venerdì, novembre 18, 2005

Free as in freedom

Con queste parole esordisce un motto di Richard M. Stallman, acclamato sostenitore del software libero, come lo definiscono lui e i suoi proseliti.
Per chi abbia mai letto le licenze che applica a quel che definisce libero, o peggio letto interviste fatte a lui di persona, non può apparire molto diverso da tanti altri predicatori televisivi americani.
Sì, quelli che ti dicono di essere libero grazie a qualche dio, che quindi devi adorare in ringraziamento, per averti reso libero -- di essere suo schiavo.

Così si sviluppa la licenza di usare il software libero.
Sì, libero, ma solo di fare quello che c'è scritto. Pare un rigurgito nel ventunesimo secolo degli hippies anni '60, liberi di essere schiavi degli allucinogeni.

Prima dimostrazione dell'incongruenza: la licenza GPL, di cui tanti si vantano sostenitori, ha dovuto in primis permettere l'esistenza di una licenza LGPL. Insomma la prima viene decretata per "software libero", ma sfortunatamente è solo una proposizione fittizia.
Quella che definirei più propriamente demagogia.
In fondo la gente non ha bisogno di libertà, ha bisogno di sentirsi dire che è libera. Questo ripaga più del peso di qualsiasi libertà.

Non avrai altro licenza oltre me stessa, questo propone, senza mezzi termini, la GPL.
Ricalca fedelmente l'arroganza religiosa di una nota divinità, osannata qui in Italia, ma mai idolatrata quanto nel paese dell'estremismo religioso. Che non a caso genera fenomenologie non assoggettabili ad esegesi, quale il software di Stallman.
O quello di Larry Wall, altro apostata del software, che descrive il suo software (ormai d'uso mondiale) in dei manualetti che nominano i capitoli come scritti biblici.
Dietro al nuovo, c'è molto vecchio. Pare la storia infinita di una nazione nata nel terrore e nell'odio, da esuli eretici, che per consolidare la propria posizione di prediletti da dio hanno prima sterminato gli indigeni, e poi alzato il dito al cielo. "Lui, con noi".

Pare un salto grande, un'iperbole inutile. Ma basta fermarsi a vedere quali sono le "ragioni" che adduce alle proprie scelte.
Le rappresentazioni iconoclaste del software commerciale, appaiate alle santificazioni dei nuovi profeti. Piccoli personaggi come Linus Torvalds, democraticamente eletto dittatore benevolo del mondo nuovo.
Senza che siano diversi dal classico William Gates, se si tralasciano i soldi. Certo i soldi sono tanti, ma del resto c'è sempre chi vuole raccontarci che siano insignificanti.
Così, ironicamente, i due personaggi non sono troppo dissimili. Dittatori di due mondi diversi, visionari completamente sconnessi dal mondo reale -- basta leggersi una qualsiasi intervista a Gates di qualche anno fa, oppure le direttive di Torvalds su come si scrive il software, dove bolla come "eretici" coloro che non seguono il suo metodo.

False as in freedom. Mi sembra più adeguato.

Perché non adottare una licenza come quella BSD, per il software libero?
Forse perché la libertà sarebbe stata vera. E come in ogni epoca, la libertà deve essere concessa solo come speranza, oppure come promessa. Basta vedere quel che è successo di tutti i paesi dichiaratisi socialisti o comunisti: perlomeno le nazioni di stampo fascista hanno sempre mantenuto i loro principi in modo coerente, basandosi su repressione e violenza, puntualmente attuate.

Una delle fortune di essere ateo è di non doversi schierare né con dio né col diavolo.
E distinguerli, nel mondo del software, è sempre un sottile filosofeggiare, come in ogni religione che si dica tale.

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