venerdì, novembre 04, 2005

Non ci si può pentire della politica

Fare politica è una cosa a cui nessuno di noi può sottrarsi, fin dal mattino quando sceglie con cosa fare colazione o che abiti indossare -- non tanto per il gesto in sé, di tipo privato, ma per le implicazioni sociali che ne seguono, come la preferenza di un marchio o l'immagine che si propone di sé agli altri.
E' evidente che ci sono obbiettivi molto diversi, nel praticare tipi diversi di politica.

Di tanto in tanto sento (o leggo) di un politico italiano, dei tempi recenti, richiamato per nuove polemiche, nonostante sia morto da alcuni anni.
Quello che ricollego sempre è un aneddoto, indimenticabile, avvenuto mentre quest'uomo era sempre in vita.
Era il periodo fra il 1997-98, nei telegiornali appariva spesso l'immagine di Bettino Craxi in Tunisia. In particolare ricordo un giorno, in viaggio di lavoro, a pranzo con dei colleghi, in una trattoria molto popolare, che teneva il televisore acceso sulle ultime notizie.
Alle parole dei cronisti su Craxi, uno dei colleghi, un ex-militare, con altissimo senso dello stato e rigore morale, fece un commento che mi sorprese, per la chiarezza.
Disse più o meno "Io non capisco perché sia necessario parlarne tanto, ha avuto un processo, è stato giudicato colpevole, ha ammesso di essere colpevole: che torni in Italia, sconti la sua pena, se è malato la sconterà in un ospedale".
Un discorso senza una piega. Non so se fu per quello che gli altri commensali non replicarono neppure, o se erano rimasti colpiti come me dalla sintesi.

Le tesi di chi richiama quel personaggio dall'oltretomba sono solitamente a carico di un paio di fattori. Da un lato quello umano, il tentativo di appellarsi alla malattia del condannato -- che di per sé non cambia il giudizio appunto.
Dall'altro quello sul modo tutto italiano di fare politica, la scusante che tutti i politici sono in qualche misura dei lestofanti, e Craxi in questo aveva anche confessato di esserlo -- che in un'utopica società civile si chiama onestà, dovrebbe essere usata da tutti, e in ultima battuta può permettere di confessare una precedente disonestà, per accettarne i carichi.
Quel che di certo è inaccettabile, offensivo per tutti gl'italiani, è che quell'uomo, come presidente del Consiglio, aveva anche giurato fedeltà ad un ordinamento che poi ha violato e cercato di ridicolizzare.

Il simbolo proposto dai suoi sostenitori, quello della vittima con di fronte dei carnefici, è palesemente ridicolo.
Non viene più proposto con convinzione neppure nel populismo giornalistico sui ladri di galline, visti in chiave di "poveri in cerca di sostegno vitale per la propria famiglia". Non è più credibile probabilmente perché ormai la maggior parte della nazione è composta da poveri.

Una distinzione interessante è che sembra essere richiamato come esempio da tutti quelli che con lui han fatto affari sporchi.
Come se stessero cercando di rivalutare l'immagine del proprio passato, trasformandosi da complici (o artefici) della truffa in paladini dell'onestà ultima. Una sorta di assoluzione da tutti i peccati, per la quale non si rivolgono neppure ad un'entità suprema, perché non ne riconoscono alcuna, sopra se stessi.
Eppure neanche questo mi sembra il finale.

Quando si parla di organizzazioni criminali, a larga copertura e impatto su ogni aspetto della società, non si possono dimenticare i fenomeni mafiosi.
Come in ogni organizzazione criminale duratura nel tempo, si creano dei legami fra i suoi componenti, a suo modo un'etica dell'appartenere all'organizzazione stessa. Chi rompe le regole ovviamente viene non solo deprecato, ma condannato fisicamente.
I "pentiti" di mafia, o di altre grandi organizzazioni criminali, finiscono certamente per inimicarsi chi era con loro nel passato, con diretto rischio della propria vita e dei familiari. Insomma, qualunque siano le ragioni, onesti alla fine oppure no, rimane il fatto che da condannati scelgono anche il rischio della vita.

Com'è che la classe politica, di cui tutti riconoscono l'inclinazione alla disonestà (fosse anche solo per le truffe in denaro), non si pente?
Insomma, Craxi è stato l'unico grande pentito di quel meccanismo?
Questo sembra riconoscere alla politica, in quei casi, la capacità di essere più prevaricante, più forte dei criminali che si macchiano di ammazzamenti.
Chissà se un Craxi ancora in vita, potenziale denunciatore di tutti quelli che con lui hanno avuto le mani in pasta, sarebbe stato idolatrato tanto. Probabilmente quelli a cui fa veramente comodo da morto sono proprio loro, i suoi vecchi compagni di merende.

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