giovedì, gennaio 19, 2006

Quanto tempo ancora?

Tempo fa scrivevo a proposito dell'impoverimento economico, e oggi non potevo che ripensarci, leggendo dei tanti contratti di lavoro precari, come quelli degli impiegati di call-center, che si trovano nel contratto di lavoro dei comma come questo: "Gravidanza, malattia e infortunio sono causa di sospensione del rapporto".

Un paio di giorni fa leggevo peraltro di una madre disoccupata, incensurata, che ha lasciato i figli di pochi anni in auto per tentare una rapina in una tabaccheria.
Evidente che la cronaca tenda ad esasperarci questi esempi, per vendere copie di giornale. Altrettanto evidente mi pare il fatto che non siano più casi isolati.

Quanto tempo resta, ancora, prima che questo livello di disagio sociale diventi pandemico?
Perché in ciò che vedo, camminando per le strade di ogni città, pare che la tragicità sia costantemente in agguato, anziché essere rara chimera della cronaca.

Sarebbe inquietante pensare poi che molti possano averne vantaggio.
Non solo i ricchi, che impoverendo la nazione potranno divenirlo di più, ma anche chi si atteggia a difensore dei poveri: ormai son così tanto che fare demagogia diventa ogni giorno più facile. Ogni bugia, vecchia o nuova, diventa più facile da far digerire: vogliamo credere di salvarci, con un minimo sforzo.
Eppure non ci sarà mai una rivolta contro qualcosa, che finisca per essere percepita. Il trucco della libertà di pensiero, regalata a chi non sa pensare, è un po' come la libertà di mangiare, fornita sotto forma di hamburger e patatine fritte. Si svende a poco costo, quel che la pubblicità riempie di virtù e di attenzioni.
I regimi invisibili sono talvolta più pericolosi di quelli visibili.

Ripenso poi alla scarsa lungimiranza di chi amministra il potere economico, su qualsiasi scala.
Possibile che non comprenda come gli stessi lavoratori che licenzia o paga male, sono gli stessi consumatori dei beni dell'azienda?
Chi produce carta, ferro, legno, qualsiasi cosa, non riesce a comprendere che fra i consumatori di quei materiali ci sono persone esattamente uguali ai propri dipendenti?

martedì, gennaio 17, 2006

La fine è vicina (o anche no)

Lo scienziato e ricercatore James Lovelock, in un articolo del giornale inglese The Independent di oggi, ci racconta di un imminente (e ormai irreparabile) declino ambientale, che porterà entro la fine di questo secolo alla distruzione del pianeta.

Certo, di numeri ne ha dalla sua, il signor Lovelock, che prima di essere ambientalista e creatore dell'idea di Gaia è stato anche sviluppatore delle tecnologie per il clima perfino per la NASA, realizzando sonde di misura per più di un pianeta (non solo la Terra, ma anche per Marte).
Un ambientalista curioso, controtendenza, in quanto forte sostenitore che l'energia nucleare sia l'unica soluzione contro il riscaldamento globale.

Evidente che non basti essere un brillante scienziato, per azzeccarle tutte, così ci sono molti aspetti controversi delle ipotesi di Lovelock.
Il racconto di Lovelock è sicuramente catastrofico. Ci racconta che un medico o un poliziotto hanno un compito duro, ma a cui non possono sottrarsi, quando devono avvisare una famiglia che un loro componente, o più d'uno, è inevitabilmente morto. Allo stesso modo dice di non potersi sottrarre al compito difficile di dircelo. Che la fine è vicina.

Pare una frase da hippies degli anni '60, di quelle da scrivere su un cartello e girarci per i marciapiedi di qualche città americana.
Molti saranno concordi che la frase è sicuramente veritiera per l'ottantaseienne Lovelock, è un compito difficile dirglielo, ma non ci spaventiamo nel farglielo sapere.

Che riteniate opinabile o no l'ipotesi di Lovelock, è senz'altro da vedere come un sasso gettato in uno stagno: sperando che smuova le acque.
Solo che in questo mondo in cui l'incertezza economica e sociale opprime molti sul presente del vivere, ben pochi guardano a un futuro che Lovelock dice vicino (entro il secolo), ma che percepiamo come lontano.
Però dovrebbe essere spunto di riflessione per chiunque abbia (o desideri) dei figli o nipoti: se riesce a comprendere che a loro volta potrebbero avere figli e nipoti, un giorno.

La frase fatta del "vivere l'attimo" è stata sicuramente distorta nei modi più turpi, in questi ultimi anni. Dal messaggio positivo del viverlo spensieratamente è stato stravolto il senso, come se equivalesse a vivere solo freneticamente, una vita al massimo, quasi come l'omonimo film di Tony Scott.
I tempi si sono ristretti. Se nel passato si cercava un senso alla vita, ora si cerca un senso ai momenti, intervalli di tempo sempre più brevi, che per ovviare alla loro brevità devono avere un significato enorme.
In questa incessante miniaturizzazione degli spazi felici non c'è più la misura del futuro. Diventa tutto troppo lontano, una misura fuori dalla scala del nostro metro: la fine è inevitabilmente lontana, lontanissima.

Sarebbe un vero spreco, se Lovelock avesse ragione: milioni d'anni d'evoluzione, poche centinaia per disfare tutto.
Curiosamente, io che misuro queste cose con cinismo matematico, ne sono preoccupato, mentre chi si appassiona e si dispera facilmente, non si vede spesso preoccupato. Chissà.

lunedì, gennaio 16, 2006

Siamo alla frutta

Il signor Marcello Pera, che di occupazione risulta avere un incarico costituzionale, non riesce mai ad esimersi dal dichiarare la sua incapacità nel ricoprire la carica data.
Letto così sembrerebbe un mio duro commento sul presidente del Senato, mentre è semplicemente quello che ho letto da una citazione delle sue stesse parole. Infatti ha detto oggi, parlando di partiti politici che "Chiunque, infatti, ritenesse che o per tradizione, o per qualche ragione, di essere moralmente superiore agli altri, avanzare una diversità di carattere etico o addirittura antropologico, commetterebbe, secondo me, un gravissimo errore".

Quindi, se nella politica italiana ci sono comportamenti altamente immorali, se ci sono soggetti che toccano il fondo, nessuno - a detta del signor Pera - può dirsi migliore.
Visto che chi parla può farlo in primis per sé, perlomeno si riferiva a se stesso, ne deduco. Come contraddirlo.
Per estensione ci ha detto che il peggio che si è accumulato nella politica non è migliorabile.

Non solo siamo alla frutta, ma è anche marcia.

domenica, gennaio 15, 2006

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La conquista della libertà

Non molto tempo fa, mi ritrovai a discutere con una conoscente su come si conquista la libertà. Va premesso che questa persona lavora in ambito sociale, ed è di una certa cultura, da cui ha sicuramente dell'esperienza.
La sua posizione fondamentale è che la libertà, per essere tale, deve esserci concessa degli altri: se qualcuno non ci riconosce di essere liberi, allora non lo siamo.

Devo dire invece di essere in gran parte in disaccordo, con questa opinione. Se è vero che la concessione della libertà ci solleva, allenta una pressione psicologica e ci rafforza positivamente, è anche vero che in molti casi va tutto diversamente.
Mi viene da pensare che quasi tutti i movimenti sociali che hanno ottenuto qualche forma di libertà, l'hanno ottenuta a priori, forzandone l'esistenza, non aspettando che fosse concessa. Certo, per quelli a cui è seguito a posteriori la conferma, l'accettazione, c'è sempre stato sollievo: solo che non è questo a determinare l'esistenza di un principio di libertà.

Se fosse valido il principio della mia conoscente, ci sarebbero milioni e milioni di persone che non potrebbero neppure pensarla la libertà, tanto è stretto il giogo sotto cui sono costrette.
La libertà è una conquista, anche individuale; il suo riconoscimento è una concessione, ma non pregiudica arbitrariamente il successo della conquista.
Sarà che io sono una persona assai diversa dalla mia conoscente, e che alle manifeste limitazioni di libertà reagisco sempre con la grazia conciliatoria di un rinoceronte.

mercoledì, gennaio 11, 2006

Dormirci sopra

Un ricercatore esperto di neurologia e ritmo circadiano (così recita l'articolo che leggo) ha condotto un'indagine approfondita sulla relazione fra capacità cognitive e quantità di sonno.
Detto così suona alla grande, mentre il risultato mi pare alla portata delle capacità di ricerca di qualsiasi bambino in età prescolare. La ricerca del signor Wright è approdata infatti al risultato che dopo tre minuti dal risveglio (sì, tre) non abbiamo il cervello molto efficiente.
Viene da chiedersi chi aveva bisogno di questa ricerca, ma leggendo bene l'articolo si ottiene sia la risposta che un inquietante risvolto.

Nonostante i test sottoposti da Wright fossero di tipo aritmetico ("agli individui era domandato di risolvere delle addizioni a due cifre"), lo scopo era ben lontano dalla matematica.
Fra l'altro viene anche da chiedersi perché dei test aritmetici, visto che il cervello umano è provatamente inadeguato per quel tipo di operazioni -- un test banale: provate ad immaginare, ad occhi chiusi, di vedere una bottiglia su un tavolo; aggiungete mentalmente altre bottiglie, già con numeri piccolissimi, inferiori a dieci, diventa impossibile creare un'immagine.

Il test era pensato per pompieri, medici ed altro personale che opera in situazioni d'urgenza.
Un'addizione urgente, entro i tre minuti dal risveglio, mi pare meno probabile, ma non sono esperto di neurologia, per cui evidentemente vivo su un pianeta diverso.
E comunque questo spiega a che servisse: capire le "prestazioni" del personale.

Il risvolto inquietante è che nelle conclusioni del signor Wright è meglio non dormire affatto.
Come dire che i turni di lavoro di medici e pompieri è meglio che siano di 24 ore filate, anziché di 16, con 8 ore di sonno.
E questo spiega chi può aver avuto interesse a finanziare la ricerca del signor Wright.

Del resto, gli esperti neurologi prendono pesci (o sovvenzioni) proprio perché non dormono.
A tutti gli altri non rimane che sperare di non aver bisogno del pompiere o del medico insonne.

lunedì, gennaio 09, 2006

Immagini dell'amore

Mentre da un lato c'è chi cerca continuamente un significato alla parola amore, c'è chi lo vive senza porsi la questione.
Periodicamente mi capita di leggere articoli di ricerche (pseudo-) scientifiche sul tema. La ricerca di qualcuno sembra essere fortemente condizionata dal capire le basi chimiche e fisiologiche di questo sentimento. Forse perché è conosciuto a livello globale, anche in culture molto diverse, per cui se ne cerca la base per capire l'origine fisica dei sentimenti stessi.

Nessuna sorpresa, nel mio piccolo m'interesso del sapere scientifico da anni, per cui non vedo limiti a questa ricerca.
Mi chiedo piuttosto se abbia sempre un senso, oppure se ha il senso che ci vuol dare chi pubblica questo tipo di ricerche. I "risultati" si vedono infatti propinati come se fossero sondaggi d'opinione, totalmente veri e totalmente falsi allo stesso tempo, ma anche modelli da accettare.
La razionalizzazione dei sentimenti, come sembrano supporre questo tipo di ricerche, mi pare una cosa ridicola. Tutto qui.

Cosa dà un senso d'amore? E' completamente slegato dal discorso prima (o forse no), ma ho pensato ad un'immagine, vista qualche giorno fa.
Un ragazzo e una ragazza che si guardavano, si sono sorrisi, e in quel loro sorriso c'era una condivisione che andava aldilà dell'immagine. Forse il sorridersi esattamente nello stesso modo è un'immagine dell'amore.
Avrebbero avuto bisogno di una ricerca che dicesse loro quali ormoni e ferormoni far salire o scendere di livello? Non credo proprio.