva) che i termovalorizzatori non hanno un bilancio energetico positivo, quando l'esempio che gli veniva proposto era quello di un impianto che produce energia per decine di migliaia di famiglie?
Basta consultare i bilanci pubblici di certi impianti, chiedere alle famiglie che ne ottengono diretto beneficio, sembra una cosa semplice, per chi ama il ragionare sensato.

La sensazione che più mi pervade, di fronte a questi fanatismi, è che siano la matrice di una Scientology nostrana. E' evidente che di fronte a qualsiasi fatto, se si contrappone il crederlo falso per principio religioso, tutto diventa discutibile. Diventa credibile anche il paradosso della creazione della materia dal nulla.

Il Di Pietro sottolineava un punto interessante, sui guadagni del signor Grillo: se questi dichiara 4 milioni e 200 mila Euro al fisco, e ci paga le tasse (com'è giusto che sia), dov'è il problema?
E' senz'altro meglio interrogarsi su chi appare evidentemente ricco e dichiara cifre irrisorie.
I quattro milioni possono essere discutibili sotto il profilo morale: in fondo li raccoglie con una serie d'iniziative dichiarate a scopo benefico per la comunità, eppure la comunità riceve indietro solo una piccola parte dei proventi. Se molto rimane nelle tasche del Grillo, dovrebbe essere preoccupazione di chi lo finanzia (se non c'è alcuna truffa, come vogliamo sperare).
Le giornate del V-day non sembrano poi tanto di vendetta, vittoria, o altre finzioni letterarie amate da Grillo, quanto piuttosto della vendibilità: il primo prodotto in vendita è sicuramente l'immagine di questo signore. Con una buona dose di umorismo (in cui è sempre stato bravissimo), riesce a lanciare accuse ed epiteti ad ampio spettro.
Se poi qualcuno va a fargli le pulci, com'è successo qualche sera fa, si scopre che la denuncia di ben centotredici basi militari americane in Italia è piuttosto sovrastimata. Sembra che ne esistano solo sette, mentre il documento citato da Grillo era uno dei tanti fasulli in rete. Ma come dice lui, in rete c'è la verità.
Anche quella sulla sua denuncia dei redditi, ma quella non vuole che ci stia, è scomoda. Per quale motivo? Che male c'è nell'ammettere i suoi guadagni tranquillamente?

Il signor Eugenio Scalfari, di cui condivido una percentuale irrisoria di opinioni, ha smontato a suo modo le opinioni di Grillo. In tutta risposta Grillo ha fatto un articoletto tutto per Scalfari, spiegandoci che si tratta di una persona infida e malvagia. E' da notare che non controbatte alle parole di Scalfari, ma smonta il personaggio. In un mondo dove tutto è nell'apparire, ha studiato bene la subdola arma della distruzione dell'immagine.
Credo che nel mondo dell'intelligenza e della cultura sia piuttosto triste, vedere chi ricorre a distruggere l'immagine pubblica dei propri avversari, anziché avere fatti propri da esporre.

martedì, aprile 29, 2008

Quattro virgola quarantuno

Tale era la somma, in Euro, derivante dall'estinzione di un mio conto corrente.
Visto l'importo così esiguo, ero stato invitato a ritirarlo di persona dalla filiale di Cariprato, presso cui avevo il conto. Trattandosi di un'agenzia lontana dalla mia attuale residenza (uno dei buoni motivi per chiudere il conto), avevo progressivamente ridotto il credito, proponendomi di passare a ritirare le spettanze con comodo. Non valeva certo la pena fare chilometri e chilometri, specificamente per pochi spiccioli.
Dato che stamani ero in zona, ho pensato bene di riscuotere il mio credito, pensando che fosse un'inezia: quanto tempo avrei mai potuto impiegare?
Esattamente mezz'ora, questo è il tempo che ho impiegato. Perché l'importo non sembrava poi così rilevante: non me lo pagavano in contanti.
Il primo consulente ha dovuto cercare la pratica, e constatare che era stata liquidata con un assegno circolare. Quattro virgola quarantuno Euro, non trasferibile. "Ha un documento d'identità? Sa, devo farne una copia". Ovviamente ce l'avevo. Dopo la copia e la firma avevo il mio assegno, ovviamente da incassare.
Decido così d'incassarlo direttamente lì, anziché in un'altra banca. Paziento così in una lunga coda di persone, davanti ai due sportelli aperti, sui quattro disponibili.
Finalmente arriva il mio turno, così presento gioioso il foglietto colorato che mi verrà convertito in moneta sonante (letteralmente, visto l'importo). "Ha un documento d'identità?". Ovviamente, è quello di venti minuti prima. Quattro Euro e quarantuno centesimi, penso: ma quanto costa alla banca tutta questa operazione?
"Ah mi dispiace... non mi accetta l'operazione, dobbiamo aspettare, non c'è altro da fare"
Provo a ironizzare sull'importo, che magari ostacola l'incasso. L'impiegata chiama al telefono qualcun altro, chiede se ci sono problemi a incassare tale importo. Mi pento di aver anche solo pensato che fosse ironico.
Dopo alcuni minuti di tentate telefonate (l'assistenza tecnica della banca non risponde) e di passeggiate dell'addetta allo sportello, magicamente la situazione si risolve. Ricevo due monete da due Euro, due monete da venti centesimi, una moneta da un centesimo. Felice di tanta abbondanza non mi resta che andare.
Non posso evitare di pensare che se i 4,41 Euro fossero stati il resto dell'edicolante, o del supermercato, li avrei avuti in tempi più rapidi, senza dover attestare un paio di volte la mia identità.

Quanto costa mezz'ora del vostro lavoro? Mezz'ora del mio costa ben più di cinque Euro.
Mezz'ora del mio tempo libero, delle mie pause in cui scrivo un articolo di weblog, ha un costo esorbitante, tanto che nessuno può comprarsela.

martedì, aprile 15, 2008

Difficoltà espressive

In ogni attività umana, più o meno consciamente, esercitiamo delle scelte politiche, quando il nostro pensiero o la nostra azione interessano la vita pubblica. E' in fondo una definizione scarna, da dizionario, eppure inevitabile.

I miei ripetuti interventi sul significato di democrazia, sembrano invece a tratti dissonanti con il senso della politica. Sarebbe come chiedersi "ma se la democrazia è solo illusoria, quale significato hanno le scelte politiche in un paese che si dichiari tale?".

Giocando con l'universale linguaggio della matematica, ho fatto qualche somma, con alcuni dei voti risultanti dalla recentissima elezione politica.
Se sommiamo le preferenze di voto, andate a partiti che non verranno rappresentati alla Camera, otteniamo oltre tre milioni e mezzo di schede, mentre per il Senato sono oltre due milioni e novecentomila. Essendo ottimisti, prendiamo il risultato migliore, ovvero i poco meno di tre milioni finiti nel vuoto. Sul totale delle preferenze valide sono circa il 9% delle scelte.

E' sicuramente l'ennesima dimostrazione dell'impossibilità del concetto di democrazia, quando viene trasposto nella pratica. E non lo lamento perché io fossi rappresentato in qualche modo in quel nove percento. E' lecito però il dubbio che tutti noi, pur se rappresentati in un Parlamento, o in un Governo, si finisca per appartenere al gruppo di chi non ha alcuna rappresentanza reale.
Sarebbe del resto inattuabile, che una rappresentanza politica fosse del tutto uniforme con chi la rappresenta. A meno di essere tutti cloni perfetti, l'individualità ci differenzia, e cerchiamo di aggregarci con un best match, il migliore raggruppamento. Secondo idee politiche, ma anche secondo stili di vita, svaghi preferiti, interessi sportivi, e così via.

Va da sé che quel nove percento non ha avuto alcun peso sulla più importante scelta in un paese, quella riguardo al suo governo. Se quei tre milioni fossero spariti, in un sol giorno, sarebbero almeno cambiate le percentuali assegnate a chi ha avuto maggiori preferenze. Eppure è ancora più inquietante il ruolo di continuare ad esistere, per un diritto di scelta che non ha diritto di rappresentanza (pur con i limiti dell'individualità detti prima).
E c'è un senso logico che diamo a questo fenomeno, quello della stabilità di governo. Si parla di rendere meno frastagliato l'orizzonte politico, rendere dei blocchi più netti, perché il Governo sia uniforme.
E' molto interessante il percorso seguito, verso la cosiddetta stabilità. Si parte dall'individualità: a nessuno viene negata, tutti (i maggiorenni) possono esprimere un parere. Poi si suddividono dei macro gruppi (chiamiamoli partiti politici). Qui si opera una selezione, da chi ha la massima preferenza a scendere, smussando con un taglio netto chi non raggiunge una quota interessante.

Certo, mi si può fare osservare che tutto questo dipende dalle leggi elettorali, ma per arrivare alla fine della mia analisi è del tutto indifferente. L'obbiettivo finale, infatti, è sempre quello di creare un gruppo oligarchico, uno solo. Ben definito. Quando questo avviene, e nel processo è stata coinvolta la popolazione, lo definiamo democrazia. C'è un evidente paradosso, se non altro a livello linguistico.

Mi viene facile sollevare un paio di domande. La prima è sulla qualità della vita: la popolazione di un paese, si sente veramente rappresentata, ben governata, sapendo che l'obbiettivo è quello di avere stabilità dall'uniformità di pensiero?
Premessa l'individualità, come ricchezza sociale, è un po' anomalo vedersi felici nell'omologazione. Sicuramente meno oppressi dalla difficoltà nelle scelte individuali (che vengono assolte dal gruppo, secondo uno standard), ma altrettanto meno liberi, nelle stesse scelte.

La seconda domanda che mi pongo è sulla possibilità di scegliere la propria vita: chi non ama l'uniformità più o meno forzata, la classificazione e massificazione, può in qualche modo decidere un cambiamento?
Facciamo un'ipotesi, un po' astrusa, ma con qualche esempio pratico. Supponiamo di accettare un'approssimazione di democrazia su un livello più fine. Una sorta di riunione condominiale: tutti che decidono insieme, anche se si detestano, avendo di volta in volta qualche vittoria e qualche sconfitta. Se il condominio in questione fosse un Parlamento (dove le liti sono già adesso come quelle condominiali), e finanche un Governo, potrebbe esserci maggiore rappresentanza per tutti. E mettiamoci pure la proposta fatta da molti: che non si vedano sempre le stesse facce, che sia garantito un ricambio.
Insomma, fatta un'ipotesi di cambiamenti radicali, se davvero fosse desiderata, potrebbe mai essere cambiato tutto nel profondo? I rappresentanti che abbiamo eletto, farebbero un'azione di sacrificio nel più grande interesse popolare?
Se a questo punto vi viene da sorridere avete centrato il sarcasmo.

Nella mia umile opinione, qualsiasi visione sociale dovrà comunque scontrarsi con la difficoltà nel darne espressione. Come in un gioco di prestigio, vedo quel nove percento come apparso dalla bacchetta dell'illusionista: prima del trucco, nella realtà, era un quasi cento per cento.

lunedì, aprile 07, 2008

Alternative all'energia

Le problematiche ambientali stanno stimolando sempre di più i dibattiti sui metodi di produzione dell'energia, soprattutto quella elettrica.
Avevo già scritto di recente qualcosa sulla produzione elettrica, per citare alcune evidenti incongruenze. Un programma televisivo, a cui ho assistito casualmente lo scorso sabato, mi ha riportato a riflettere su altre palesi stonature, che spesso osservo.

L'energia da fonti rinnovabili è sicuramente interessante, per come si propone, ovvero per inesauribile nella scala dei tempi umani.
Il dettaglio che spesso appare trascurato, evitato, ignorato, è la chiave per il vero utilizzo di queste energie: come le convertiamo in qualcosa di utilizzabile per gli scopi umani?
L'illuminazione solare ci fornisce una buona fetta di energia, ma visto che non ce ne serviamo (come umani) per la fotosintesi, come si converte in un'altra forma?
Ormai hanno un po' tutti chiaro che esiste una qualche forma di pannelli solari, mentre è molto meno chiaro da dove vengano e cosa ci portino. Già sul secondo punto, la differenza sui pannelli solari termici e quelli fotovoltaici va spesso chiarita.
La forma di energia più versatile che sappiamo sfruttare è senza dubbio quella elettrica: la riconvertiamo in luce, caldo, freddo, moto, per non parlare delle applicazioni informatiche e di controllo, anche per altre forme di energia.

E' bello avere energia elettrica dalla luce solare? E' senz'altro stupendo, ma cosa ci costa?
Perché parlare di produzione a costo zero è assai grossolano.
Il pannello solare ha un costo, non indifferente, in termini economici ed energetici. Sì, perché produrre un pannello solare fotovoltaico costa anche energia. Il processo industriale, in cui si parte da un materiale che può essere a basso costo, come la sabbia silicea, è piuttosto complesso e dispendioso. Ci sono trasformazioni chimiche e fisiche, operazioni di precisione e controlli particolari. Evidentemente non ha un costo zero.

Qualcuno può obbiettare che in fondo conta il rispetto ambientale, per cui la produzione di energia elettrica dal sole è qualcosa di ottimale.
Vero. Se sei una pianta o un arbusto. Assai meno se sei un pannello solare.
A parte l'industria che lo produce (e che immette nell'ambiente quelle sostanze che si vogliono evitare, con un curioso mordersi la coda), ci sono altri due fattori: la vita utile e la manutenzione.
La vita utile del pannello solare non è infinita, in una ventina d'anni ha magari ridotto il suo rendimento (già basso in origine) a valori troppo bassi per essere utile.
Le stime ascoltate in televisione, e da chi ne parla come grande opportunità, dicono che in Italia ci vogliano una decina d'anni per ammortizzare il costo d'installazione. Ovviamente con tanto di incentivi statali: pagandoli interamente di tasca propria chissà quanto ci vuole. Rimangono quindi una decina d'anni in cui godersi l'energia "gratuita", la metà del ciclo vitale del pannello.
E quale può essere mai la manutenzione a cui mi riferivo?
Il pannello in sé non ne necessita, ma il pannello non è l'intero sistema. L'impianto completo necessita anche di batterie, che accumulino l'energia per sfruttare il suo livello medio (anziché avere corrente elettrica solo se c'è il sole splendente, e mai di notte o quando rannuvola).
Le batterie ad alta energia e ottima resa per questi usi sono tipicamente del tipo al piombo/elettrolita. La loro vita utile è di qualche anno, dopodiché non dovranno essere solo sostituite, ma anche smaltite e riciclate correttamente, vista l'elevata tossicità ambientale del piombo. Quanto costa in termini ambientali ed economici?

Tutto questo non significa certo che l'energia solare sia da scartare. Va sicuramente promossa, ma con il primo obbiettivo verso un suo sfruttamento migliore.
Sotto il sole che ride, come il simbolo di alcuni noti movimenti politici, ci sono nuvoloni piuttosto neri.

mercoledì, marzo 12, 2008

Dati numerici

La matematica non è un'opinione: con questa frase fatta tendiamo solitamente a credere ai numeri, ma non sempre.
Questa mia raccolta di opinioni personali, di citazioni e disamine, spesso parla di numeri, ma altrettanto spesso racconta di come la razionalità (anche numerica) sia in netto contrasto con l'emozionalità.

Qualche giorno fa mi sono imbattuto, navigando su internet, in un filmato, ripreso da un recente spettacolo (comizio, all'armi, quel che volete) del signor Beppe Grillo. Ora, chi già ha letto i miei precedenti articoli su questo signore, potrebbe aver già capito un punto fondamentale delle mie opinioni: parte spesso da ottime cause, ma impiega metodi rozzi, piuttosto dubbi, finanche demagogici.

Il punto era sulle centrali nucleari, o per essere precisi sulle centrali termonucleari per la produzione di energia elettrica.
La mia idea sull'argomento è sintetizzabile in poche frasi. Molti anni fa, votai per lo smantellamento delle centrali ad energia nucleare in Italia: una posizione che ancora oggi trovo corretta, per quei tempi. Nei tempi moderni, attuali, convengo che potrebbero fornire un valido aiuto alle necessità energetiche. Provvisto che si attui una corretta gestione del loro ciclo vitale, delle loro scorie. Certo sarebbe meglio se avesse successo un progetto come quello di ITER, per una futura generazione di reattori nucleari a fusione (nessuna scoria, nessuna fonte d'inquinamento, sicurezza nel funzionamento). Energia nucleare da fissione (la tecnica attuale) in Italia? Su questo nutro ancora forti dubbi, ma non riserve assolute come vent'anni fa. Cosa mi preoccupa? Le cose fatte all'italiana, approssimative. Mi preoccupano molto di più degli inconvenienti noti (scorie, sicurezza), perché vedo come si affrontano certe cose in Italia, ogni giorno: con molta leggerezza.

Il signore suddetto, nel suo intervento (nelle brevi frasi che ne ho ascoltato), si limitava a condannare l'uso dell'energia nucleare, senza troppe parole (come ho fatto sopra). Però citava un numero, a sostegno della sua tesi sulla inutilità delle centrali elettriche ad energia nucleare. Il numero della bestia era l'incidenza di queste sulla produzione elettrica mondiale: a sua detta solo il 5% del totale, praticamente inefficaci.
Pur non avendo dati a portata di mano, ho commentato con chi mi stava vicino, che mi sembrava una cifra un po' bassa, per non parlare poi di una stima ristretta alle nazioni industrializzate.
Ho ripreso così un documento già citato in passato, con i dati dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (che dovrebbe saperne qualcosa).
I dati ufficiali, a marzo 2007:
STATUS - Some 443 nuclear power plants (370 GW) are
in operation world wide providing 16% of global
electricity supply (25% in OECD countries).
Ovvero, il 16% dell'energia globale, e se si contano i soli paesi OCSE si tratta del 25% della fornitura elettrica.
Insomma, nella migliore delle ipotesi quel signore ha sbagliato del 320%, se vogliamo parlare di dati numerici. Sempre che crediate negli incidenti e nelle distrazioni: che in matematica non sono ammesse.

giovedì, febbraio 28, 2008

Proprietari del futuro

Leggendo il solito quotidiano in forma cartacea, nella rubrica dedicata alle lettere dei lettori, mi è saltato all'occhio un piccolo articolo.
Uno studente di liceo citava come il microcosmo giovanile, a partire dalla sua stessa scuola, sia così diverso da quello raccontato nei giornali e nei notiziari. Come siano più indistinte e nebulose le posizioni politiche dei giovani, che avocano posizioni con nomi di ideologie che ormai non conoscono più, come quelle comuniste o fasciste.
Ho trovato interessante la sua conclusione ad effetto, in cui si mette nettamente dal lato di chi è giovane oggi, rammentando che mentre il presente è di qualcun altro, il futuro non lo sarà: "oggi il presente è vostro, domani no".

A livello logico non fa una piega, considerando il domani come un futuro generico. E' ovvio che chi controlla oggi politica, informazione, economia, non lo farà nello stesso modo fra venti, cinquanta o cento anni.
Da un certo punto di vista è un sollievo saperlo, perché significa ricambio generazionale. Se da un lato la maggior parte di noi è terrorizzata all'idea di morire, dall'altro dovrebbe essere felice che ciò accada, perché la vita è cambiamento. Dopo la nostra vita ce ne saranno altre, così com'è già stato in passato. Riguardando la storia ad oggi si può anche dire che il ciclo di vita e morte, di miliardi di individui, ha portato un miglioramento per le generazioni successive.
Miglioramenti nello stile e nella qualità di vita, che certo non sono valsi in modo universale, che non hanno neppure migliorato in modo sicuro il pianeta (vedi gli eventi climatici). Quel che è certo è che per ogni epoca, se questa fosse rimasta inalterata, senza nuove nascite e morti, sarebbe stato disastroso.

Quello che il giovane studioso della cultura non ci dice esplicitamente è insito nell'osservazione stessa che ci pone.
Se oggi c'è qualcuno che dice proprio il presente, domani chi lo farà?
Il modo in cui pone la frase è anche sintomo della sua incertezza, del timore di vedere il futuro: infatti non scrive "oggi il presente è vostro, domani sarà nostro". Forse preoccupato di risultare arrogante, presuntuoso, finanche inopportuno.
In verità, sotto la mia lente, vedo solo il completamento del messaggio. Ci dice: abbiamo un senso civico diverso, non ci comprendete, saremo presenti nel futuro, ma non sappiamo come.
E in questo ha pienamente ragione.

La diseducazione culturale, iniziata già molti anni fa, sta progredendo a grandi passi.
Nel momento in cui dovesse superare il progresso culturale, sociale ed emotivo, della gente, ci sarà un evidente ritorno indietro. E' mia opinione che questo sia fra i possibili obbiettivi dei poteri politici e mediatici forti.
Cito ad esempio il livello raggiunto dalla comunicazione televisiva.
A me capita sempre più raramente di vedere qualcosa in televisione, se non per qualche fantasioso racconto di finzione o per dei notiziari. In entrambi i casi si tratta perlopiù di visioni inframmezzate da pubblicità, o dalla mia distrazione nel fare altro.
Poi ho avuto occasione di vedere di sfuggita, o anche solo di ascoltare, certi programmi seguiti da altri, molti comuni reality show. Eppure una rapida visione, un fugace ascolto di poche frasi, mi ha permesso di farmene un'idea: anche perché sono ripetizioni costanti di nuovi e vecchi stereotipi.
Il primo punto è certamente sulla parola reality, indubbiamente falsa, visto che certi spettacoli sono costruiti a tavolino. Al minimo vengono selezionati dei protagonisti con caratteristiche già ben precise: la ragazza seducente e licenziosa, il ragazzo un po' arrogante e piacente, e così via.
Il secondo punto è creare ambienti eterogenei, in cui far crescere nervosismi e litigi, ambizioni e invidie. I sentimenti negativi sono quelli più facilmente trasmissibili: tutti abbiamo un lato più attento alla negatività, probabilmente donatoci dalla nostra natura come difesa.
Lo scopo finale è l'attenzione: in una carambola dall'apparenza perpetua, si creano legami e alterchi, la cui alternanza mantiene vivo l'interesse dello spettatore.
Perché è importante tenere impegnata l'attenzione di chi assiste. Nasce tutto come svago, come proposta di divertimento, in cui si assiste alla vita di qualcun altro, ma da cui si finisce per essere dipendenti. Il desiderio compulsivo di conoscere cosa succederà nella prossima puntata diventa lo scopo di ogni visione.
E se questo era già possibile con un semplice romanzo a puntate, per raggiungere lo scopo è necessario dare di più allo spettatore. Le puntate non sono più una decina, ma migliaia, come in tutte le soap opera. Oppure si gioca sulla presenza costante, senza interruzione, come in quegli spettacoli che portano i protagonisti su un'isola tropicale, o chiusi in un ambiente ristretto, fino alle presunte scuole di spettacolo.
Qualunque sia lo scenario rimangono vivi i due punti detti sopra: simulazione di realtà, imbastitura di relazioni interpersonali alterne.

Perché tanto daffare per l'attenzione?
Perché siamo curiosi, abbiamo bisogno di mantenere attive le nostre percezioni, di pensare, d'inventare, di elaborare fantasie. Anche le persone dal livello intellettivo più basso sentono questa necessità tipicamente umana, se il tempo ce lo permette, ci è necessario. Se non abbiamo tempo ne soffriamo la mancanza. E se le capacità non sono sufficienti al costruttivismo, è un buon impegno anche osservare gli altri.
In una società così complessa come quella in cui viviamo, diventa sempre più probabile guardarsi intorno, come parte del nostro impegno. E che succede se guardandoci intorno ci fermiamo troppo a considerare i disagi sociali, economici, politici?
Statisticamente potrebbero essere sempre di più, coloro che mettono l'impegno in progetti sociali, economici e politici. A quel punto, i proprietari del presente più ampio, rischierebbero di perderne una fetta. Un esempio? Chi possiede del mio presente i ricavi economici, come una grande azienda (o meglio come gli oligarchi dell'economia) potrebbe accusare una perdita di potere.
Meglio allora inventare svaghi, giochi televisivi. Giochi dissuasivi. Se il soggetto è più complesso di un criceto, anche la ruota per criceti si può costruire più complessa.

Dove sono i proprietari del prossimo futuro, se già da oggi fanno ancora girare la ruota, senza capire che è solo l'invenzione di migliaia di anni fa, riadattata alle tracotanze dei padroni del presente?

mercoledì, febbraio 27, 2008

Informateci, informatici

Parlare della scienza dei calcolatori fa pensare a qualcosa di puramente tecnico, mentre nel quotidiano si tratta sempre più di sconfinamenti in ogni settore.
Il settore economico è inevitabile, visto che buona parte dello sviluppo informatico è ancora oggi una risorsa finanziaria. Credo che la visione del software come qualcosa di sempre libero, in qualsiasi settore, rimanga applicabile solo in contesti ben circoscritti.
L'esempio va in fondo visto al contrario: partiamo da qualcosa di apparentemente libero, gratuito, come uno sport o un hobby. Quando questo diventa di larga e importante diffusione finisce sempre per essere permeato da interessi economici. Figurarsi se sia poi possibile invertire il processo, de-finanziando un processo economico (come lo sviluppo del software) rendendolo solo ed esclusivamente gratuito.
Il denaro è in fondo parte di un fenomeno osmotico, che tende a vederlo diffuso in modo più o meno uniforme nelle attività umane. Purtroppo non segue la diffusione uniforme la quantità di denaro, ma questa è un'altra storia.
***
Scrivevo le parole sopra ieri, leggendo della (nuova) multa comminata a Microsoft, dalla commissione antitrust europea. Ben 899 milioni di Euro, per aver continuato ad ignorare la precedente sentenza, secondo cui avevano sborsato 497 milioni di Euro.
I motivi sono semplici, triti e ritriti. L'abuso di posizione dominante, ai danni di altri produttori, ma sicuramente ai danni degli utenti.
Ho letto qualche commento in cui i sostenitori della causa Microsoft affermano che in fondo è poca cosa, rispetto ai guadagni annuali dell'azienda, e che sicuramente caricherà i costi legali e le multe sugli utenti finali. Se è veramente così, allora non è certo motivo di rassegnazione, quanto di maggiore indignazione: chi può fermare un egemone americano? La legislazione europea, perlomeno, che speriamo rinnovi ancora le multe aumentandole di un ordine di grandezza: magari in quel modo saranno valutate più attentamente.
Ma ne riparlerò in seguito.

giovedì, febbraio 21, 2008

Traslochi differenziati

Fare un trasloco non inizia col primo mobile di casa a cui si cambia collocazione, e non termina con l'ultimo. C'è anche tutta una serie di attività collegate, come quelle burocratiche, giù fino all'aggiornare il servizio di igiene urbana, ovvero lo smaltimento rifiuti.

Nella municipalità adiacente a quella in cui ci siamo trasferiti è in funzione da molti anni un termovalorizzatore. Se vogliamo essere precisi, un contestatissimo termovalorizzatore, così come questi lo sono un po' ovunque, di recente.
I più accaniti contestatori sembrano essere gli abitanti limitrofi all'impianto: viene da pensare che possa essere naturale, per chi s'è trovata d'improvviso questa imponente struttura a un chilometro da casa. Certo, se si volesse essere un po' più precisi, bisognerebbe rammentare che le case le hanno costruite almeno una decina d'anni dopo che l'impianto era a pieno regime, magari lucrando sul terreno a basso costo. Sottigliezze.
La richiesta dei comitati negazionisti è la raccolta porta a porta, senza però specificare dove portare infine quel che si raccoglie: semplicemente non qui. Portano nomi utopici, se non parossistici, del tipo "comitato rifiuti zero". Evidentemente non hanno ben chiaro che ogni individuo produce rifiuti, scorie, materiale di scarto, fin anche al suo estremo interramento (o falò).

La zona precisa del mio trasferimento, per qualche ragione urbanistica, è la prima del circondario ad avere un sistema di raccolta più differenziato della media.
Anziché avere la differenziazione minima (carta, vetro, plastica, generico) abbiamo infatti anche un contenitore per i rifiuti organici, che immagino siano sfruttati come biomassa.
Tutto questo regolato da una chiave elettronica (chiamatela smart tag, RFID, o come volete). Che però funziona solo per gettare la parte organica e quella indifferenziata: carta e vetro/plastica sono d'uso libero.
La meraviglia della chiave elettronica è che promette anche tariffe personalizzate, pesando la quantità di rifiuti scaricati. Più o meno.

La gentile signorina del consorzio di gestione mi lascia tutti i depliant illustrativi. Perfino un pacco da una cinquantina di sacchetti di carta, in cui inserire i rifiuti organici e uno stand su cui tenerli in piedi. Dopo la breve spiegazione, la interrompo per un altro motivo: ho già visto l'impianto, ho visto come si usa, e ho un'annotazione da fare.
"La bocca d'entrata del contenitore per la carta è piccola, come dovrei fare per gettare una scatola di cartone, farla a striscioline?"
Mi spiega che è solo per la carta pulita: riviste, quotidiani. Non solo non comprendo quanto possa essere più sporca una scatola di cartone generica, ma non sa dirmi dove dovrei buttarla. Non hanno previsto un contenitore per nessun tipo di rifiuto più grande di una quarantina di centimetri.

Questa mattina, carico sull'auto le scatole vuote dei miei mobili economici, e faccio il giro dell'isolato, giusto cinquecento metri. Scarico il cartone in un cassonetto qualsiasi per la carta, dove non esistono chiavi elettroniche intelligenti, ma con modesta stupidità si riescono ancora a riciclare dei rifiuti.

mercoledì, gennaio 16, 2008

Potere, dovere e volere dell'essere incongrui

Con la complicità di un lungo viaggio in automobile, ieri mi sono ritrovato ad ascoltare molti programmi radiofonici. Dal nord Italia e sud del Tirolo, dove risuonavano le voci in tedesco e le orchestrine austriache, fin dove cominciavano le polemiche sull'ennesima polemica tutta italiana.
Se ancora non siete vittime del tormentone della settimana, oppure rileggete queste parole a distanza di tempo, il motivo di tanto dibattere era la mancata presenza del signor Joseph Alois Ratzinger all'apertura dell'anno accademico dell'università di Roma, "La Sapienza".

In realtà non c'era un gran dibattere sull'argomento. I toni erano di sdegno e meraviglia, con punte d'ipocrisia raramente toccate, da così tante persone, di così tanti pareri politici.
Per non parlare di chi faceva pesare la supposizione di una grande perdita d'immagine della nazione italiana, di fronte a chi vedeva la notizia dall'estero. In realtà le prime pagine dei grandi giornali stranieri vi hanno dedicato dei trafiletti minimi, di pura formalità.
Ma andiamo per ordine.

Uno sparuto gruppetto d'insegnanti dell'università suddetta, dopo che il rettore e il senato accademico avevano concordato d'invitare a parlare l'anzidetto Ratzinger, ha scritto una lettera di protesta. Nella protesta si chiedeva appunto di annullare l'evento, citando una frase del succitato signore, poco consona al contesto scientifico.
Se si ricorda bene, perfino un esimio scienziato qualche tempo fa fu allontanato dai convegni scientifici, dopo affermazioni che di scientifico avevano ben poco -- un promemoria: lo scopritore del DNA, che a quarant'anni di distanza è intervenuto con argomentazioni di discriminazione razziale. Dovrebbe suonare come un avvertimento: se intervieni in un confronto scientifico è naturale che ti si richieda di portare una visione scientifica, anche opinabile, ma scientifica.
Figurarsi lo scompiglio di chi vede nell'elenco dei relatori di un presentazione scientifica un personaggio che dichiara "il processo a Galileo fu ragionevole e giusto". Suona un po' come l'intervento di Jack lo squartatore in un convegno sulle vittime di stupri: con sufficiente pelo sullo stomaco si può considerare libertà di parola.

In fondo però non è stata la lettera di protesta ad aver scatenato l'ira funesta dei nostri. Fra alcuni commenti mi sono trovato d'accordo sul fatto che il predecessore di Ratzinger, in senso politico, dirigenziale (e per ultimo anche religioso) si sarebbe comportato diversamente: avrebbe sicuramente affrontato la critica.
In questo, il Ratzinger si è dimostrato molto più avanti, tanto avanti da essere paradossalmente anche piuttosto arretrato. In un periodo di recessione, di perdita di credibilità nel suo istituto e nella sua confessione, ha optato per una scelta tatticamente degna di Sun Tzu. Ha sfoderato la faccia più compassionevole che (compatibilmente) poteva mostrare, ed ha detto, con una parafrasi: ecco, vedete come sono maltrattato, neppure la libertà di parola ci rimane, siamo vessati e vittime.
C'è da dire che è risultato bravissimo, tanto che nessuno, nelle stanze di potere e rappresentanza, si è sentito di contrariarlo.

I firmatari della richiesta di coerenza, della ricerca di scientificità, sono riusciti invece in un clamoroso autogol, con uno sforzo così piccolo che secondo me ne sono ancora increduli.
Insomma, han fatto la figura degli ingenui, con così poche parole. La strumentalizzazione dei mezzi di comunicazione poi ha fatto il resto, come ne sono stato testimone ieri. Persino il canale radiofonico nazionale d'informazione sul traffico. Ha interrotto le programmazioni per declamare le tonanti proteste della Conferenza Episcopale Italiana. Eppure l'unica strada dal percorso difficile era divenuta quella del buonsenso, come al solito.
Si sono sprecati commenti che parlavano di facinorosi, alla stregua di terroristi, pronti con le bombe e le armi d'assalto, come si trattasse di un college americano. Immagini forti e inquietanti, come la grettezza di chi le esponeva.

L'operazione è riuscita, il laicismo è stato dipinto come Satana (questo il commento mattutino di Radio Maria), e finalmente potrà partire la prossima restaurazione.
C'è in fondo qualcuno però che non può, non deve e non vuole vedere un nuovo medioevo.

mercoledì, gennaio 09, 2008

Novità insignificanti

Un paio di settimane fa, mi è capitato di vedere, a casa di amici, lo spettacolo Reset, del signor Beppe Grillo.
Chi mi ha presentato il DVD ci teneva, affinché lo visionassi, perché a suo dire potevo essere scettico sulle affermazioni fatte dal Grillo, mentre l'ampia documentazione fattane ne rivelava la fondatezza.
Ho subito spiegato che non sono così scettico come immaginava l'amico, che non avevo dubbi sulla maggior parte delle affermazioni. Ed infatti, anche dopo aver visto lo show, sono rimasto della stessa opinione, con le solite riserve per qualche dato fornito. Piccole riserve, per una grande informazione.

Essendo passati parecchi giorni non ricordo neppure quali fossero le piccole incongruenze, ma ricordo benissimo la natura delle stesse. In qualche frase, il signore detto sopra, citava affermazioni di politici o tecnici a lui invisi, aggiungendo che non potevano essere altro che falsità, manipolazioni. A seguire, qualche minuto dopo, chiamava in causa i tecnici di parte, che finivano per dire le stesse cose prima negate.
Come dire: se vi dicono che il cielo è azzurro non credetelo vero, ve lo dicono delle persone bugiarde, credete a me, che l'ho visto azzurro perché sono un buono, un puro di cuore.
Se si è un bravo persuasore occulto, come in un esempio che ho fatto qualche tempo fa parlando di spin doctoring, il gioco funziona.

Tutto il resto è show, coreografia, presentazione teatrale che dalla satira s'incrocia con l'attivismo politico. Mentre lui, l'attore unico (se si escludono due o tre comparse), lancia il sasso e nasconde la mano, dice "io non faccio politica, smuovo le coscienze, voi la farete per me". Per lui.
Non ha l'aplomb del signor Al Gore nel documentario An Inconvenient Truth. Usa un linguaggio più ruspante, più adatto ad interessare il pubblico italiano.
E il gioco continua sul suo weblog, dove cita le altrui sconfitte e le proprie vittorie.
Nello spettacolo cita la vittoria sull'abolizione delle ricariche telefoniche della telefonia mobile, con a latere il promotore, che si appresta a definire un suo fan, e che non ha avuto l'interesse della Comunità Europea per una petizione popolare, se non perché lui ha interceduto.
Lui non fa politica, ma siede come una divinità minore, irascibile, al banchetto che divora le risorse del mondo. Ed ha pena per noi poveri esseri terreni.
Riempie la pagina web di bandierine, ogni campagna di sensibilizzazione ha un suo simbolo. Quando queste si risolvono vi appone il marchio di un timbro rosso, "obbiettivo raggiunto". Lui non fa politica, lui raggiunge obbiettivi.
Eppure ha pienamente ragione nel detenere quest'immagine, nel curarla con questo metodo: perché in effetti l'italiano medio non si può attirare in altro modo. Se le cose certe del vivere sono le tasse e la morte, ha ben scoperto che l'unico modo certo dell'essere ascoltati dagli italiani è parlar loro di quanto dovranno sborsare e di come dovranno morire.

Così ci racconta delle vicende Telecom, della finanza argentina, ma anche degli onnipresenti inceneritori di rifiuti.
In questi giorni, su quel weblog, campeggia una tabella che "ricorda" l'aumento di rischio per la salute nelle zone con inceneritori. La tabella viene riportata come proveniente dal sito di ARPA Piemonte, relativamente ad un recente congresso, solo che dal sito non capisco dove sia. Non dico che sia inesistente, solo che non l'ho trovata.
In compenso ho trovato altre presentazioni di quel congresso. In una di queste sono snocciolati tantissimi dati numerici sui termovalorizzatori (la forma più innovativa di inceneritori). La rilevanza è sui dati di sicurezza: comparando gli impianti recenti con zone senza bruciatori di rifiuti, con zone rurali e boscose, si scopre che la quantità d'inquinanti come la diossina, fuori da un inceneritore, è comparabile a quella in un bosco. Perché nei dati forniti da lui non c'era questa informazione?
Perché non ci dice che nelle città europee questi impianti sono spesso nei centri cittadini, senza nessun allarme nella popolazione?
Aumentiamo i rifiuti resi riciclabili: è sicuramente un'ottima cosa. Ma già che ci siamo, chi ci racconta di quella parte di rifiuti non differenziabili che va smaltita? Lui non può farlo, perché cedere anche minimamente al buonsenso, aprire strade diverse, farebbe disperdere la folla di sostenitori che ha incanalato in una via a senso unico.

Non gli sarebbe di sostegno citare che sul suo weblog c'è chi lo contesta, anche con ragioni valide, da porre nella discussione: l'importante è che facciano gruppo, massa. Nello spettacolo è chiaro, limpido, quando dice che la sua pagina web è fra le più consultate al mondo.
Piega i numeri, sotto la fucina della telecamera: più mi leggono, più ho ragione. Non conta ovviamente fra i frequentatori quelli che possano esserne detrattori.
Internet come pianeta libero, alternativo. Mentre ci arringa su Telecom Italia, rea di aver spiato i propri utenti, non ci spiega come si possa arrivare a contare il numero di utenti che leggono il suo weblog. Perché il metodo è lo stesso che per Telecom, il modo per spiare gli accessi web: nel suo caso è una giusta causa.
Allo stesso modo, chi legge qui il mio weblog viene spiato nelle sue preferenze da Google, proprietaria del servizio Blogger.
Dettagli.

Se vi capita, ditelo a questo signore, che porta tante novità, raccontandoci storie vecchie con mezzi nuovi: rischiano di essere tutte novità insignificanti.
Vi auguro piuttosto d'iniziare questo ulteriore ciclo del pianeta con novità buone e concrete.