lunedì, aprile 18, 2016

Energica poliarchia

La comunicazione tramite l'internet ha rafforzato e rinsaldato alcune relazioni umane, che soffrivano delle lunghe distanze o della difficoltà nel trovare chi condivide alcune delle proprie passioni. Psicosi incluse, certamente.
Parimenti, la diffusione della conoscenza in ogni ambito si è ampliata. Così come allo stesso modo il dilagare dell'ignoranza ha trovato uno spazio virtualmente infinito, in cui allargarsi.
Direi semplicemente che la comunicazione sempre più facile è divenuta l'amplificatore di qualsiasi interazione umana, in positivo e in negativo.
Se mi soffermo qui a discutere i lati oscuri, è solitamente sia per il fastidio che mi arrecano, sia perché trovo interessante analizzare il comportamento umano. Pensate a qualsiasi comportamento o idea priva di fondamento, di logica, di buonsenso, e improvvisamente qualche social network fa eco ad un gruppo di migliaia e più persone che ne rivendica una certezza di vita.

I numeri, la matematica, per quanto esatti, non fanno mai dubitare chi ha delle certezze. Questo è il primo cardine della limitatezza umana.
Nel referendum popolare che si è chiuso ieri, relativamente alla cancellazione di concessioni di estrazioni di idrocarburi, ho letto una di queste curiose perle di ignoranza popolare. Aldilà infatti di motivi e risultati, anche chi non ha vinto alcunché ha dichiarato vittoria, perché vantava un vantaggio relativo molto alto. Giochiamo per un attimo con i numeri, per capire cosa significano.
Vincere un referendum, considerando la soglia minima di votanti affinché questo sia accettato, può essere veramente una piccola cosa. Se si necessita del 50% + 1 dei voti, su un 50% + 1 dei votanti, con una buona approssimazione si può dire che basta avere in favore il 25% dei votanti, in caso di bassa affluenza, oppure serve fino al 50% in caso di alta affluenza.
In pratica, ad un minor numero di votanti può anche essere più favorevole vincere, dato che la maggior parte dei votanti sarà già propensa ad appoggiare il quesito, e quindi motivata alla consultazione.
Nell'esempio della giornata di ieri, si è ad esempio espresso un 85,2% di pareri positivi, che dato un 31,2% di votanti, risultano in un 26,5% degli aventi diritto al voto. E' altamente probabile che un aumento dei votanti avrebbe potuto portare altri significativi risultati ai contrari al quesito, se si considera che i favorevoli sono stati mobilitati da gruppi con alto livello di comunicazione.
Qualunque speculazione se ne voglia trarre, un dato oggettivo è che il quorum non è stato raggiunto, il referendum è fallito. Quindi è insensato gridare vittoria, quando questa non c'è.

La breve memoria storica poi porta (molti) a dimenticare anche altri esempi passati. Nello scorso 2011, furono proposti dei quesiti referendari diversi, che probabilmente per una più ampia base di interessati, raggiunsero la sufficienza per il quorum, con circa un 54% degli aventi diritto.
Le tematiche sollevate, genericamente sul diritto ad una proprietà pubblica dell'acqua, giunsero a percentuali favorevoli fin oltre il 95%, risultando quindi oltre il 51% degli aventi diritto. In questo caso la vittoria era palese, qualsiasi voto in più non avrebbe cambiato questo risultato.
Nei giorni successivi al referendum però avvennero una serie di eventi politici volti ad annullare il risultato referendario, uno di questi dell'allora governo in carica, poi annullato dalla Corte Costituzionale, ma anche a livello regionale furono messi in atto una serie di interventi in questo senso. Ad esempio l'attuale Presidente del Consiglio, all'epoca presidente dall'azienda territoriale Toscana, riorganizzò la struttura in modo che il referendum non fosse applicabile, e tutto rimanesse sotto controllo privato.


La dimostrazione principale resta quindi quella che i referendum trovano applicazione solo dove gli interessi economici e politici non creano sufficiente contrasto.
Torno sempre a ripeterlo, ma in fondo la democrazia è solo una moderna forma di poliarchia, dove si è convinta la popolazione di poter sempre decidere del futuro.

Davvero i promotori del referendum recente credevano che chiudere gli impianti di estrazione di petrolio e metano avrebbe cambiato lo scenario energetico?
Perché da un lato c'era chi sosteneva la chiusura per la scarsa importanza sul piano strategico (una quota ridotta d'energia derivante), dall'altro chi prometteva un cambiamento fondamentale verso le rinnovabili (incomprensibile, se la quota non era strategica). Dal mio modesto punto di vista, qualunque fosse la condizione, nessuno avrebbe garantito che non avremmo usato gli stessi idrocarburi, però importandoli da altre nazioni, con altri costi.
Davvero c'è chi crede che per cambiare la gestione energetica si debbano fare scelte talebane chiudendo i rubinetti del gas? Tutti dovremmo convertire la caldaia a gas per acqua calda e riscaldamento? E tramite quale altra fontedovremmo scaldarci? Certo non con la legna, come crede qualche ingenuo (che dimentica come questo materiale naturale produca più inquinanti del metano).