venerdì, settembre 29, 2006

Col fischio

La mia attenzione oggi è stata attratta da un articolo, edito sul quotidiano La Repubblica, facente da spalla all'argomentazione sulla legge finanziaria.
Come esordisca è presto detto: si sofferma dalle prime battute sulla conversazione, probabile, fra un prestatore di servizi ed un cliente privato. La frase classica, ricorrente, è del tipo "la spesa per questo bene/lavoro è di 120 Euro, ma senza fattura posso farti lo sconto, diciamo a 100 Euro".
L'articolista si è pure lanciato in un esempio più bonario, contrapponendo i 120 Euro di una prestazione legale con i probabili 80 Euro di una illegale, al nero.
In verità, dalla mia esperienza personale, quello che ho sempre sentito dire, offrire, è qualcosa del tipo "senza fattura le faccio uno sconto dell'importo dell'IVA...", spacciandosi per munifici.
In verità poi fanno a te uno sconto di qualcosa meno del 20%, incassando soldi su cui non pagheranno neppure le tasse, e non solo l'imposta.

Tutti lo sappiamo, tutti ce lo sentiamo proporre continuamente.
Ma chi sono questi individui?
E' presto detto, sono elettricisti, falegnami, idraulici, imbianchini, e chi più ne ha più ne metta. Sono tutti quei lavoratori indipendenti, ma anche titolari di piccole imprese, che prendono da noi soldi puliti e ne fanno denaro sporco. Denaro insozzato, in effetti, perché acquisito illegalmente come controparte per beni o servizi leciti.
Un'attività che mi pare più esecrabile del prostituirsi. Per non parlare poi della rivendita di merce rubata o degli stupefacenti: cosa rende queste due cose meno pulite, rispetto a chi si fa pagare di nascosto per un impianto elettrico o per una tubatura dell'acqua?
Niente.
Assolutamente niente. C'è invece un'aggravante, perché se lo spacciatore di droga ha un'attività coerente, tutta illegale, senza fingersi diversamente, questi ripugnanti individui sfoggiano una facciata, un'attività legittima, che invece non professano.

La vera feccia della società sta in quest'ipocrisia, largamente accettata, mai denunciata. Soprattutto mai punita.
Chi è in grado di proteggerci?
Ma anche se ci poniamo la domanda "chi è disposto a proteggerci?" la risposta è sconfortante.
I consumatori, i cittadini che non hanno scappatoie per evadere il fisco, finiscono per pagare per tutti gli altri. L'orda selvaggia degli evasori fiscali incute terrore fin dentro ai palazzi del potere, un potere che è conscio di esistere solo in quanto appendice, in quanto facciata pulita di un paese marcio fino alle fondamenta. A ben pensare, le elezioni politiche ed amministrative, paiono una semplice mano di pittura fresca, data ogni tanto perché il marciume non risalti troppo.

Ogni volta che sento, leggo, le parole di chi promette equità fiscale, riduzione delle tasse, ed ultimamente di mano ferma nella lotta all'evasione fiscale, mi allarmo.
Mi allarmo perché se mi devono raccontare una bugia così grossa, così palese, evidentemente c'è sotto qualcosa di talmente scomodo che non sanno esimersi dal giocare l'ultima carta, la demagogia più esplicita.
Chi parla di lotta all'evasione fiscale può prodursi solo in due modi: il primo è di farsi nemici veri in tutto il paese, facendo veramente la guerra a chi ruba, come sulle compravendite d'immobili o sugli affitti. Il secondo modo è di riempirsi la bocca di parole vuote.
Due strade, due scelte, semplicissimo.
E sono sicuro che per molti anni a venire nessuno mai prenderà la prima strada, perché nettamente contrario all'italico vivi e lascia vivere.
Col fischio, che qualcuno riformerà il fisco.

venerdì, settembre 15, 2006

Stiamo lavorando per voi

Altri giorni che cambiano il mondo
Dall'ascolto di un breve intervento radiofonico, con estrema umiltà, ho appreso che mi era sfuggita un'altra triste ricorrenza, sempre legata al giorno dell'undici settembre.
Nella segreteria messaggi del signor Vittorio Zucconi, direttore di Radio Capital, un ascoltatore ha ricordato che fra i tragici undici settembre non si annovera solo quello del 2001. Ce n'è infatti un altro, l'undici settembre del 1973, che riguarda sempre gli Stati Uniti d'America, e sul cui seguito ci sono stati ben più morti (per gli ottimisti tremila, ma bisogna esserlo molto, per non pensare piuttosto ad una cifra dieci volte superiore).

Il fatto scomodo (per gli USA) è che in quel caso loro erano i mandanti, e il teatro del massacro era il Cile di Salvador Allende, passato alla dittatura sanguinaria del generale Augusto Pinochet.
Non si può neppure parlare di presunto coinvolgimento degli statunitensi, perché la faccenda è ormai di dominio pubblico, dopo che la CIA ha tolto il segreto dai documenti in cui si auspicava la non elezione a presidente di Allende, o la sua rimozione con qualsiasi mezzo (com'è appunto finita). Non ultimo il finanziamento di quasi undici milioni di dollari per le spese militari nel solo 1972: difficile non avere fondi per un golpe. Almeno diciassette anni di torture, repressione e altre violenze, tanto è costato quell'undici settembre ai cileni.
Non ricorre nella stessa data per l'Argentina, ma la storia è stata all'incirca contemporanea, con gli stessi manipolatori, come descrissero altre carte de-secretate dalla CIA.

La conclusione dello Zucconi, sull'osservazione del suo ascoltatore, è stata assai stizzita (come sta andando di moda dire in questi giorni).
E' andato rapidamente al fatto che ci sono state migliaia di morti a New York, e come dalle sue parole: si sapeva chi andare a punire, e dovremmo ringraziare la politica estera americana per essere fra i vivi a raccontarlo. Come dire: nelle guerre di Afghanistan e Iraq, hanno lavorato per noi.
E' un vero peccato che la capacità di analisi dello Zucconi, spesso attenta e capace di spaziare, finisca per dimostrarsi servile, ogni qualvolta si parla di USA. Quando anche riconosce i difetti degli statunitensi lo fa in modo affettato, come qualcuno che finge di denunciare i delitti di un fratello, ma che lo fa solo quando il fratello non rischia la galera.
Così non ha smentito l'altro undici settembre, perché si sarebbe coperto di ridicolo, ma ha cambiato discorso, per focalizzare l'attenzione su quel che voleva far sapere lui. Quanto si sentiva nelle sue parole, come avrebbe voluto smentire il commento villano del suo ascoltatore. Vera stizza.

Religiosi moderatamente sanguinari

Trovo un puro caso che il mio articolo precedente e l'attuale parlino dello stesso personaggio, e devo dire che ne sono quasi imbarazzato: potrebbe sembrare un accanimento.
In realtà, sono venuto a conoscenza, come chiunque abbia visto un telegiornale o letto un quotidiano, dell'assai più imbarazzante discorso pubblico del signor Joseph Alois Ratzinger. Visto che poi era espresso dalla sua veste di Pontefice della Chiesa Cattolica, penso vada ben oltre l'imbarazzo.

Lasciando da parte le invettive contro la scienza, ha affrontato con scarsa delicatezza la relazione fra Islam, fondamentalismi e terrorismo.
Le sue parole sul personaggio chiave dell'Islam, e sulle scritture sacre, non potevano che scatenare le ire di tutti i musulmani: chiunque poteva immaginarselo. Ora, visto che il suo era un discorso scritto, per cui qualcuno lo avrà revisionato, la cosa appare ancora più preoccupante. Direi più preoccupante dell'esternazioni del signor Roberto Calderoli, quando si presentò (pure in carica come Ministro del Governo Italiano) con delle magliette offensive verso la religione islamica. Più preoccupanti perché se il Calderoli era già noto per dilaganti idiozie in ogni campo, dal Ratzinger ci si sarebbe attesi una maggiore predisposizione alla comunicazione e alla mediazione.

Ma vediamo come è stata presa la notizia, nei vari notiziari televisivi.
Ho avuto l'occasione di seguire solo il telegiornale di La7 e quello di RaiDue, ieri sera, ma è stato già molto educativo.
La7 ha titolato e insistito sul forte risentimento e senso d'offesa che hanno manifestato gli esponenti religiosi dell'Islam, soprattutto in visto del viaggio che a breve il Pontefice farà in Turchia: non si presenterà certo con un bel curriculum, in un paese a maggioranza islamica.
RaiDue ha dato la stessa notizia, ma con un tono molto più episcopale, com'è solito per quella rete. Le immagini in video si sono soffermate più a lungo sulle folle osannanti al Pontefice, i toni del dissidio sono stati smorzati, riducendo le sole parole negative a "commenti stizziti" degli esponenti islamici, sul discorso pubblico. Insomma, ha incensato, adorato, coccolato, l'icona papale, e ci ha fatto sapere che qualcuno soffre stizza, una piccola ira improvvisa e passeggera (come recitano i dizionari), come un'insofferenza infantile, priva di significato.

Nel frattempo, gli stizziti commentatori, l'hanno vista un po' diversamente, rispetto a RaiDue. Come il presidente del dipartimento affari religiosi della Turchia, il quale ha fatto sapere che non vuole più saperne d'incontrare il Pontefice vaticano. E dal resto del mondo arrivano ogni minuto nuove richieste di scuse.
Mi chiedo se questo Pontefice invocherà prima o poi Dio a stramaledire chi non è della sua parrocchia -- cfr. "Dio stramaledica gli inglesi!", dal giornalista di epoca fascista Mario Appelius: parole che suppongo avrebbe volentieri citato anche l'allora Pontefice Pio XII (noto filonazista).

martedì, settembre 12, 2006

Leziose lezioni

Il signor Joseph Alois Ratzinger non ci lascia mai una settimana senza lanciare strali, complice la sua carica pubblica (riveste infatti il ruolo più elevato nella gerarchia della Chiesa Cattolica).
Gli argomenti riportati oggi da qualche quotidiano sembrano focalizzarsi sul richiamo all'oscurantismo, come salvezza verso il pericoloso illuminismo.

La prima preoccupazione del signor Ratzinger (o almeno così ci dice) è appunto verso la scienza, che dalle sue parole cagiona la distruzione dell'immagine di Dio, più in dettaglio per odio e fanatismo -- ipse dixit.
Spiegare il funzionamento dell'universo è a suo parere contro la Ragione di cui si fa portatore, tramite la fede religiosa, per converso ci dice che la scienza sostiene una nascita del mondo nell'irrazionalità. Sembra così concluderne che la scienza sia l'irrazionale, mentre la fede incarna il raziocinio.
Già fin qui sembra di leggere un testo di grande umorismo, ma c'è una conclusione interessante.

Le parole interessanti, che sicuramente colpiscono sia chi pensa e riflette, come colpiscono chi ha fede (e quindi non necessita di riflessione), centrano un punto importante.
La fede, prosegue Ratzinger, è semplicità.
Insomma, tutto dev'essere semplice: la scienza che scopre (e prova col metodo scientifico) la complessità del mondo, non ha senso di esistere, quando esiste la fede religiosa. L'incitamento è chiaramente verso il liberarsi dai pensieri, un'indicazione tagliata su misura per il mondo in corsa, dove tutto ci sembra sempre più complesso (e in effetti lo è). La soluzione di Ratzinger, verso lo stress moderno, è il ritorno alle cose semplici, al credere senza porsi troppe domande.
Lo stesso Byron scriveva che più si conosce, più si soffre. In effetti il teorema di Ratzinger, condensabile in "tornate ignoranti e felici" è decisamente efficace. Con l'effetto collaterale di lasciare alla Chiesa Cattolica la gestione delle cose noiosamente complesse, come l'evoluzione delle specie, l'origine dei pianeti, fino al controllo delle nascite, fenomeno puramente divino, come sa ogni ginecologo.
E' un vero peccato, quando un racconto finemente umoristico si conclude così, quando ti accorgi che era narrato con tono serio.

L'ultimo punto a lasciare fra il divertito e lo sbigottito, è poi sull'ateismo.
Questo signore ci dice infatti che a suo parere la paura di Dio è il sentimento da cui nasce l'ateismo moderno.
Chiunque abbia un po' di senno non può che rimanere spiazzato davanti ad una simile affermazione. E' di un'idiozia tale che viene subito da riflettere su quale potesse essere l'obbiettivo vero di quella frase.
Non credo che abbia alcun senso, letta in modo diretto: un credente che ha paura del Dio in cui crede, finirebbe per volerne negare l'esistenza?
Se così fosse, la stessa Sacra Bibbia sarebbe un libro improntato a generare ateismo: in ogni passo viene ricordato come Dio si possa solo amare, oppure essere puniti con la dannazione eterna. Il Dio biblico è continuamente assetato di sangue, distrugge popoli e territori per tutto il Vecchio Testamento, e infine nel Nuovo Testamento sembra placarsi solo quando vi si narra di fedeli adoranti.

Il mito più illogico di molti credenti sembra essere quello che ogni ateo, per negare l'esistenza di Dio, debba prima crederci e poi fingere che non esista. Come se per negare l'esistenza degli asini alati si debba essere convinti che esistano, ma negarlo in pubblico.
Questo mito mi appare radicato in una cultura molto specifica, che in realtà non lo associa necessariamente al dibattito sull'esistenza di Dio. La cultura a cui penso è quella dei falsi moralismi, su cui si fonda stabilmente una grande fetta dei cattolici.
Ne faccio esempi pratici. Provate a pensare quanti cattolici praticanti siano in realtà incoerenti con la loro fede: quanti praticano la sessualità fuori dal matrimonio? Quanti sono imprenditori truffaldini che violano il comandamento che dice di non rubare?
Questa ambiguità dei seguaci ha creato un moralismo di pura ipocrisia, per cui il ladro credente, o il coniuge con un'amante, sanno di credere in qualcosa che nei fatti negano.
Per estensione, si creano un'immagine dell'ateismo fondata sulla loro esperienza: l'ateo non può che essere una persona come loro, ma che fa certe cose al contrario. Loro dicono di credere, ma non osservano i precetti, per cui è evidente che ci sia chi dice di non credere, ma lo fa di nascosto.
Certo non è l'unico caso.
Sono profondamente convinto che ci sia anche una buona parte di credenti incapaci di capire la negazione di Dio. In fondo è semplice crederci, come dice il signore di cui sopra: basta non porsi domande, non c'è da spiegarsi niente. Dio è presente per spiegare tutto, perché farsi domande?

Tremo ad un solo pensiero: l'esistenza dei cosiddetti scienziati credenti -- una pura contraddizione in termini.
Se penso ad un meteorologo che decide il passaggio di un ciclone secondo una congiunzione astrale, un medico che si raccomanda alle preghiere per curare l'infezione da HIV, un ingegnere che progetta un viadotto con la protezione di una statua votiva, non posso che essere percorso dai brividi.
Altro che paura di Dio.

Il giorno che (non) ha cambiato il mondo

Ho appena spento il televisore, di fronte ad un programma che ricorda i tragici eventi di New York, gli attentati dell'undici settembre del 2001. C'era una ricostruzione dell'accaduto (poco di più di quel che si poteva evincere quel giorno stesso, guardando i notiziari) ed a seguire un dibattito, che per noia non sono interessato a seguire.
La noia non è per gli avvenimenti, sia ben chiaro, non per la loro gravità, ma una noia per la retorica. C'è una data ricorrente, ad anni di distanza, per cui è una buona trovata giornalistica farne un programma.
Immagino che la tragedia di Ustica del 1980 potrebbe avere altrettanto interesse, se fosse stata causata in tempi più recenti, e da qualche terrorista, anziché dalla NATO.

L'undici settembre del 2001, in tarda mattinata, ricevetti una telefonata che diceva più o meno "Hai visto cos'è successo negli Stati Uniti? Secondo me il tuo viaggio salta..."
Il riferimento era alla mia imminente partenza per la California, al 17 settembre. Detto al telefono, per sommi capi, ancora confuso ("attentato... New York...") tagliai corto, dicendo che non facevo scalo a New York e che sarei partito comunque. Ma non avevo ancora visto la cosa in televisione. "Accendi il televisore e guarda... mi sembra davvero grossa...".
Seguito il consiglio capii che non era una piccolezza. Non era uno dei tanti attentati che continuamente infestano il mondo, ma qualcosa su grande scala.
Non fui sorpreso del crollo delle torri, ne fui della compostezza, che a posteriori mi fu commentata da un'amica architetto "son state fatte davvero bene, per crollare così in verticale". In effetti mi sarei aspettato anch'io, da profano, che un crollo catastrofico, non programmato, potesse essere molto più scomposto e dannoso.
Il viaggio saltò. Air France mi sostituì il biglietto con un volo da farsi entro un anno, cosa che non potei fare, così persi i soldi anche di quello. Air France perse per sempre un potenziale cliente.

Il mondo cambiò subito per un punto di vista: quello degli americani.
Un paese così vasto che i suoi abitanti giudicano inutile l'esistenza di altri paesi al mondo, o di altre lingue, vista la presenza ubiqua della lingua inglese. Fino a quel giorno, la maggioranza degli americani, credeva che il terrorismo internazionale fosse la favola orribile dell'uomo in nero, che si racconta ai bambini per scatenare con il terrore una necessità di attaccamento alla famiglia. I veri uomini neri d'America, ormai sono stati in gran parte esorcizzati, la paura del delinquente nero è diluita da quello portoricano, da quello sudamericano, dalla mafia insediata nel paese come descritta dalle tv series, i cattivi presi a pugni dalle star del wrestling o da Chuck Norris. Crimine tollerato, evitando i quartieri ghetto.
Quel che risultava incredibile, era la vera esistenza di paesi stranieri. E che in questi reali paesi stranieri ci fossero reali nemici degli USA. Insomma, com'erano usciti fuori dai film di Hollywood dei veri cattivi? E perché mai?
Quel giorno l'americano medio ha scoperto che qualcuno, in giro per il mondo, in paesi di cui neppure conosceva l'esistenza, lo stava odiando. L'odiava per il suoi soldi, per il suo stile di vita, e non era un barbone di un quartiere degradato ad odiarlo, ma qualcuno a una distanza inimmaginabile.
La sorpresa era nello scoprire che il mondo non era piatto e limitato ai confini della sua nazione.
Quel giorno ha cambiato il mondo visto dagli americani, che hanno scoperto la rotondità predetta da Colombo oltre cinquecento anni prima. Ironia vuole che Colombo (non il tenente dei telefilm, appunto) abbia scoperto un continente che dimostrava le sue ipotesi, e questo continente abbia voluto dimenticare lui, da quel momento in avanti.

E qui, nel resto del mondo, cos'è cambiato?
Da un lato eravamo già privilegiati. Non essendo ricchi, colonialisti, imperialisti -- tranne l'imbarazzante dimostrazione sfociata nella seconda guerra mondiale -- eravamo, in fondo, facilitati. Potevamo vedere tanti paesi diversi, non ci sentivamo a capo del mondo.
Non siamo come nelle produzioni hollywoodiane, non siamo la nazione il cui Capo di Stato vanta di controllare l'economia del mondo, la sua salvezza.
In compenso siamo sudditi del modello televisivo americano, cerchiamo di aderirvi più possibile. Se il gigante è in crisi, siamo in cascata nella sua crisi. Ma questo significa che non sapevamo renderci conto delle guerre sul pianeta, alla stregua degli americani?
Evidentemente sì, visto che ancora oggi c'è chi titola che quel tragico evento terroristico ha cambiato tutto il mondo. Ne convengo che abbia cambiato l'economia, ma su quella c'erano già gravi dubbi relativi alle nuove tecnologie. Erano ancora pesanti i giorni della grande bolla sull'economia di internet.
Certo, senza quell'evento è vero che il mondo avrebbe percorso strade diverse. Ma c'è un pensiero che mi ronza in testa. Il pensiero è che nella corsa verso l'americanizzazione stiamo cercando di diventare americani, prima che partecipi dei dolori. Che non ci sia quindi una compartecipazione nei lutti, nelle disgrazie, del popolo americano: perché non l'abbiamo mai dimostrata verso nessuno, neppure negli eventi da centomila morti. Qui il cambiamento che sentiamo, nel mondo, è che se i vassalli americani del potere vacillano, noi tremiamo.
Anziché mostrare compostezza nel dolore, avversione al terrorismo, sfoggiamo un senso di emulazione che sfocia nel puro servilismo.

Il terrorismo sta cambiando il mondo?
Sì e no. Quelle che in tempi antichi erano devastazioni e saccheggi, compiute da eserciti regolari o mercenari, sono possibili in quest'epoca per mezzo del terrorismo. Non cambiano gli scopi, non cambiano i risultati (a volte intimiditori, altre volte cause di vendette). Non cambia la variabilità dei risultati.
Quel che è certo, nei risultati, è che adesso i paesi arabi siano molto più visibili. Tutti coloro che non sono arabi, sanno verso chi provare rancore, se non odio. L'espansione di quelle popolazioni, e di quelle culture, ha subito certamente una netta divisione: se prima potevano essere visti come stranieri, ora hanno guadagnato la posizione di stranieri indesiderati, anche da parte di molti moderati.
Il terrorismo ha cambiato il mondo dei terroristi stessi, che non sono più poco visibili. Hanno infatti garantito lo stato di possibile terrorista a qualunque persona del proprio gruppo sociale. In fondo era una buona pubblicità: adesso appaiono moltiplicati, senza essere aumentati.

Messi da parte i soldi, la redistribuzione del petrolio, l'esaltazione al razzismo e alle intolleranze religiose, che altro è cambiato al mondo?
Nei paesi poveri sicuramente niente, ci sono sempre le solite guerre da decenni, massacri e violenze, totalmente indipendenti dai brutti avvenimenti del 2001.
E' cambiato il messaggio sul valore del mondo. Ora è ancora più forte quello che ci dice quali sono le persone giuste per controllare potere ed economia. E' più forte la discriminazione razziale, sociale e religiosa.
Se da un lato ci sono le vittime dei massacri che ci dicono "non dimentichiamo", ha sempre più forza il messaggio di chi manipola le informazioni, siano terroristi fuori o dentro gli stati, che ribadiscono "questa è la ricorrenza, sai cos'è successo, impara a mantenere forte l'odio".
Tutti hanno un metodo per cambiare il mondo.