lunedì, ottobre 31, 2005

Ho una cucina!

Amo pubblicare messaggi conditi di perifrasi e metafore, ma stavolta è del tutto semplice: finalmente ho una cucina nella mia nuova casa!
Il che implica mobilia et electrodomestici, finalmente a prendere posto utile, e rendere meno vuote le mie piccole stanze.

Com'è misera la vita negli abusi di potere

Così cantava Battiato.
Ed è sicuramente una frase fondata, oltreché d'effetto. Mi è tornata alla mente leggendo un aggiornamento sul terremoto in Pakistan di questo ottobre. Avevo citato infatti il numero delle vittime qualche settimana fa.

Forse però vale solo per gli abusi di potere che non esportano democrazia.
Sì, dev'essere così.

sabato, ottobre 29, 2005

Ricordate il divieto di fumo nei luoghi pubblici?

Chissà quanti lo ricordano ancora.
Devo ammettere di aver esagerato, nel valutare la normativa. Avevo infatti commisurato i tempi a quelli classici delle leggi italiane, ovvero da una settimana a un mese perché fosse applicata, due-tre mesi di applicazione rigida, poi un progressivo dimenticarsela a seguire, tendente all'infinito.

Invece mi sono accorto solo questa sera, dopo quindi una decina di mesi di applicazione pressoché costante, che ormai non importa più a nessuno -- ero stato decisamente pessimista.
Mi trovavo in un locale affollato, osservando che molti clienti entravano con la sigaretta accesa, oppure l'accendevano direttamente all'interno del locale. Così ho detto al direttore del locale (che stava fumando la sua all'esterno) "sembra che tu sia rimasto l'unico a fumare fuori". La sua risposta, laconica, senza alcuna enfasi, è stata "Sì."

Magari nei piccoli bar, con meno clienti alle due di notte, vale ancora l'invito ad uscire.
Ma per chi fa grossi introiti, è più conveniente non cacciare fumatori, ubriachi e tossicodipendenti, ma di una certa classe -- in ogni combinazione si vogliano considerare.
E poi il rigido Sirchia non è più ministro. Starà rigirandosi nelle acrobazie per dimostrare che prendere tangenti non è malsano, dopo le rivelazioni sgradevoli su alcuni macchinari ospedalieri, che lo colsero proprio sull'ultima capriola governativa.

La questione che mi pongo, è in fondo un'altra.
Disdegno il fumo, ne sono infastidito, ma è niente in confronto al quadro più ampio.

Come può un popolo incapace di seguire una legge così banale, chiedere che i propri governi, le proprie leggi, siano migliori?
Con arroganza e superficialità, mi verrebbe da dire. Poi mi guardo meglio intorno e non mi resta che desumere "con caparbia idiozia".
Perché se è relativamente facile far capire ad un bambino, che per avere i giocattoli degli altri deve offrire anche i propri, è indubbiamente molto difficile far capire la cosa al bambino italiano dai 10 ai 99 anni d'età.
Vuole tutto, lo vuole subito, non riesce a credere che ci sia un mondo fuori dal proprio. Non è sciovinista, primo perché la parola è troppo francese per appartenergli, secondo perché è troppo ignorante per capirla. E quando la capisce, perché l'ha sentita al liceo, è passato troppo tempo dai giorni della scuola: non vuole che qualcuno gl'insegni che esiste un mondo di altra gente, che merita rispetto.
Per cui la legge non ha un valore, così come non l'hanno gli altri.

giovedì, ottobre 27, 2005

Persone preziose

Cosa siamo di fronte al resto del mondo?
La domanda è impegnativa quanto la risposta, il solo porre la questione va fatto in modo delicato e ragionato. Anche per evitare che nell'imbarazzo, chi ascolta, ci risponda una qualsiasi sciocchezza.

Un attento analizzatore di scene digitali (o perlomeno così le definisce lui), ci racconta del compleanno di un signore americano, molto ricco.
Nei dettagli, Vittorio Zambardino racconta di come vede lui Bill Gates.

In soldoni ci spiega che lui vorrebbe tenere le distanze da mr. Gates, ma non può esimersi dall'ammirarlo, perché nel suo luci e ombre vede le luci splendere più di altre.
Più di quelle di Steve Jobs, co-fondatore di Apple e detentore di un'immagine carismatica.
Zambardino vuole mostrarci come l'innovatore Gates lavori nell'ombra, anziché nell'immagine della sua azienda, ovvero producendo molto di più di quanto si veda.

Nella sua versione moderna del cinque maggio, dedicata a questo nuovo imperatore, il buon Zambardino si sporge su un abisso pericoloso.
Non si trattiene dal raccontare dei successi nel mondo informatico, ma anche di quelli nel campo della medicina, in cui mr. Gates sarebbe incorso.
Quel che Zambardino ignora sono forse alcuni scomodi dettagli, come quelli pubblicati in un articolo de il Venerdì de la Repubblica, alcuni mesi orsono -- quindi dello stesso gruppo editoriale che foraggia pure lui.

Nel settimanale allegato al quotidiano la Repubblica, uscì qualche mese fa un articolo piuttosto scioccante, relativamente all'infezione da HIV e l'emergenza AIDS in Africa.
La parte che ho trovato scioccante non è quella che ci propone la televisione deficiente a cui siamo abituati, non si trattava delle solite decine di migliaia di morti, che ormai non c'interessano più -- anche se per Natale cercano di farcelo ricordare.

L'articolo dettagliava piuttosto delle ricerche in corso per un vaccino contro l'HIV, con i suoi test sulla popolazione.
Sì, test sulle persone, quelli che qui non sarebbero possibili (e immagino neppure negli USA).
Non su soggetti HIV positivi, quelli magari riuscirebbero a farli anche negli USA, convincendo un po' di malati. I test vengono fatti su persone sane, per verificare una vaccinazione preventiva.
Sfortuna vuole che si tratti di test, per cui magari il soggetto sano si ammala pure. Di una malattia difficilmente curabile, mi dicono.

La benefica fondazione di William e Melissa Gates, offre generosamente denaro per questa infausta ricerca.
Una ricerca che arruola giovani prostitute analfabete per dei test, in cui firmeranno con una croce un dossier di fogli, che in mezzo alla lingua legalese (incomprensibile anche per chi è mediamente alfabetizzato) dichiarano che in caso di contrazione d'infezione da HIV, la compagnia farmaceutica risolverà il contratto. Senza nessuna assistenza sanitaria.

Se per una guerra si arruola carne da cannone (e gli USA hanno già sparato tonnellate di carne della stessa nazione, in Iraq), per l'industria del farmaco il signor Gates ha ben pensato di sparare carne meno costosa.

L'articolo de il Venerdì mi sorprese poi per il modo diretto in cui tutto era documentato.
Evidentemente non sorprese solo me.
Nel giro di un altro paio di settimane apparse un secondo articolo, con altri redattori, che partiva da ben altri proponimenti. Più vicini a quelli di Zambardino, anzi, più entusiasti. Le cavie umane, ignoranti e malate, erano sparite, per la buona immagine del signor Gates e signora.

Viene da chiedersi: Zambardino ha creato un'immagine perché è anche lui un servetto?
Non lo credo, sono piuttosto dell'avviso che sia finito nella banale trappola, nel meccanismo che Gates è riuscito perfettamente a mettere assieme.

mercoledì, ottobre 26, 2005

Il vero significato della democrazia

Giorni fa mi preoccupavo dello stato sociale, quasi fossi premonitore di quello che è cominciato ad accadere nei giorni scorsi, negli scontri di piazza, con epicentro la legge di riforma scolastica.
Aggiungo poi un richiamo ad un precedente post, sull'argomento democrazia.

Questa sera, vedendo pochi brani dal telegiornale de La7 ho ricombinato ancora queste due cose.
Nonostante la mia intolleranza verso i predicatori, soprattutto quelli televisivi, qualunque sia la religione che propinano, mi sono sforzato di ascoltare alcune parole dell'on. Carlucci, che a questo punto devo ringraziare.
Di fronte ad una protesta sociale così rilevante, ha infatti osservato che veniva contestata una legge di un parlamento democraticamente eletto. La sua conclusione era quindi che la protesta fosse aberrante.

Il teorema di Arrow dimostra matematicamente, senza scampo, che la democrazia non esiste. Sì, nel senso della logica matematica è una forma di governo irrealizzabile.
L'intervento televisivo dell'on. Carlucci ci ha ricordato la cosa chiaramente. Un parlamento, democraticamente eletto, promuove leggi democratiche, ma allo stesso tempo queste sono un nonsenso.
Va ricordato poi che anche Adolf Hitler fu democraticamente eletto in un parlamento.
Quindi, in una conclusione che le capacità cerebrali dell'on. Carlucci definirebbero "logica", chiunque era contrario al potere in mano a questo signore, si opponeva allo stato democratico.

Attenti a dissentire, quando lo stato è democratico.

lunedì, ottobre 24, 2005

Il mito della democrazia

Qualche anno fa lessi un bel libro (che adesso non citerò né per autore né per titolo) in proposito ai paradossi, quelli dei sensi, come quelli insiti nelle attività umane.
C'era in particolare un paradosso che ritenni tanto significativo quanto inquietante.

Nel 1951, un economista americano (in seguito premio Nobel, nel 1972) enunciò un infallibile quanto impietoso teorema matematico.
Kenneth Arrow dimostrò infatti l'impossibilità dell'esistenza della democrazia, in termini matematicamente esatti.
Dev'essere stato un vero schianto nella società americana, impegnata nella guerra fredda, per dimostrare la superiorità della propria democrazia, di fronte al nemico sovietico.
La reazione in un paese totalitario di stampo classico sarebbe stata quella che sappiamo, accuse di falsità, di minacce alla sicurezza statale, oppure direttamente screditamento e condanna all'oblìo. Fin qui niente di nuovo, tolgo anzi il congiuntivo: Arrow non poteva che finire dimenticato e messo da parte, come fu fatto.
Certo ho omesso che in America c'è anche modernità, motivo per cui non fu necessario sopprimere fisicamente Arrow, come sarebbe potuto accadere in altri stati totalitari, come in sud america, o nel sud est asiatico.
Resta il fatto del suo scomodo teorema.

Mi chiedo oggi, ogni volta che sento le parole "democratico, democrazia", se chi le pronuncia ne abbia qualche coscienza.
Risuonano un po' come le cure del medico settecentesco, che per alleviare un mal di testa perforava il cranio del paziente, per ridurne la pressione cranica. Quel che mi provoca irritazione è il sapere già per certo che il richiamo alla democrazia è un tentativo di trapanare la testa a qualcuno, per infilarci dentro un concetto utopico, spacciandolo come possibile.

- continua -

Quale film anticipa i tempi futuri?

Di storie fantascientifiche trite e ritrite ne abbiam viste a sufficienza, con previsioni più o meno azzeccate del futuro -- viste adesso, dal loro futuro.

Ho trovato oggi, segnalato fra le proposte di Feltrinelli, nel negozio di Firenze, un film decisamente cult. Lo vidi una sola volta, in televisione alcuni fa, ma non lo dimenticai.
Parlo di Brazil, di Terry Gilliam. Non ho riferimenti ad una sua pagina ufficiale, ma posso indirizzare a un venditore di DVD on-line, ed una recensione che riporta qualche immagine.

Estremizzato, una fiera dell'assurdo, sarcastico. Quanto diverso dalla realtà che viviamo?
Non viviamo forse già qualcuno degli sconvolgimenti di Brazil, seppure in forma più sofisticata, meno diretta?
Devo prenderlo e rivedermelo, chissà se sarà ancora come nel ricordo.

domenica, ottobre 23, 2005

Consigli di lettura: la matematica dove meno te l'aspetti

Ho acquistato oggi un paio di libri, uno suggeritomi da Penelope (che non credo proprio legga questi appunti), il secondo invece mi ha strizzato l'occhio dallo scaffale, in mezzo ad altre novità.

Esercizi di stile, di Raymond Queneau, è una curiosa raccolta, che non può evitare di suscitare interesse per chi ama lo scrivere e il leggere, come cultura e ricercatezza -- ma anche per il puro divertimento.

La logica matematica di Piergiorgio Odifreddi, ne Il matematico impertinente, è poi senza scampo. Sotto l'occhio attento dell'analista, meticoloso come Odifreddi, la storia del nostro presente non riesce a sfuggire tramite le solite acrobazie. A nulla servono le dichiarazioni politiche e religiose contro la logica.
Unico requisito: saper usare il metodo scientifico nelle proprie valutazioni. Un libro decisamente inadatto all'italiano medio, ormai assuefatto al metodo televisivo -- quello in cui si accende il televisore e si sceglie come propria opinione quella di qualcuno degli oratori, senza neppure considerare che possano essere una manica d'idioti.

Ovviamente devo ancora leggerli, ne ho avuto solo un assaggio delle prefazioni e prime pagine, ma li annoto in quanto finora ne ho ricevuto solo ottime impressioni.
Curiosa la vena matematica che li accomuna.
Mentre conoscevo già Odifreddi, non sapevo granché di Queneau, per scoprire che oltre ad essere un esperto letterario era anche un matematico di talento.
Mi ero mosso in verità per acquistare il libro di Queneau ed un altro libro a sfondo ancora più matematico, L'equazione impossibile di Mario Livio, che ho rimandato solo per il prezzo di copertina -- lo cercherò al supermarket, con il benefico sconto del 15%.

sabato, ottobre 22, 2005

Evoluzione sociale

Sull'editoriale odierno di TGMOnline, redatto da Claudio Todeschini, leggo una riflessione sul legame fra abitudini di vita e tecnologia, un argomento spesso sollevato da tanti.

Pur occupandomi di nuove tecnologie, in prima persona, da oltre una quindicina d'anni, osservo spesso con sospetto tutto quello che viene spacciato per novità irrinunciabile.
Preferisco pensare che sia appunto un approccio scientifico, nel quale ogni cosa nuova necessita di essere prima analizzata, per potersi dire realmente nuova.

Tantissimi anni fa (relativamente al mio vivere) riflettevo già su quella che sarebbe potuta essere l'evoluzione sociale, grazie alle nuove tecnologie.
Se per migliaia di anni si sono succedute guerre e rivoluzioni per arrivare a poter vivere meglio (certo anche guerre per poter continuare a vivere sopra la media), la tecnologia, che rende più facile il vivere, sembrava la soluzione.
L'introduzione dei robot, ad esempio, nei vari settori dell'industria, non doveva portare una redistribuzione del benessere, abbassando i costi di produzione?
Era ovviamente un pensiero utopico, nella reale società umana.

Già mentre ero ancora uno studente, delle nuove tecnologie, avevo formulato il chiaro pensiero che un rischio della tecnologia fosse la velocità a cui si propagava. Nell'ultimo secolo la tecnologia è cresciuta ad un ritmo troppo rapido perché potesse essere compresa, acquisita, dalla gente.
Non è quanto in là siamo arrivati ad avere il peso maggiore, ma in che tempi. La cultura tecnologica media rimane molto bassa, per cui l'assorbimento avviene in modo sempre meno consapevole.
La definirei addirittura violenza tecnologica.

Todeschini si chiede quanto le tecnologie senza fili, wireless, ci liberino dai cavi, ma ironicamente ci leghino sempre più ai computer.
E' a mio avviso uno di quei sintomi della tecnologia che passa dal proporsi come utilità allo imporsi come unica via possibile verso il futuro.
E succede in modo sempre più subdolo, tanto che molti cominciano a considerare di aver fatto scelte, dove invece si nascondevano imposizioni, secondo le cieche regole della moda, prima che dell'innovazione.
Ma non si ferma qui la faccenda. E' la promessa di flessibilità del lavoro, che non offre meno lavoro e più benessere, ma semplicemente un modo diverso di lavorare.
E non finisce qui la mia riflessione.

martedì, ottobre 18, 2005

Meraviglie tecnologiche (o economiche?)

Sfortuna che nessuno legga i miei post, o che perlomeno nessuno li commenti.
Sarei infatti curioso di sapere cosa ne pensa un po' di gente, diversa da me, dellevento SMAU, la mostra che ogni anno si tiene a Milano.
Non saprei come definirla, loro titolano l'evento come "La città dell'innovazione", e suppongo che la sigla originale stia per qualcosa tipo salone macchine automazione d'ufficio.

Negli anni che ci sono stato d'innovazione ho visto ben poco. Le aziende che contano, quando presentano le novità (come loro prodotti, usare la parola innovazione è esagerato) lo fanno in altre sedi, come le mostre americane, o al massimo al CeBit di Hannover.

L'ultima volta che ci son passato c'era un enorme stand di Symantec, a cui ho chiesto informazioni sui prodotti: sfortuna, la bellissima ragazza "in mostra" non ne capiva niente, era solo una comparsa.
Di fronte si consumava uno degli show più comuni, dove su un palco delle bellissime ballerine seminude danzavano con una musica assordante, davanti ad un'orda di giovani (e meno giovani) che sbavano per loro o per farsi lanciare un portachiavi griffato dalla marca nello stand.
Dopo qualche ora di girovagare per stand di pura immagine, show musicali e bancarelle di hot-dog (unica cosa utile), me ne sono andato, annoiato.

Questo è il senso italiano dell'innovazione?
Se volevo vedermi uno show di belle ragazze al ritmo di danza potevo spendere assai meno ed andare in un locale alla mano.
Se volevo vedere gli ultimi prodotti informatici potevo consultare internet, qualche rivista, o fare un giro dal rivenditore di zona.
Se volevo solo un hot-dog, beh, vi lascio immaginare.

sabato, ottobre 15, 2005

Rumori dalla natura

Fa più rumore un uragano o un terremoto?
Probabilmente un uragano, visto che mediamente rimarrà in vita per più tempo, con il suo percorso di giorni e settimane, mentre i terremoti sono limitati a secondi e minuti.

Dev'essere lo stesso motivo che ha decretato il maggior successo giornalistico dell'uragano Katrina, rispetto al terremoto in Pakistan.
E' stato un pensiero sul conteggio dei morti letto oggi, che pare siano 38mila in Pakistan, contro i circa 1200 negli USA.
Apprendo dal CIA - The World Factbook che in Pakistan il prodotto interno lordo pro capite è di 2200 USD, mentre quello degli USA è 40100 USD, quindi un americano del nord vale circa 18,2 pakistani. Anche economicamente, con 1200 statunitensi, siamo a poco più di 21mila pakistani equivalenti, per cui non può essere la matematica a spiegarlo.

Quello che invece è innegabile è che il controllo del mondo sia per buona parte in mano alle nazioni più ricche, con un curioso risvolto.
Un solo cadavere di nazionalità eccellente è un monito, un simbolo di terrore che pervade gli altri paesi altrettanto facoltosi. Scuote i cittadini seduti su comode poltrone, davanti al televisore, nel salotto buono, con l'avviso "poteva capitare a te, è uno come te".
Mentre per i morti nei paesi poveri la tranquillità è che succeda tanto lontano, non solo geograficamente.

Così l'Italia ricorda che c'è stata una vittima di nazionalità italiana in Pakistan, se non erro, un diplomatico. Al che tutti si dicono "se fossi stato in Pakistan, avrei potuto essere quel preciso italiano, morto sotto le macerie della sua casa: che cosa terribile".
Sanno bene però di non poter essere in alcun modo fra i 38mila pakistani, ed è un sollievo.

Sicuramente in questo caso, il vero fattore di decisione, sulla rilevanza di una notizia, non è 18,2 a uno, come nel ridicolo calcolo economico che ho fatto sopra.
Però potrebbe anche finire per essere di 38mila a uno.

In natura ogni morte è dignitosa, in modo del tutto indipendente da luogo o nazionalità. Gli uomini invece finiscono sempre per fare molto più baccano di qualsiasi evento naturale, credendo così di aver vinto una gara di chiassosità.

giovedì, ottobre 13, 2005

Stato sociale

Leggendo i quotidiani, osservando il quotidiano intorno a me, mi appare evidente l'impoverimento economico e culturale.
Queste due perdite, di denaro e cultura, si combinano in modi sempre più vari. Tutto questo mi rattrista enormemente, perché mi pare chiaro che possa portare ad un sempre crescente disagio, in tutta la società.
Questo per la parte facile da scrivere.

C'è un altro aspetto che trovo inquietante.
Quello che mi viene da domandarmi è se non sono proprie queste condizioni di povertà crescente, lavoro a basso costo, scuole e università penalizzate, a far crescere in un paese non solo il disagio, ma la violenza.
Quello che mi domando è se non siano queste le condizioni che hanno fatto nascere e proliferare il terrorismo interno, negli anni di piombo. Questa considerazione non può che generare forti preoccupazioni per il futuro.
Forse però, chi manovra la politica è sicuro dei tempi diversi. Ormai siamo tutti anestetizzati.
Forse c'è la prospettiva che nella povertà e ignoranza possa solo crescere il crimine usuale, che ha anche lo scopo di giustificare chi amministra un paese con metodi spicci e repressivi, ma anche con palese incompetenza.

Soldi, bugie e videoplayer

Raccontavo in un post precedente la mia allergia alle affermazioni snob sulle nuove tecnologie, pensando fra l'altro a un caso specifico, di un noto produttore di audio players.
Non che siano i soli a fare annunci d'innovazioni inesistenti, c'è sul mercato un'altra azienda ancora più brava, nell'affermare falsità rilevanti per le proprie azioni in borsa, com'è ben descritto da David A. Wheeler.
La discussione di Wheeler sulle vere innovazioni nel software è particolarmente interessante, e mostra con criteri ben chiari che né l'azienda di Gates, né quella di Jobs, possono aver innovato in alcun modo.

L'unica cosa che invece mr. Jobs è riuscito a realizzare meglio, è la diversione da prodotti tecnologici verso prodotti nel mondo della moda.
E' riuscito in effetti a fabbricare un riproduttore di musica digitale, quando ne esistevano già decine, promuovendolo come innovativo, mentre la vera idea era renderlo trendy. E questo gli va riconosciuto: ha saputo sfruttare magnificamente l'aura di moda intorno alla sua azienda.
Tecnicamente però non ha inventato niente che non esistesse.

Ora se ne esce con un riproduttore audio/video, di nuovo in ritardo di uno-due anni rispetto al resto del mercato.
Ma nessuno può parlare di successi incerti, sicuramente ne avrà, come nuovo fashion design, un po' come l'abito di pronta moda, nella giusta stagione.

Qual è il motivo della mia irritazione?
Semplice: l'intolleranza verso le prese in giro. Soprattutto quelle che generano accolitismi, cieca fede che cerca anche di dimostrare se stessa.
Se l'innovazione è nel moltiplicare il valore delle azioni allo stock market, non posso che vederci la stessa capacità di innovazione del mercato immobiliare.

martedì, ottobre 11, 2005

Musica celestiale

Quando voglio trovare relax, ispirazione o anche energia, ascolto qualche tipo di musica che mi aiuti. Come dire in breve "mi piace la musica".
Chissà se esiste qualcuno completamente intollerante verso qualsiasi tipo di musica.

Le note ispiratrici, in questo momento, erano quelle di What the world needs now is love di Burt Bacharach, nella splendida interpretazione di Stacey Kent dal suo bellissimo In love again, che non smetterei mai di ascoltare, come l'altro suo The boy next door.

Rimanendo sui toni soft, per quanto diversi, un altro mio preferito è If I could only remember my name di David Crosby -- non metto un link al sito di Crosby, che mi pare un pasticcio, come la sua vita erosa dall'LSD.

Terzo, ma solo come ordine di citazione, s'infila un CD quasi introvabile, Dreams of Flying di Astral Jazz -- jazz prodotto in Nuova Zelanda, scoperto su una raccolta new age, l'ho dovuto ordinare in inghilterra da Discord, grazie a Lù che lo trovò per me, spulciando Google.

lunedì, ottobre 10, 2005

Immagini dal (nostro) mondo

Consultando le immagini sul sito di World Press Photo, raccolta di foto dal mondo del giornalismo, ho avuto nuovamente una sensazione sgradevole, simile a quella che descrivevo qui.
Ci sono tante foto, tanti eventi, ma quelle che più risaltano, molte delle più premiate (sicuramente per i meriti di qualità, reportage, e tanto altro) sono quelle più tristi.

E' possibile che di questo mondo, l'immagine più persistente sia sempre di dolore e disgrazia?
C'è un ramo del giornalismo, che senza ridicole finzioni, ci racconti qualcosa del lato buono del mondo?
Certo non i pettegolezzi sui vip, i calendari di formose ragazze seminude, le immagini del successo ostentato compulsivamente.
Non che io sia il virtuoso, che non amerebbe avere successo dalla proprie scelte di vita, o che non apprezzi le bellezze al femminile, ma se voglio un'icona di bellezza femminile preferisco vederne una dal vero (e fra le immagini meglio Domai, con dei naturali difetti). La bellezza del vivere, creata con troppe correzioni alla naturalezza del vivere, lo rende altrimenti ridicolo.

Dove sono coloro che cercano di raccontarci questo reale piacere del vivere?
Perché io sono assolutamente convisto che esista. Perché nella peggiore delle mie giornate ho sempre chiaro che esiste sicuramente, da qualche parte, un modo migliore di vivere.
Cosa me lo fa affermare? Perlomeno la consapevolezza di non annotarsi solo gli avvenimenti brutti di una giornata, riconoscere che ci sono piaceri e soddisfazioni nel mio vivere.
Ah volete sapere come mai non li racconto qui? Perché non seguono una regola, perché esistono anche quando non li scrivo!
Lontanissimo da "E' bello tutto quello che riesco a dimostrare bello".
E' bello anche quello che non si racconta.

Chissà, forse è per quello che non vedo sufficienti immagini, dagli altri, su quel che di bello c'è nel nostro mondo: piccoli segreti di un grande piacere.
E magari anche no: strada sbagliata. Riprendo una nuova strada, e riparto.

domenica, ottobre 09, 2005

Sono di qualche fastidio?

Cito a memoria una scenetta vista dal vivo, non priva d'ironia -- e come di consueto (per me) di spunti riflessivi.

La solita Firenze, in una serata del fine settimana. Passeggio per una piazza, luogo usuale di parcheggio selvaggio. L'auto dei vigili urbani sta lì ferma come un monolite di 2001 odissea nello spazio, o più propriamente come deterrente.
Poco più avanti una ragazza, accortasi della presenza di questo simbolo(?) si avvicina alla propria auto. Si guarda intorno, con l'espressione smarrita di E.T. che cerca di capire quale sia il pianeta, e prorompe verso il vigile urbano con la domanda: "Se la lascio qui dà noia?".
Chissà se la risposta del pubblico ufficiale è stata dettata dal fatto che l'auto in questione era in seconda fila. Oppure dal fatto che per metà bloccava anche i cassonetti della spazzatura. Già che ci siamo soprassediamo anche al fatto che era in direzione opposta al senso unico.
Penso che l'uomo in uniforme si sia trovato sorpreso delle proprie parole, quando ha semplicemente risposto "Secondo lei?".
Io ho semplicemente sorriso, nessuno mi ha notato, ma tant'è che non ero di alcun fastidio (credo).

Non è poi un racconto estremo, in quella zona vedo piéces teatrali del genere ogni volta che passo. E anzi, quelle più in voga sono col guidatore accompagnato da amici, che dopo aver litigato per una decina di minuti con gli uomini col cappello, prosegue in privato la conversazione, additando come "bastardi" quelli che gli han sollevato una multa. Era in doppia fila, davanti ad un passo carrabile, bloccava una strada a senso unico: ma con che coraggio lo multano?
Che mondo insensibile.

Cosa lamentiamo?

Ho l'impressione (possibilmente infondata) che i weblog soddisfino una necessità di sfogo, come certe lettere minatorie.
Insomma che il pretesto dello scrivere, del raccontare, sia tutto un pretesto piagnucoloso, per cui "il mondo non va come dovrebbe".

Ecco che mi piacerebbe essere indirizzato a qualche scritto, diario, aggiornato quotidianamente con visioni positive, notizie piacevoli.
Avete un esempio di qualcuno che per oltre il 50% del proprio disquisire vede positività? Ottimo, vorrei leggerlo, ne sarei più che felice. Ma non solo io, anche parecchi altri, ne sono sicuro.

Purtroppo, nel mio raccontare non sono altrettanto bravo, perlomeno non qui in rete, per cui mi annoto solo lamentele, riflessioni cervellotiche, "seghe mentali": per chi cerca di sdoganare piccole espressioni volgari come "frasi giovanili", di sicuro impatto. Riesco a lamentarmi anche delle lamentele, favoloso.

Snobismi ed altri equilibrismi

E' un dato di fatto: non sopporto gli snobismi, di qualsiasi genere.
Ironicamente mi vedo quindi raggruppato fra gli snob allergici a qualche fenomeno sociale. Questo rende ovviamente acrobatico qualsiasi mio ragionamento.
Un po' come nelle parole di Raymond Smullyan, quando dice "una cosa che ancora non riesco a tollerare è l'intolleranza".

Gli snobismi recenti, quelli delle nuove tecnologie, sono coloro che meno tollero.
Probabilmente ho avuto più tempo per assorbire le vecchie divisioni, come quella tipica fra ricchezza e povertà. Quel che però insegnano, ricchezza e povertà, è che non c'è mai espressione di superiorità, arroganza, in un solo senso. Si è invece modellata una risposta, una reazione uguale e contraria, di una stolidità disarmante.
Ad un'affermazione del tipo "io ho, tu non hai", anziché contrapporsi una valutazione dell'importanza dell'avere (sull'essere, cfr. l'approccio psicanalitico di Fromm o quello filosofico Zen), si è rapidamente imposta un infuocata simbologia dell'essere migliori quando non si ha; soprattutto supportata da "chiunque ha è peggiore" -- seguito dalle note del Carmina Burana di Carl Orff, con Fortuna imperatrix mundi, "egestatem, potestatem, dissolvit ut glaciem".

Torno a terra.
Vestirsi con abiti stracciati è povero? Soluzione: rendiamolo un simbolo di stato sociale diverso, superiore.

La tecnologia ha (spesso) delle unità di misura, per cui diventa necessario renderla opinionismo, prima che possa decadere nello snobismo.
Ci sono comunque dei solidi precedenti, per far cadere le scelte tecnologiche fuori dagli ambiti pragmatici. Il frigorifero/lavatrice/cacciavite/automobile (e aggiungete quel che volete) di venti, trent'anni fa, "ah, non ne fanno più così bene!".
Davanti ad una simile affermazione è difficile replicare. In primis perché cominci ad avere il dubbio che un ragionamento coerente, obbiettivo, sia fuori dalla portata di chi l'ha enunciata.
Poi ti viene il dubbio: è rimpianto dei "vecchi tempi"? E' pura incapacità di analisi? E'... snobismo?
Nell'ultimo caso si rischia di tornare a combatterlo con la solita vecchia arma, la reazione uguale, ma solo in direzione contraria.

In principio era la relatività

Ho appena letto un weblog che mi ha fatto riflettere... ah che sciocco: era appunto il weblog che stavo scrivendo giusto prima di questo.

Uno dei fatti curiosi del pianeta è sempre l'ansia dell'organismo dominante.
Il fatto di avere qualcosa in più nelle capacità, rispetto alle altre specie animali, qualcosa che ci distingue, ci pone sempre nella frenesia di doverci svincolare in ogni modo dalle regole a cui sottostanno tutti gli altri viventi.

Cercando di vedere le cose un po' dall'esterno - e non può che essermi difficilissimo - saltano subito all'occhio delle evidenti incoerenze, alcune decisamente ridicole.
La prima è giusto in proposito alla prima caratteristica che ci siamo riconosciuti, molto più sviluppata rispetto ad altre specie. Ora, non è tanto il fatto di averla chiamata intelligenza (in fondo potevamo chiamarla anche in un altro modo) a renderla ridicola, ma quello che ci riponiamo -- la conoscenza, come se fosse una dote che rende automaticamente migliore (oppure superiore?) qualsiasi homo sapiens.

La meditazione non è finita (anche se l'ho già rieditata a distanza di dieci ore), ci tornerò.

Soldi per fare soldi

Osservo con un certo ribrezzo il proliferare delle società finanziarie.
Intendo quelle che hanno fatto una fortuna nel rateizzare gli acquisti dell'utente finale, di qualsiasi prodotto, dal mobilio al televisore, al telefono cellulare.
Se torno coi ricordi agli anni '70, mi si prospettano immagini assai diverse -- e non mi dite che è passato del tempo, me ne sono accorto pur io.

In un paese dove la parola "economia" fa pensare ad un ben altro ordine rispetto alle definizioni da vocabolario, il termine "finanziamento" mi appare altrettanto fuori posto.
La prima allegoria che mi è ruotata intorno alla parola è stata quella di un organismo saprofita, all'estremità inferiore del processo organico. Ma del resto, nutrirsi di secrezioni ed escrezioni, non implica niente di così deprecabile.
Forse è più realistica l'immagine della zanzara portatrice di malaria, che infesta l'Africa, portando morte dove già la vita stessa non è facile.
Ripensandoci però, neppure questa rappresentazione rende bene. In fondo anche il peggior parassita del mondo animale, vegetale o fungo che sia, non ha coscienza di distruzione, il suo vivere è altrettanto dignitoso del nostro.
E' piuttosto ridicola la visione umana del mondo, in cui dividiamo fra morti giuste e ingiuste.

Ormai divago, vediamo se riesco a concludere almeno un titolo.

A quale costo i soldi riescono a far soldi, dove di soldi ormai non ce ne sono più?
E dove finiscono i soldi, quando non ci sono più?
La materia non si crea o si distrugge, tutto si trasforma: pare la dimostrazione che il denaro è in fondo del tutto immateriale, per quanto cerchiamo di dargli una forma fisica.

L'eternità, sulle sue labbra

Quel che Wolf riesce a sintetizzare è alle volte una di quelle frasi che ti colgono di sorpresa, tanto che dici "No, aspetta, ripetila", perché è troppo veloce e incisiva, per crederci.
L'idea di base era qualcosa del tipo "Certe donne hanno un sorriso in cui lo sguardo ti si perde, e sai già che perderci una vita intera non ti basterebbe".
Ora l'alternativa, dico io, è fuggirle?
Wolf non ha neppure le parole per rispondermi, l'idea stavolta era che se avesse avuto un martello me l'avrebbe tirato in testa.

La frase del titolo è un vero furto, ai danni di sir William -- "Eternity was in our eyes and lips", Antony and Cleopatra, W. Shakespeare.

venerdì, ottobre 07, 2005

Meditazione in corso

Ho fatto un sogno, di cui meriterebbe scrivere.
O meglio, sicuramente ne ho fatto anche più d'uno: solo che non ho idea di quando sia successo, e neppure di cosa abbia sognato. Quale pregio è più indiscutibile di quelli sconosciuti sia a chi li ha, che a chi li valuta?

Per certo so che in questi giorni i miei pensieri sono presi da una moltitudine di questioni, per cui il weblog è in modalità stand-by.
In ogni caso si approssima il weekend, per cui sto scaldando il motore del generatore di opinioni, aiutato dal supporto del fido Wolf.

martedì, ottobre 04, 2005

Genialità mimetica

E' indiscutibile che ogni nostro pensiero sia (fortemente) condizionato da tanti fattori esterni.
Basta pensare a qualche rumore che al mattino ci svegli di soprassalto, insinuandosi per un attimo nei nostri sogni, come parte della vicenda.

Quand'è che si crea veramente?
Certo, vedere qualcosa che ispira un'idea non significa aver copiato l'idea. C'è una differenza ben visibile, fra un architetto che immagina un palazzo vedendo una disposizione di sassolini in riva a un fiume, e chi indeciso sui gusti di gelato che vuole, finisce per scegliere quelli visti ad un altro cliente del gelataio.

Anche nei pensieri, nelle opinioni - e in queste note scritte - c'è qualcosa di nuovo che inevitabilmente si inframmezza a molte cose vecchie.
C'è una vera regola che descrive come qualcosa sia univocamente nuovo?

lunedì, ottobre 03, 2005

Modern language, antiquati errori

Piero Ottone, in un articolo su un settimanale, si ferma a riflettere sulla larga diffusione della lingua straniera nell'italiano, nella forma di singole parole ormai d'uso comune.

Sfortunatamente per lui, si lancia anche in una cieca interpretazione del fenomeno.
Cosa determina - per lui - il ricorso sempre più frequente all'inglese? Semplice, il potere economico e - dice lui - politico, culturale.

Mentre è facilmente immaginabile il punto sull'economia, resta confuso quello politico, che Ottone non ci spiega. E buon per lui che non cerca neppure di spiegare dove sia la maggior "importanza culturale" (sì, dice proprio così, lui).
Però fa delle belle acrobazie, sul do ut des dell'accrescimento linguistico: loro ci han donato l'invenzione del computer e noi quella della pizza.
Il signor Ottone ha perso un'altra occasione d'oro per non esprimere opinioni nazionali.

Quel che si è perso è realtà popolare, di più basse giustificazioni dell'economia, di più semplice e rasoterra politica, di latitante identità culturale.
Cultura? Quella degli spot pubblicitari, dove anche quarant'anni fa i detersivi avevano il nome in inglese, ma storpiato all'italiana.

Vince davvero l'inglese o semplicemente la pigrizia?
In un SMS dallo slang moderno c'è più Inglese o Ignoranza?
Chi usa una voce come "slang" della riga sopra, lo fa per impatto visivo come nel mio caso, o solo perché è così ignorante da non sapere che in italiano si dice "dialetto"?

Non vedo che tristezza, in chi usa termini come "performante", inventandosi dall'inglese un italiano che esisterebbe già: basta conoscerlo.
Altro che scambio culturale interlingua.
Speriamo che la prossima volta, il signor Piero, guardi meglio gl'italiani, prima di scriverne -- altrimenti avrò altro di cui rattristarmi, leggendolo.

Bloggalismo

Leggo spesso le notizie on-line, quelle dei quotidiani, delle riviste che vendono anche su carta. Ogni tanto li compro su carta, perché sono lontano dal PC, dalla rete, ma anche perché le versioni gratuite hanno comunque qualche limitazione, con articoli più sintetici.

Cosa rende diverso il mio commento su un weblog rispetto ad un articolo di quotidiano?
Beh, è semplice e veloce rispondere che in fondo le mie notizie non hanno pretesa di veridicità, non sono avallate come cronaca ufficiale da una testata giornalistica. Potrei insomma raccontare un sacco di balle, senza essere (troppo) sgridato, nella libertà di fingersi anche idiota, come diceva Woody Allen -- contrapposta allo svantaggio dell'idiota puro, che non può fingersi intelligente.

Ma quanti di noi vanno veramente a fondo negli articoli (in quelli seri), tanto da sapere che non sono mistificazioni, sensazionalismi infondati?

Ah, i weblog come segno del nostro tempo: come per internet in generale, ci sarà sicuramente una pletora di articoli, saggi, tesi universitarie, volantini pubblicitari.
Devo proprio dire che più ne vedo e meno ne sono interessato.
I weblog altrui non li leggo, mi annoiano. Anzi, sarò più gentile: invidio che possano aver scritto qualcosa d'intelligente. Prendete quella delle due affermazioni che desiderate, neppure si escludono.
E gli articoli di giornale?
Qualche volta pure quelli hanno lo stesso potere soporifero.
Per non parlare di quando il giornalista di turno si è studiato la parte, ma nella recita s'impappina, e finisce che al posto di un "precipizio" ci mette un "prepuzio". Con una sola parola o frase, riesce a capitombolare giù per il dirupo letterario non trovato, su una figura retorica ormai di uso comune.
Diffidate dei giornalisti che si occupano di scienza e tecnologia.

Il senso del pulito

Noi diciamo semplicemente neve, mentre la Smilla del libro di Hoeg ne riconosce ben nove tipi, ciascuno col suo nome.

Si deve fare un lavoro complesso, perché ci avvolga, ci prenda i pensieri?
A me capita continuamente che un qualsiasi lavoro "semplice", meccanico se si vuole, apra lo spazio ai pensieri, liberi di non seguire l'attività in corso. Un po' come se fosse vero che mentre quel dieci per cento del cervello seguisse le mani, ed il novanta vagasse libero, in pieno relax.
Assodato che l'uso del dieci per cento del cervello sia una favola, è però bello scoprirsi più capaci, proprio mentre ci si rilassa.

Pulire i pavimenti, pulire i vetri, mi liberava felicemente dai pensieri, questo pomeriggio.
Quelli nuovi (di pensieri), ispirativi, rincorrevano una linea: qual è la misura del pulito?
E' evidentemente una misura impossibilmente oggettiva, con una soggettività culturale, anzi delle subculture, anzi... dei singoli, all'interno di qualsiasi subcultura.

I miei vetri sono puliti? Sono... puliti secondo il mio senso, più puliti rispetto a quelli del mio vicino? ("Io so renderli puliti", appagamento, affermazione del sé)
Sono meno puliti di quelli della mia amica che tiene la casa perfettina? ("Io non so... essere bravo come lei...", senso d'incapacità, inadeguatezza)
Quale trasparenza cerchiamo?

Lou and the city

Se Carrie Bradshaw può raccontarci la sua visione della città, come non potrebbe LouCypher?
Ora il punto è "quale aspetto" possa raccontare Lou, ma anche "di quale città"?

domenica, ottobre 02, 2005

Palazzo d'ingiustizia

Quant'è bella Firenze. Oppure anche no, ma l'apprezzare qualcosa di un luogo, lo rende parte dei propri ricordi piacevoli (quelli spiacevoli per oggi li rimandiamo).

Farsi un un giro notturno, intorno al nuovo quartiere universitario, con tanto di nuovo palazzo di giustizia in costruzione, ci ricorda invece quelle cose sgradevoli di una città che vorremmo dimenticare.
Un tempo ti fermavi ai semafori, giusto a due passi dall'autostrada Firenze nord, e la visione notturna nella zona del mercato ortofrutticolo era duplice. Da un lato sulle luci del mercato, che mi han sempre fatto pensare a scaricatori assonnati, impegnati di notte a costruire la mattina successiva -- quella dei grossisti che comprano le zucchine al ribasso e le rivendono quadruplicando i prezzi.
Dal lato opposto della strada vedevi sempre qualche tossico arrancare.

Ora ci sono nuove visioni d'insieme.
Cinquecento metri prima, l'area ex FIAT, sbrilluccica di luci dei nuovi e colorati palazzi universitari. Le aule sempre ben illuminate, anche in piena notte del weekend, che tanto l'ENEL lamenta scarsi consumi notturni, per cui c'è fortunatamente chi paga.
Cento metri prima dei mercati si erge questa Sagrada Familia, curve e spigoli che sfidano le regole degli appalti pubblici come mai s'è visto finora.
Pure il palazzo di Telecomitalia dirimpetto ci sfigura, con i suoi marmi kitsch, i disegni sghembi dove l'ottusità è evidentemente non ristretta alla geometria degli angoli.
Magari mi sbaglio completamente -- nel senso che i cinquecento metri sono un chilometro, i cento sono cinquecento, e sicuramente tutto il resto è come descritto.

Quello che conforta i naturalisti, gli studiosi delle dinamiche sociali, è che l'impatto ambientale in fondo è stato minimo.
I tossici non li vedo più come vent'anni fa -- forse ci passo meno spesso, forse si sono estinti (improbabile), forse si sono evoluti in nuove specie.
In compenso la fauna migratoria, dalle vesti a taglio ridotto, dedita all'accoppiamento dietro compenso, è cresciuta notevolmente. Abbandonata una prima fase, in cui cresceva intorno alle baracche dei cantieri, adesso è diffusa in modo uniforme nel quartiere.

Wolf è l'enciclopedia dei pensieri seri, ogni tanto me ne rammenta qualcuno.
Tipo quando mi ha fatto notare che qualche anno fa, l'intero paese ha dibattuto focosamente su una nuova legge che stravolgeva tutto quanto riguardasse il meretricio -- o così dicevano sia i propositori che i detrattori.
Devo dare atto a Wolf che a Firenze non è cambiato niente: sia chi aveva predetto grandi passi avanti che chi aveva garantito involuzioni, si è evidentemente sbagliato -- o posso dire che ha preso in giro chi vive tutt'ora nello sfruttamento e gl'italioti?

Quello che ho aggiunto alle riflessioni di Wolf è che il complice più inquietante rimangono i media: quanto vale una "buona notizia"?
Quanto valgono le notizie capaci di far accalorare una nazione per giorni, distogliendola da qualsiasi cosa più seria?

Io e il signor Wolf

Wolf è una frequente presenza dell'Apocalypso, a tratti inquietante, per non dirlo sempre.

Quel che racconta Wolf è spesso incomprensibile, visto il suo modo a-normale di vedere il mondo. Oh beh, si presto a dire "non normale", in fondo Wolf segue il suo senso della normalità.

Ieri sera Wolf ha fatto colpo su una fanciulla, intenta a pagare una qualche sua consumazione alla cassa. La cassiera guardava la ragazza, la ragazza guardava Wolf, questi guardava la ragazza. Un piccoletto guardava con astio la cassiera: era in coda prima della ragazza e nessuno lo notava.
Cenerentola infine si sveglia, realizza la sua ubicazione spazio-temporale, e col suo ditino indice parte dalla propria altezza e punta dritta verso il basso. Deve aver detto qualcosa del tipo "questo gnomo qua sotto è qui da prima di me". Fortuna che esistono ancora i locali rumorosi, così tutto si risolve nella gestualità silente.
Mi limito a fare l'osservatore divertito.