mercoledì, dicembre 27, 2006

Buon Natale


Sì, è vero, il Natale se n'è andato già, ma per chi è contrario alla sua celebrazione consumistica (come lo sono io), si può dire in ogni occasione. Oppure no?
Leggevo qualche settimana prima della festività di varie polemiche, sulle modalità di manifestare l'evento. Principalmente in alcune scuole primarie, dove qualcuno aveva suggerito di non far cantare ai bambini le canzoncine tipiche, affinché non fossero sgradite ai piccoli di religione non cristiana.
A ben vedere non c'era niente di cui preoccuparsi: cosa c'è di religioso, ormai, nelle celebrazioni natalizie?
Il centro della festa è tutto pagano, dalla simbologia del Babbo Natale, ai doni, finanche alle decorazioni. Talmente consumistico da far dimenticare qualsiasi origine religiosa della festa, per chi non frequenta i luoghi di culto che la sostengono.
Quindi buon natale a tutti voi, così come buon anno. In fondo anche l'anno nuovo ha come principale distinzione solo il cambio di numero all'unità di misura temporale più grande, fra quelle percepite dalla maggior parte di noi. Collegarci una festività è nuovamente pagano, possiamo goderne tutti come semplice occasione di festa.
E come auguriamo buon anno, auguriamo anche il buon giorno, ogni giorno: sembra proprio che certi passaggi temporali, che consideriamo notevoli, siano delle vere feste -- inclusi compleanni e anniversari.
Qualunque sia il vostro evento, non posso far altro che augurarvi che sia accompagnato da qualcosa di buono.

venerdì, dicembre 22, 2006

Finanza inquieta

Ho appreso che è stata approvata la legge finanziaria, tanto contestata e finora tanto confusa.
Non mi occupo molto di economia e di finanza, sono settori che non comprendo granché. Certo non mi passano inosservate certe notizie, come quella data da un giornale televisivo qualche giorno fa, dove si citava che in Italia ci sono solo 56mila persone a denunciare un reddito superiore ai 200mila Euro annui. Viene un po' difficile crederlo, visti alcuni beni di lusso in notevole crescita, come certi autoveicoli.

Quel che mi chiedo, con molta curiosità, è come accada che io, non esperto dei temi che riguardano il denaro, riesca facilmente a capire un concetto che ai più pare assurdo. Il concetto che uno Stato, per funzionare, necessiti di denaro per le funzioni pubbliche. Ma anche il concetto che l'economia del Paese debba essere mantenuta al passo con gli altri paesi europei.
Questo punto sembra suonare decisamente stonato alla maggioranza degli italiani. Infatti vogliono sentirsi dire che le tasse vengono abbassate, anche quando non è possibile. Preferiscono infatti veder calare di qualche punto percentuale le tasse e le imposte, senza considerare che l'indebitamento pubblico produrrà altri effetti a catena.
E' ampiamente dimostrato ad esempio, che l'enorme balzo dei prezzi all'avvento dell'Euro ha funzionato alla perfezione: non era una tassa, non era un'imposta, ma qualcosa che nessuno poteva definire, così pian piano è stato accettato. E' stato accettato che la scusa dell'Euro arricchisse tutti i commercianti e professionisti disonesti, perché si poteva ricondurre tutto a qualcosa di vago ("E' aumentato tutto a causa dell'Euro..."). Chissà se vale la pena di aggiungere poi che niente del genere è successo negli altri paesi europei.
Le tasse invece hanno un'origine più precisa, definita. Perfino i politici cercano in ogni modo di spiegarle, con acrobazie ridicole.
In buona sostanza, se supponessimo di aumentare dello 0.1% le tasse, di chi guadagna oltre 200mila Euro, avrebbe effetti socialmente più sconvolgenti che aumentare del 1% il costo del pane.
Perché la tassazione è vista come solo prelievo di denaro, di cui nessuno spiega l'investimento. E anche se non devi pagarli tu quei soldi, spunta subito chi t'insinua il dubbio: e quello basta.

Tempo fa dicevo che il politico che dovesse davvero dire che c'è da risanare l'economia dello Stato, che servono soldi per ridurre il debito pubblico, non verrebbe mai votato.
Ed è altrettanto sicuro che ad oggi ben pochi elettori del Governo in carica siano convinti della loro scelta. Perché se il precedente aveva raccontato le favole di centro-destra, erano sicuri che l'attuale avrebbe raccontato le favole di centro-sinistra, senza che mai si dovessero affrontare i fatti sull'economia reale.
E' stato un esempio chiaro quello di un'intervista che ho visto in televisione, a dei manifestanti dell'opposizione al Governo, durante le proteste di piazza contro la legge finanziaria. Una ragazza giovanissima, su domanda, ha chiarito benissimo il concetto: "No, non ho un lavoro adesso [come non ce l'avevo durante il Governo precedente], ma Berlusconi sapeva farci sognare, invece con Prodi non è così". Non importa in fondo chi governa o cosa ottiene, ma che sappia far sognare il mondo migliore.
Con questo non sono automaticamente benevolo nei confronti dell'esecutivo in carica. Devo però osservare un fatto reale: i debiti dello Stato ci sono, qualcuno li deve pagare. E non credo proprio che li pagherà qualche nazione straniera, come accade per gli stati imperialisti.
C'è poi un fatto pratico per cui non posso esprimermi in dettaglio: finora nessuno aveva ancora capito bene quali fossero tutte le misure di questa legge finanziaria, neppure chi la stava formulando. Tutti però avevano chiaro che sarebbe costata dei soldi, in tasse, imposte, balzelli. Nessun giornalista s'è preso la briga di chiedere, fra la gente che si opponeva, quali fossero i provvedimenti precisi che contestavano.
Che fosse per il bollo auto rincarato? Qualcuno magari pagherà 4-500 Euro in più di bollo all'anno è vero. Per un'automobile che ha un prezzo di mercato di oltre 200mila Euro, non è difficile. E tale automobile consuma almeno 20-25 litri di benzina per 100 km, come dire che il rincaro del bollo equivale a 1200 km di benzina (senza costare assicurazione, manutenzione). Praticamente una goccia nel mare, per un veicolo tanto costoso da acquistare e manutenere.

L'unica cosa che mi è chiara, per ora, è che si stia scatenando un gran polverone. I risultati di questa legge finanziaria saranno probabilmente chiari verso la fine del prossimo anno, ma per allora ci saranno altre bufere a confonderli.

lunedì, dicembre 11, 2006

L'arte della guerra

Vorrei mettere per un attimo da parte il significato primario di guerra, intesa come lotta in senso fisico, per approfondire altri tipi di guerra.
Chi ha letto Sun Tzi (o come ci hanno erroneamente abituati i testi anglofoni, Sun Tzu) sa bene che la strategia è importante, la filosofia del guerreggiare è fondamentale per chi vuole giungere a degli obbiettivi.
In quell'ottica è importante anche saper dare ordini adeguati, ad ogni livello della catena di comando. Mentre gli alti ufficiali vengono edotti su maggiori dettagli, per le schiere più basse servono ordini semplici, che non si prestino a troppe interpretazioni.

E l'arte della guerra deve essere stata rispolverata in qualche incontro cruciale del signor Joseph Alois Ratzinger, Capo di Stato di una piccola sovranità europea.
Non avevo ancora l'immagine chiara (probabilmente perché non sono uno stratega) fino a qualche giorno fa, quando in una frase detta da questo signore stavo per cadere in una banale trappola linguistica.
La facile trappola era quella degli opposti, in cui il Ratzinger citava qualcosa di contraddittorio in termini. Citando infatti che a suo dire la laicità deve avere simboli religiosi, faceva pensare a un principio di demenza senile, mentre l'intenzionalità era espressione di notevole acutezza ed arguzia.

Ma partiamo da qualcosa di più lontano nel tempo.
Nel suo contestato (ma anche molto acclamato) discorso di Ratisbona inserì qualche accenno che agitò il mondo islamico, con frasi forti sulla religione musulmana e i suoi simboli. Apparentemente sembrava solo una caduta di stile, una frase sfuggita.
In questa sembra di nuovo scagliarsi in qualcosa che poi ridimensionerà. E se guardiamo bene, le sue incursioni si stanno facendo più frequenti. Sta perseguendo uno scopo ben chiaro, con un disegno preciso, fatto a tavolino.
Sta saggiando il potere del nemico, tramite l'arma della democrazia -- o dell'approssimazione più nota della democrazia, come preferisco dire, con un senso logico.

Disturbalo con azioni improvvise, spingilo a muoversi e studia il tipo di azione che adotta per fronteggiarti. Intanto, tieni a riposo il grosso delle truppe.
Sun Tzi, L'arte della guerra


Cosa permette a tante organizzazioni di malintenzionati di sopravvivere facilmente? Il senso di democrazia, che ci costringe a lasciare a tutti più spazio possibile per esprimersi.
Negli stati autoritario, soprattutto dove non esiste la suddivisione fra religione e politica, come Iran, Stati Uniti d'America, Città del Vaticano, è invece ben difficile proporre modelli alternativi.
Non solo i modelli alternativi sono avversi al potere consolidato, ma il legame fra politica e religione fa sì che la contrarietà al governo divenga automaticamente offesa alla fede.
Il signor Ratzinger ha quindi dei problemi di base, come la decadenza del potere che rappresenta, di fronte alle evoluzioni sociali (sia negative che positive) e necessita quindi di armi per contenerne gli effetti.
Fatto un elenco dei punti caldi su cui intervenire si passa quindi all'azione: le altre religioni di grande diffusione, la dignità del vivere che non necessita di scelte religiose, sono fra i principali destabilizzatori.
Del resto perché non sfruttare le armi del nemico stesso? E' quindi da saggiare la democrazia, con piccoli e precisi attacchi.
La forma che vince i molti, non appare ai molti. Dopo la vittoria, la mia forma sarà palese a tutti. Prima della vittoria, nessuno sa la forma che impiegherò.

Chi è il destinatario dei messaggi?
La truppa, quella che deve avere ordini semplici, del tipo "attacca questo nemico, attaccalo perché ti vuole uccidere, sopprimere".
Ecco chiarito a cosa serve la proposta della "laicità con simboli religiosi". E' il chiaro messaggio per i fedeli, a cui dice di accettare i laici, ma solo se sono religiosi: in questo modo non dice di negare la laicità, ma di accettarla in forma inesistente. Immagino che il prossimo passo sarà di dichiarare brave persone tutti gli atei che vanno in chiesa a pregare.

Ricorda, la guerra si fonda sull’inganno. Il movimento si fonda sui vantaggi che ne vuoi conseguire. La divisione e riunione delle tue truppe si fonda sulla situazione che vuoi determinare.


Va quindi tutta la mia stima al signor Ratzinger, per la sua capacità tecnica e strategica, per la brillante e ingegnosa campagna di guerra che sta muovendo. Sono infatti sicuro che sia una delle mosse migliori, rischiosa, ma ponderata.
Sui risultati che otterrà non sono però tanto sicuro. In primis per la complessità dello scenario, dove il rischio di tirare troppo la corda è piuttosto alto. Ma in fondo, un bravo condottiero deve avere anche un pizzico di follia e molta spregiudicatezza.

Al contrario, per la sua posizione a capo di una confessione religiosa, ha semplicemente il mio disgusto. Ma non per quello che posso pensare io delle confessioni religiose, visto che non le condivido. Per questo non diventano però nemici da sconfiggere, come ne vede egli nella laicità. Ad esempio, dal poco che ne conosco, provo stima per il Dalai Lama, sia per il suo impegno sociale, umano, che per il modo corretto di tenere la religione lontano dai governi.
Il disgusto è per la palese incoerenza del Ratzinger verso i propositi di tolleranza ed eguaglianza della religione cristiana, che sa citare solo in frasi ad hoc, mentre nel contesto generale è nettamente per l'intolleranza e la discriminazione.
Il disgusto è per l'arroganza, la violenza con cui agisce per porre in esclusiva i suoi simboli religiosi, che ormai hanno la stessa valenza dei cartelloni pubblicitari su una tangenziale. Solo che lui vuole l'esclusiva per tutta Italia, e ben pochi hanno di che obbiettare.

mercoledì, dicembre 06, 2006

Patemi

Mentre la tradizione anglosassone poggia sul tacchino, per il giorno del ringraziamento, mi veniva da pensare che nel mondo ebraico ha una sua rilevanza l'oca, comunque la si cucini.
Volatili a parte, il riferimento alle ricette yiddish mi è sovvenuto durante la visione di un breve programma televisivo, di soli dieci minuti, trasmesso a seguire il telegiornale serale di Rai Due.

I dieci minuti, il breve tempo, ha fatto vincere la mia curiosità sull'argomento (il fenomeno tangentopoli, di una quindicina d'anni fa). Altrimenti l'avrebbe avuta facilmente vinta il fastidio di sentir parlare la signora Stefania Craxi, figlia del più noto Bettino Craxi.
L'altro ospite in intervista era il signor Primo Greganti, personaggio dello scandalo sul finanziamento illegale ai partiti, condannato a tre anni di prigionia, che pare aver scontato.
Quello che sta cercando di fare da anni la signora Craxi è di propagandare, post mortem, il messaggio ben chiaro del padre. Riconosciuto colpevole di aver intascato soldi illeciti, condannato in contumacia, era appunto fuggito in Tunisia, per non scontare la pena. Con un assunto chiaro, quanto scostumato.
Il signor Bettino Craxi infatti disse che sì, aveva avuto soldi illegali, ma che tutti lo facevano: per questo motivo chiedeva appunto che lui non dovesse scontare nessuna pena.
Suonava un po' come un ladro, che colto in flagranza di reato non si nasconde, ma denuncia che il mondo è pieno di ladri, per cui non vede perché se la prendano proprio con lui.

La signora Craxi pone poi sempre un accento ammonitorio sulle grandi gesta del padre, come statista. Sinceramente non ho nessuna difficoltà ad accettare che ne avesse le doti, come posso trovare possibile che ne avessero anche Nixon, Stalin, Mussolini e anche Hitler, infatti credo che nessuno ricordi questi personaggi come negativi per essere stati grandi statisti, quanto per altro.
E il signor Bettino Craxi non fu condannato in quanto statista, ma come ladro e reo confesso.
E il predetto Primo Greganti? Sinceramente non ricordo molto di lui: ha scontato la sua pena? Bene, è giusto che sia così.
Ha fatto un'annotazione doverosa, il Greganti, a fine intervista, quando ormai i secondi volgevano al termine: Bettino Craxi, per sua ammissione, disse di aver ricevuto 50 miliardi di lire sotto forma illecita, per il suo partito. Nessuno può dire che fosse una calunnia.
Se il patè di fegato d'oca è l'unica forma in cui avete visto il fegato, vi siete persi il modo di vederlo al naturale: negli ultimi secondi di trasmissione televisiva era ben visibile, impigliato nei denti della signora Craxi.

venerdì, dicembre 01, 2006

Gioie e piaceri della corruzione

Quando penso a un corruttore generico, ma diciamo di una certa notorietà, mi è sempre facile collegarlo a un paio di esiti. Il primo, il più naturale, è che sia condannato per il reato commesso e ne sconti la pena. Il secondo, a cui non siamo nuovi, è che sia al tempo stesso corruttore e persona di forte potere, tanto da spadroneggiare ed infischiarsene. In questa seconda categoria ci vedo molti dei piccoli o grandi dittatori che popolano o hanno popolato il pianeta.

In realtà questa mia duplice immagine, due casi netti, in cui la giustizia vince o viene sconfitta, è fondamentalmente sbagliata.
Primo perché esistono le sfumature, le sfaccettature, poche cose sono sempre così facili da far stare in due categorie. L'aritmetica binaria dei calcolatori non è la descrizione matematica del vivere.
Un secondo motivo, per cui sbaglio facilmente, è perché tendo a dimenticare di vivere in Italia.

In questa Italia scrivevo alcuni mesi fa di un signore che sceglieva appunto la via di mezzo.
Ed ha perseguito la sua strada con notevole successo. Ad oggi è riuscito infatti a far ribaltare un intero processo a suo carico (e a carico degli altri coinvolti) e non perché fosse innocente.
Ha provato anche quella strada, certo, continuando a dichiararsi innocente con una caparbietà notevole, mentre gli sfilavano davanti i documenti sui suoi traffici illeciti. Ha provato anche a dire che si trattava di mezzo miliardo di Lire che aveva sottratto al fisco, come se fosse una cosa più edificante.
Ma ora, finalmente, dopo mesi chiuso in casa, con solo un paio d'ore al giorno per uscire, con tanto di scorta, potrà smettere di fare la vita di un ricco boss del narcotraffico sudamericano. Il processo è riuscito a farlo annullare perché il tribunale non era quello della città giusta. E sicuramente non uscirà solo così, ma in modo trionfalistico, come chi viene dichiarato innocente -- fatto che, preme di sottolineare, non è avvenuto.
Trovo che sia una vera incoerenza: se gl'italiani sono privi del minimo senso del decoro, ed è accertato, perché hanno lasciato che un corruttore così potente ci mettesse tanto tempo ad essere libero? Non era meglio che lo decidesse un televoto su qualcuno dei canali Mediaset?

Sarcasmo a parte, credo proprio che non esista più niente in grado d'indignare questo popolo.
E se un popolo merita di vedere rispettati i propri valori, è molto chiara l'immagine di quel che meritano gl'italiani.

lunedì, novembre 27, 2006

Timori inconsci

Quello che non conosciamo può diventare paura e angoscia, quando cresce in una portata superiore alla nostra emozionalità. Le dimensioni di questi fenomeni non sono però una misura diretta degli effetti.
Nel caso delle recenti violenze, filmate da giovanissimi con dei telefoni cellulari, e pubblicate come video in Internet, il fenomeno si è avuto su più livelli. Il livello del singolo caso di violenza ha provocato indignazione, a seguire la quale è sicuramente scattata una caccia al prossimo caso. E questo tipo di cacce non partono partono per eradicare una distorsione sociale, ma come solito per puro intrattenimento giornalistico, come notizia del momento.
La violenza quotidiana ormai rischia di creare assuefazione, così si cerca un singolo caso da esaltare, per riempirne pagine di giornali e bocche di politici.
Siamo fatti così, un fatto vero non ci sembra tale finché non viene raccontato, in modo esasperato, da qualcuno addetto all'informazione.

E sull'onda di questi fenomeni si creano situazioni paradossali, fino al ridicolo.
Il fatto all'origine era relativo ad un preoccupante fenomeno di violenza giovanile, filmato in una scuola. I responsabili sono stati individuati e mi augurerei si procedesse verso una condanna esemplare.
Eppure so che non sarà così, ma per spiegarlo è necessario partire da qualcosa che (apparentemente) non c'entra niente.
Si dice che i responsabili di Google Italia, l'azienda proprietaria del servizio tramite il quale era stato immesso in rete il video, verranno addirittura incriminati. Questo nonostante che il video fosse stato rimosso non appena divenuto di dominio pubblico.
Addirittura si sono scomodati dei politici in cerca di visibilità, come il signor Giuseppe Fioroni e la signora Maria Burani Procaccini, che hanno tuonato sull'arrivo di nuove encicliche. La seconda ha addirittura parlato di vuoto normativo.
Non sono riusciti a trattenersi, dovevano dir qualcosa, a sostegno della massa più ignorante e consistente della popolazione, che vede la sola parola "Internet" come immagine demoniaca. Una massa di persone che non leggerà sicuramente il documento di ALCEI, dove con poche parole si ricordano piccoli e importanti fatti.
Il primo fatto è che le norme esistono, partono da una direttiva europea e sono riassunte in un decreto legislativo italiano. Solo che quelle norme non obbligano i fornitori di servizi Internet al controllo dei contenuti, per l'evidente impossibilità della cosa -- evidente per chi ha idea di quante informazioni transitino in Internet quotidianamente, ma forse non tanto per i signori suddetti.
Il secondo fatto è che questi minori, fonte e vittime di violenze, sono spesso abbandonati completamente a se stessi dai genitori, che per altre norme, assai più antiche, dovrebbero farsi carico di crescerli ed educarli.

Come mai non ci sarà un epilogo che sia di monito ed educazione?
Perché riconoscere la piena colpevolezza di questi giovani porterebbe anche altro, come la dimostrazione che i genitori hanno clamorosamente fallito. E allora rispunterà l'onnipresente pietismo, ci racconteranno che "non si rendevano conto" dei loro atti, e visto che siamo in periodo natalizio sarà ancora più facile perdonarli. Sicuramente molto più facile che educarli al rispetto.
E in fondo è molto più facile accendere il rogo di Internet, che spegnere i falò della dignità, visto che sono stati appiccati dai comportamenti socialmente accettati. Essere poco più che adolescenti, possedere un telefono cellulare evoluto, non è solo socialmente accettato, ma richiesto. Il prodotto ultimo della violenza, della prepotenza, finisce per essere la somma di tutte le richieste opprimenti che il gruppo fa ai giovani. Devono essere alla moda, devono avere dei simboli che li dichiarino inseriti nel tessuto sociale. L'arroganza è scambiata per intraprendenza, la schizofrenia per vivacità, l'intelligenza e la capacità di riflessione per noiosità.
Quello che mi è spesso difficile capire è il confine comunemente accettato, fra le deviazioni comportamentali considerate la normalità delle persone, e quelle che sconvolgono l'opinione pubblica. Anche perché probabilmente il confine è solo illusorio.

venerdì, novembre 24, 2006

Grandi rivelazioni

Una citazione in breve, fra virgolette, di Punto Informatico, riporta quest'oggi la frase seguente
Blog?
"è il reality show dei miserabili. Milioni di persone mettono in linea la loro piatta vita che non interessa a nessuno. Siamo passati dall'esibizionismo in TV a quello su Internet"
(Pascal Lardellier, sociologo, docente dell'Università di Digione)
C'è da dire che in effetti ha un lato piuttosto sensato, seppure io non sia un lettore di weblog altrui.
Così come c'è da obbiettare che la critica mossa, fortemente impietosa, tenda ad essere sterile. Non considera infatti il motivo che spinge a compilare questi weblog. Eppure viene da pensare che qualcuno che si cataloga come sociologo, debba anche interrogarsi sul perché dei comportamenti sociali. Chiarifica tutto però l'appellativo successivo, di docente universitario: rende chiaro come possa essere caduto nel facile tranello di alcuni insegnanti, spesso di livello molto elevato, che non necessitano più di altre spiegazioni dal vivere, in quanto suppongono esclusivamente di darne loro.

Seppure io sia sostanzialmente d'accordo con la critica, verso la comunicazione vuota, sono quindi del tutto contrario alle motivazioni e modalità con cui viene mossa.
Se qualcuno necessita di scrivere o parlare di sé, per quanto sia una persona insulsa e noiosa, è evidente che sente un bisogno altrimenti inappagato. Questa comunicazione è quindi liberatoria, persino se non viene letta da altri. In questo differisce molto dai reality show citati dal signor Lardellier, perché in quel caso il soggetto non cerca liberazione nella comunicazione, ma sicura notorietà garantita dal tipo di spettacolo.
Probabilmente alcuni redattori di weblog cercano anche un modo di rendersi noti al mondo, cercano di stupire o di rendersi interessanti, ma rimangono comunque legati ad un successo incerto. Tutto questo è decisamente all'opposto del programma televisivo in cui si è protagonisti.
Se il signor Lardellier sapesse tutto questo allora non sarebbe un sociologo, ma piuttosto un fine psicologo, che s'interroga sul mondo, anziché interpretare questa sorta di voyeurismo frustrato.

Quello che il signor Lardellier ha raggiunto è però notevole. E' riuscito infatti a parlare di due fenomeni sociali già molto diffusi (una forma di comunicazione in Internet e i reality show), metterli in relazione fra loro con un concetto scontato, e infine ad apporre il suo nome come sigillo.
In breve ha raggiunto la notorietà che gli avrebbero negato in un reality show, è apparso in Internet come tanti altri che non hanno un'opinione di valore, e si è ritagliato il suo merito all'inutilità accademica. Complimenti.
Com'è che dicono i francesi, idiot savant?

giovedì, novembre 23, 2006

Marmaglie

Si sentono sempre più citati, nell'ultimo periodo, gli atti di prepotenza e di violenza nelle scuole.
Il primo complice della denuncia è il telefono cellulare, l'oggetto tecnologico passato da strumento di comunicazione a simbolo di stato, per finire come strumento di puro uso compulsivo.
Sottolineato il fatto che sono sempre stato contrario alla morale perbenista, resta comunque un fastidio nel vedere che il senso di rispetto degli altri è sempre più sottile. Mentre ci dotiamo di leggi per la riservatezza (che subito viene nominata come privacy, tanto per sottolineare l'incapacità di esprimersi), mentre si rinforzano i bastioni dell'impero dei diritti di copia (altrimenti detti copyright), cresce imperterrita la rivolta.
La rete Internet ha dato un impulso alla comunicazione, ma non solo in modo positivo. Sono state trasposte qui le necessità di libera comunicazione, che altrove non trovavano un mezzo. E' evidente che non siano tutte necessità lecite, non tutte sono solo espressione di diritto personale, ma alcune forzano il desiderio di oppressione degli altri.

Parlando qualche giorno fa con Loli, facevo una riflessione che ho trovato molto importante, sulle cosiddette nuove generazioni.
In ogni momento storico ci sono nuove generazioni, e in qualche modo si trovano sempre a vedere le cose diversamente, rispetto alle vecchie generazioni. Questo è accaduto inevitabilmente anche a me, molti anni fa. Ciò che faccio, continuando a pensare e a scrivere, è poi l'espressione di un desiderio: quello di non smettere di avere nuove visioni, di cercare sempre un angolazione diversa da cui vedere il mondo.
La riflessione era in poche parole il fatto, incontrovertibile, che le nuove generazioni sono un prodotto delle vecchie. E non parlo solo di prodotto biologico, come la discendenza, ma di ogni possibile implicazione. Ne faccio un esempio.
Le generazioni nate negli anni '40 del secolo scorso sono state condizionate dai precedenti di guerra, di povertà, di autorità, da tutta una serie di condizioni storiche e sociali; nel momento in cui hanno avuto figli, diciamo negli anni '60, cos'è successo?
L'Italia del boom economico era ben diversa, si sono creati modi di vivere diversi, c'è stato un rilassamento dalle posizioni austere, sono cresciuti diversamente. E la generazione del ventennio successivo, diciamo dagli anni '80?
I giovani che oggi hanno superato la pubertà, con tutti i loro atti di prepotenza, di disinteresse degli altri (ma anche di sé), non sono in fondo atterrati con un disco volante: sono l'esatto prodotto di chi li ha fatti nascere e crescere, lo specchio dei timori, delle insicurezze, delle incapacità, dei loro genitori. I quali, da genitori, hanno in qualche modo tentato di fare tutto per i figli (nel caso delle ansie protettive) oppure di lasciarli liberi (nel caso di ansie da oppressione genitoriale). Quello che non hanno fatto, che non hanno saputo fare, è di trattarli come figli.
Ieri sera ho sentito per l'appunto uno scorcio di un dialogo in televisione, in cui qualcuno esperto di psicopatologie come l'anoressia ha espresso, molto saggiamente, un concetto semplice ed efficace: "i genitori di oggi cercano di vivere con i figli come se fossero amici, mentre invece dovrebbero semplicemente trattarli come figli."

Da cosa deriva questo deficit?
Trovo molto probabile che sia uno strascico del progenitore nato negli anni '40, che ha cercato di perpetuare un mondo che ormai non esisteva più, con un figlio negli anni '60 che ormai s'imponeva. Insomma, la tradizione educativa sta progressivamente degenerando, e non perché sia corretta quella tutta autoritaria, ma neppure perché sia giusta quella completamente liberale: nel rapporto genitori-figli deve sempre esserci un bilanciamento delle due cose.
In un'intervista, un addestratore di cani, citava come fosse difficile, se non impossibile, educare un cane, per chi non è riuscito a educare i propri figli.

Viviamo ormai di un estremismo sempre più marcato. I figli sono facilmente malmenati oppure lasciati totalmente allo sbando, con poche vie di mezzo.
I mezzi di comunicazione ci aiutano poi a vedere il mondo in questi estremi: a che serve parlare delle famiglie che vivono bene senza essere ricche, che hanno figli educati senza il bastone, che hanno una dignità?
La notizia è nelle violenze familiari, in quelle scolastiche, nella cronaca nera. Il buon vivere non fa notizia.

Fuori i telefoni cellulari dalle scuole? Sì, sicuramente. Non serve un esperto a dimostrare la capacità di distrazione di certi mezzi, in un ambiente dove invece si deve imparare la propria capacità di concentrazione.
Ma attenzione nel legiferare, attenzione al controllare. Le parole che ho letto in una citazione del signor Giuseppe Fioroni, nella sua veste di Ministro della Pubblica Istruzione, mi hanno fatto rabbrividire. Il signor Fioroni infatti si auspica che l'immissione in rete Internet di contenuti sgradevoli venga proibito e sanzionato, a livello statale. La mia preoccupazione è per quello che potrà divenire sgradevole, secondo la legge.

Mi sovvengono così tante implicazioni, sulla libertà d'espressione, sui diritti umani, sull'educazione, che mi chiedo se ci sarà mai qualcuno in grado di collegarle fra loro. Qualcuno con la volontà di farlo, senza forzare moralismi.
Spesso comprendo pienamente lo sconforto del signor Benito Mussolini, che dopo aver comandato una sanguinosa dittatura, con tutti gli orrori di cui si è macchiò, finì per dire: "Governare gli italiani non è impossibile, è inutile".

venerdì, novembre 17, 2006

Illusioni eretiche


Ieri sera, mentre stavo cenando assai tardi, mi sono intrattenuto vedendo se qualche trasmissione televisiva avesse contenuti interessanti o almeno divertenti.
Nell'alternativa fra programmazioni ritrite, spazzatura e show sull'Italia che va male (con la conclusione sempre ripetuta che dobbiamo tenercela così), sono finito su La7, che mandava in onda delle considerazioni sui miracoli di Gesù Cristo.
Il signor Valerio Massimo Manfredi, noto romanziere interessato ai fatti di storia antica, conduceva il programma, che appariva come un collage d'interviste a personaggi sul campo.
Hanno quindi intervistato storici, illusionisti, psicologi, per capire (a loro dire) se ci fossero possibilità che i miracoli operati da Gesù fossero semplici illusioni, manipolazioni delle folle, e comunque quali altri collegamenti storici e religiosi vi fossero implicati.
Tutto l'insieme era corredato da immagini filmate di una rappresentazione dei fatti narrati, con un Gesù dai tratti somatici di un nord europeo moderno, come ci piace crederlo, mettendo da parte come prima scienza l'antropologia.
Eppure la conduzione e l'esposizione erano di taglio saggistico, per dimostrare che avevano scomodato i migliori esperti, e che tutti loro concordavano. Perché per realizzare un documento politicamente corretto nei confronti delle religioni, non c'è alternativa che ripetere pedissequamente quello che riportano i testi sacri. Va riconosciuto che gli articoli prodotti erano sicuramente gradevoli per ogni religione dell'area medio orientale ed occidentale, quali le religioni cristiana, ebraica ed islamica.
Insomma un interessante strumento di smussatura degli spigoli vivi fra le varie religioni, di questi tempi.

Scientificamente poi era tutta un'altra storia. E non è colpa mia.
Voglio dire che non sono io ad aver dato un taglio storico e scientifico alle vicende narrate, ma visto che l'hanno fatto loro, mi pare lecito valutarlo: questo è il metodo scientifico.
Va da sé che pure da ateo, non ho ovviamente alcuna difficoltà ad accettare la possibile esistenza nel passato del personaggio Gesù, così come la sua predicazione, i fedeli e le implicazioni sociali e religiose. Mi sembrano tutte perfettamente naturali.

La falla del ragionamento del Manfredi, e dei suoi collaboratori, è una sola, ma fondamentale -- pure mettendo da parte le tristi considerazioni antropologiche di prima.
Le riprove che hanno eseguito, con l'intervento d'illusionisti e maghi (quelli reali, che operano magie come illusione) partivano tutte da un assunto corretto nel senso religioso, ma totalmente falso nel senso scientifico: la considerazione era che tutto quanto è narrato nelle scritture antiche sia vero alla lettera.
E dire che oggi, in epoca moderna, basta seguire una finzione televisiva, come certe rappresentazioni di crimini ed indagini, per capire che qualsiasi narrazione, per quanto convincente, non è mai definibile vera, se non suffragata da fatti oggettivi.
Nella nostra epoca, in cui nonostante le prove documentarie, c'è chi non crede all'olocausto degli ebrei, all'atterraggio umano sulla luna, si crede comunque alla lettera alle ricostruzioni storiche fatte mille e settecento anni fa, di fatti avvenuti altri trecento anni prima. E non si tratta neppure di ricostruzioni ad opera di cronisti, ma di scritti resi compatibili ad essere adottati come testi sacri.
Quindi, narrando di un'epoca dove ancora la cognizione di causa ed effetto erano ai primordi, un'epoca dove i fulmini erano ancora rappresentazione divina, c'è davvero da chiedersi cosa ci fosse dietro ai miracoli?
Gli stessi cronisti del tempo, quando anche erano mossi da desiderio di oggettività, erano facili cadere in tranelli dettati dall'ignoranza - cosa che continua ad accomunarli ai cronisti odierni - figurarsi quel che poteva essere raccontato di un fatto misterioso da un testimone coinvolto emotivamente. Fra l'altro, ai suddetti miracoli avrebbero assistito folle intere, ma in fondo nessuno di loro ha scritto migliaia di diari degli eventi, così da poterli raffrontare, così l'evento raccontato rimane valido come se il testimone fosse stato uno solo.

E chissà per quanto ancora si potrà dissentire, anche in rete, su Internet, come faccio adesso.
Sì, perché se credevate che la rete globale fosse indipendente, strumento di libertà d'opinione, siete in alto mare.
Qualche giorno fa lo Stato del Vaticano è insorto contro la satira sul Pontefice, e sicuramente non è finita lì.
L'esempio di oggi è in un articolo di PuntoInformatico, che narra una vicenda a dir poco grottesca.
Un forum pubblico si trova a contenere frasi forti, offensive: gli offesi, sensibilizzati dall'evento, denunciano il fatto alla Procura di Catania, che procede all'oscuramento del forum. Il lato più assurdo è che chi si è sentito offeso non abbia consultato il moderatore del forum, per chiedere la rimozione dei messaggi offensivi, ma che si sia mosso da subito con il chiaro intento censorio.
La sottigliezza del vilipendio alla religione è tale che appunto non so quale sia il vero limite. In fondo negare l'esistenza di Dio non è già una grave offesa per la religione che si cita?
E dire che si pensa a certi personaggi della storia delle religioni come veri ciarlatani?
E' sicuramente illusione ed eresia, avere fede nel buonsenso.

Non avere paura
perché porto il coltello tra i denti
e agito il fucile
come emblema virile
non avere paura della mia trentotto
che porto qui nel petto
di questo invece devi avere paura
io sono un uomo come te

da Serial Killer (Franco Battiato, Manlio Sgalambro)

martedì, novembre 14, 2006

A che gioco giochiamo

Sono un appassionato di giochi da sempre, lo ero nell'infanzia e in forme diverse ho mantenuto l'interesse nel tempo.
Giocare può essere stimolo per la fantasia, l'immaginazione, e anche per l'intelligenza, quando il gioco ci sfida a trovare nuove soluzioni.
In fondo anche scrivere articoli su un weblog è un gioco: comporre frasi corrette, stimolare il proprio pensiero a connettere insieme fatti e opinioni diverse, esprimersi seguendo un ragionamento.

Anzitutto una premessa: parte del contenuto che segue era già scritta. Avevo iniziato la bozza di un articolo al 26 ottobre scorso, poi mi sembrava comunque incompleto, insoddisfacente, e l'avevo lasciato lì.
Visti gli ulteriori sviluppi sull'argomento videogiochi, nei giorni recenti, lo riprendo e riparto da questo.

Giocare d'intelligenza (bozza del 26/10/2006)
I giochi che più mi affascinarono, fin dalla giovane età, furono i giochi elettronici. Nascevano infatti negli anni '70 del secolo scorso, in un'epoca in cui cominciava a diffondersi in modo preponderante la tecnologia elettronica.
Ricordo ancora con una certa invidia qualche compagno di scuola, che già allora possedeva un videogioco tascabile come il Mattel Auto Race, che ormai è scomparso dalla memoria dei più.
Erano giochi semplici, ben lontani da un'odierna console portatile, come la Sony PSP.
Per non parlare poi dei primi piccoli calcolatori per il gioco degli scacchi, che trovavo affascinanti per la loro capacità "predittiva" del gioco.
Con l'evolversi della tecnologia si sono potute realizzare sempre nuove funzioni, è cambiata la complessità dei giochi così come la rappresentazione degli stessi (immagini, suoni) e l'interazione con il giocatore.

Eppure il gioco è da sempre nemico di molti, per motivi assai diversi.
E' sicuramente nemico degli stessi giocatori, quando diventa ossessione, e non vale solo per i giochi elettronici, ma anche per quelli convenzionali: basti pensare a chi si riduce in bancarotta con i giochi di carte o con le scommesse.
Probabilmente è stata questo tipo di pericolosità sociale a preoccupare capi religiosi o di governo, fino dagli albori del gioco. Come anche è stata questa dipendenza (con una certezza sugli incassi) a mantenere felici altri capi di governo (e religiosi).

Negli ultimi anni c'è poi un periodico interesse, da parte di certi settori dei mezzi di comunicazione, verso la presunta pericolosità dei videogiochi. Il format classico ricalca la linea "chi prende parte ad un gioco, dove si finge l'uccisione di un avversario, non può che avere pulsioni omicide, anche fuori dal gioco".
Negli Stati Uniti d'America sono state proposte nel tempo delle leggi sempre più restrittive, nei confronti della vendita di videogiochi ai minori. Per non parlare di paesi come l'Australia, dove un videogioco può essere bloccato all'importazione, anche per i maggiorenni -- non solo per i giochi violenti, ma anche quelli con espressioni di sessualità troppo esplicita.
Va da sé che la maggior parte di queste proibizioni è facilmente riconducibile a fanatismi, perché se da un lato è comprensibile la riduzione dell'esposizione dei minori alla violenza, dall'altro è eccessivo il proibizionismo che spesso viene proposto.
C'è sicuramente un controllo da adottare, prima di dare in mano ad un ragazzino alcuni tipi di giochi. Questo vale per un go-kart, o un razzo giocattolo, considerando la pericolosità fisica, ma deve ovviamente valere anche per un videogioco, quando è rilevante la pericolosità nel senso psicopedagogico.

Tutto questo vale per il politically correct, come amiamo dire dimostrando scarsa proprietà di linguaggio (perché non dire semplicemente educazione o correttezza?).
Ma non è solo il linguaggio a scarseggiare.
In compenso c'è abbondanza: violenza e comportamenti sessuali confusi sono all'ordine del giorno, sulle reti televisive e sulla carta stampata. Chi legge già qualche mio articolo sa bene che non sono affatto un moralista.
Il punto è sul finto perbenismo, che oggi vieta e tiene sotto controllo i videogame con immagini forti, e domani ci fa vedere nel telegiornale qualche guerra in corso nel mondo, e a seguire un programma dove l'attrazione principale del telespettatore è indirizzata verso qualche bella ragazza seminuda. Ci piace farsi beffa di noi stessi, sembra.

Tutta questa riflessione è nata da un articoletto che ho letto poco fa, una vera ode al ridicolo.
Il signor Daniele Semeraro, che non conosco assolutamente, ci racconta di una sua visione fantasiosa sul mondo dei videogiochi. C'è da dire che la reciprocità del Semeraro è di non conoscermi assolutamente, e altrettanto pare evidente della sua conoscenza sul mondo dei videogiochi.
E' altresì lecito osservare che potrei sbagliarmi: magari ha scritto sotto dettatura di editori o pubblicitari.
Nel mondo incantato del Semeraro, e in quello del signor Aldo Toscano, che mi si dice direttore del dipartimento Scienze Sociali all'università di Pisa, stanno sparendo i giochi che contengono violenza. Insomma, siamo tutti più buoni.
Già alcuni anni fa, dopo gli attentati terroristici del 2001 negli USA, qualcun altro aveva tentato di propagandare una storiella analoga. Fu raccontato che infatti nessuno più aveva voglia di giochi di guerra, dopo le migliaia di morti.
Sinceramente, dopo articoli del genere, mi chiedo sempre un paio di cose: quanto credono idioti i loro lettori e quanto a lungo?

L'accozzaglia di notizie in quell'articolo è poi contraddittoria. Viene citata una olimpiade dei videogiochi, come se fosse dimostrazione che il fenomeno è importante (quello della diffusione dei giochi privi di atti violenti). Solo che il Semeraro (autore anche dell'altro articolo che cita) non ricorda evidentemente che i giochi più quotati sono quelli in cui l'avversario viene ucciso nell'azione di gioco.
A chiunque piaccia giocare con quel tipo giochi d'azione, ma anche quelli strategia in tempo reale, sa che sono i titoli trainanti del settore -- e fra questi giocatori sono incluso anch'io.
Un gioco come The Sims è divenuto sì un simbolo, ma rimane una singolarità.

I videogiochi di guerra, indubbiamente, non sono la guerra.
La vera rappresentazione della guerriglia, dell'odio, della violenza, per chi la vuole a portata di mano, è in ogni città. Nelle periferie degradate, sì, ma soprattutto nelle settimanali partite di gioco del calcio.
Quanto alla scarsità d'intelligenza è dilagante: se la tifoseria calcistica è emblema di quella al maschile, le frotte di ragazze emule ed invidiose delle soubrette televisive ne sono la controparte femminile.
Resto in trepida attesa del prossimo articolo del Semeraro, o di altri suoi colleghi, in cui immagino mi verranno a spiegare che la violenza, nei paesi poveri del mondo, sia in diretta relazione con i videogame.

[...]

Improvvisa violenza (scritto oggi)
Rileggendo l'articolo di venti giorni fa c'è di che sorridere: viene da chiedersi se nessuno mai si metterebbe a correlarli, come faccio io qui.
Eh sì, perché venti giorni fa i giornalisti e gli esperti di scienze sociali ci raccontavano che i videogiochi stavano diventando un'apoteosi disneyana, mentre oggi si scomodano nuovamente giornalisti e altri esperti per ammonire che i videogiochi stan diventando una delle cause della violenza giovanile.

Con un minimo di spirito critico è invece evidente la mediocrità giornalistica.
E' anche chiaro che se un argomento del genere (d'importanza minore rispetto ad altri fatti più gravi della società) diventa una beffa del lettore, a maggior ragione possono esserlo anche altri fenomeni -- di politica, psicologia, ricerca, e così via.
Vi sentite canzonati dai giornalisti ed esperti? Dovreste, perlomeno.

La notizia di questi giorni, sulla violenza nei videogiochi, gira intorno ad un titolo per Sony Playstation, già pubblicato in Giappone col nome Rule of Rose, in uscita a giorni anche in Europa.
Prendo con estrema cautela le recensioni del gioco, che fatte da giornalisti, com'è normale, potrebbero finire per essere tendenziose.
Su un articolo di Panorama, replicato anche sul sito di Mytech, ne leggo alcune delle caratteristiche salienti.
Il titolo si presenta come un survival horror, genere piuttosto definito nel panorama videoludico. Solitamente impegna il giocatore nell'impersonare o nel controllare un personaggio, in un'ambientazione da film dell'orrore, dove la finalità è risolvere enigmi e fuggire dai pericoli.
Fra i titoli survival horror è è classicamente molto comune la violenza a profusione, visto che i pericoli per l'alter ego del giocatore sono spesso creature consimili a quelle dei film d'orrore, quali esseri demoniaci, morti viventi, fino ai classici da thriller, come certi assassini seriali.

La differenza, in questo caso, la fa l'insieme di aberrazioni da parte dei personaggi violenti.
Non solo si tratta di comportamenti violenti, ma anche deviati e perversi, ad opera di personaggi molto giovani, tipicamente adolescenti.
La ragazzina, alter ego del giocatore, subisce quindi violenze fisiche e psicologiche, in un ambiente profondamente disturbato, dove quello che preoccupa chi ha visionato il gioco è la giovane età di tutti i soggetti nel cast.
Mi appare evidente che ci sia una profonda preoccupazione che certi comportamenti vengano presi ad esempio, se chi gioca s'identifica nell'ambiente e nei personaggi. Non è quindi un gioco raccomandabile a degli adolescenti, e perché questo avvenga serve sicuramente qualche impedimento della vendita ai molto giovani, così come dovrebbero essere sensibilizzati i genitori.
Vietarlo del tutto?

Il signor Walter Veltroni ha commentato che, a suo parere, "È assolutamente impensabile che un videogioco dai contenuti violenti venga commercializzato e distribuito nel nostro Paese".
Il ridicolo di cui lo copre una frase del genere dovrebbe come minimo farlo desistere dagli incarichi istituzionali che ricopre, ma non credo che avverrà.
Anzitutto dovrebbe spiegarci cos'ha, questo nostro Paese, per ritenersi immune ai contenuti violenti. Come osservava anche un lettore di Punto Informatico, con quale ipocrisia si alza il dito accusatorio verso i videogiochi, mentre la stessa televisione di Stato adotta la violenza per rialzare gli ascolti?
Il prossimo passo sarà il blocco della totalità dei film d'azione provenienti dagli Stati Uniti d'America? Perché è evidente, in nessuno di questi manca la violenza, diretta, gratuita, senza il velo della grafica di un videogioco.
Ho come l'impressione che quel Paese citato dal Veltroni sia invero piuttosto ristretto, al massimo allargato al suo condominio: perché di quell'altro Paese, quello dove vivo anch'io, mi sembra non abbia alcuna percezione.

Come nella fiera dell'ovvio, il Veltroni prosegue: "Credo sia perversa la mente di coloro che hanno ideato e realizzato un videogame del genere. I nostri giovani già vivono tempi difficili, con la realtà della violenza presente quotidianamente su tutti i media. Non si meritano certi prodotti ed è giusto lanciare un allarme e mettere in campo immediate azioni concrete in difesa del diritto a crescere senza condizionamenti tesi ad esaltare la ferocia, l'odio e la morte".
Quali azioni concrete vi aspettate di vedere?
La messa al bando dei reality televisivi, dei film americani, oppure la messa all'indice dei videogiochi?
Non credo che serva un calcolo complicato, per sapere cosa rende di più, come introiti.

La cultura giapponese, fonte di questa impasse, è sicuramente molto distante dalla nostra. Per non parlare del livello di psicosi da cui è permeata, visti gli eccessi di cui spesso si alimenta.
Eppure non è esecrabile tout-court, va compresa come si fa con molti fenomeni distanti.
Ma siamo sicuri che le perversioni siano solo lì?
Non è perverso anche il meccanismo della nostra censura?
Ripenso ad esempio al violentissimo romanzo di Ryu Murakami, Tokyo Decadence, uscito anche in versione cinematografica. La trasposizione nel film è anche meno violenta del racconto, eppure la pellicola uscita in Italia era censurata, tagliata, seppure vietata ad un pubblico minore di 18 anni -- e fra l'altro non erano scene violente, ma di atti sessuali che nei film puramente pornografici non vengono certo omesse.
Perché ci viene permesso di conoscere solo una parte delle cose?
Perché mai, da adulti, consenzienti, ci viene permesso di conoscere solo una parte della violenza?

A che gioco stanno giocando gli amministratori del Paese?
Perché se ce n'è uno violento, da vietare a tutti, è quello.

martedì, ottobre 31, 2006

Se lo dice lui

Il signor Paolo Bonaiuti, nella sua veste di portavoce del signor Silvio Berlusconi, ha commentato il rinvio a giudizio di quest'ultimo, per corruzione in atti giudiziari, dicendo testualmente "E' un'altro colpo basso contro Silvio Berlusconi che non ha niente a che fare con la giustizia e molto con la politica".
Ieri sera, quando ho sentito la frase citata da un notiziario televisivo, mi sono molto divertito al facile gioco a cui si prestava, con la minima differenza nell'inflessione di chi la pronuncia. Far transitare il soggetto "che non ha niente a che fare con la giustizia" è in effetti esilarante.

Quel che è piuttosto meno divertente è il significato serio della cosa. Allo scopo ricordo brevemente i fatti.
Un avvocato inglese, tale signor David Mills, invia nel 2004 una lettera al proprio commercialista per spiegare il guaio di 600.000 dollari incassati, di cui diventa difficile giustificare l'incasso.
La lettera, per motivi che non ricordo, viene acquisita dalla magistratura, che ovviamente non ne gradisce il contenuto.
Questo perché la motivazione dell'incasso, nelle stesse parole di Mills, è il compenso per aver pilotato la sua testimonianza in un processo, su richiesta di Mr. B -- che dai dettagli e dai processi a cui testimonia il Mills, non è difficile capire che non si tratta di Mr. Bean.
In effetti Mills sostiene nella lettera, così come in seguito, non di aver mentito, ma come dalle sue testuali parole:
[...] sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato momenti difficili, per dirla in modo delicato) avesse tenuto Mr.B fuori da un mare di guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo.
Insomma, non mentì, evitò semplicemente di dire quello che avrebbe fatto condannare il suo cliente. Semplicemente quello.
Rileggere le parole del signor Bonaiuti, citato prima, fa di nuovo sorridere.

Ma per ogni sorriso c'è sempre la serietà che torna a pesarci, non si scampa.
Il fatto triste, di cui ho il continuo presagio, è la comunanza d'intenti fra i soggetti d'espressione politica, sia quelli direttamente al potere che quelli d'opposizione.
Nei palazzi della politica, ed anche in quelli di controllo del grosso dell'economia, ho il timore che circoli chiaramente un messaggio: "Ma se lasciamo che davvero questo signore sia riconosciuto colpevole, chi ci proteggerà quando anche noi e i nostri amici saremo pescati in situazioni analoghe?"
Ecco perché andava bene il messaggio del Berlusconi disonesto in campagna elettorale, ma non dopo. Raggiunto lo scopo è sempre stato meglio non toccarlo più di tanto: così avvenne con il controllo quasi totalitario delle reti televisive (che nessuno liberò, nel precedente Governo che gli si opponeva), così penso che succederà ora.
Se ce lo dice Bonaiuti, che qualcosa o qualcuno ha molto a che fare con la politica, non rimane che credergli, no?

Quello che mi domando - probabilmente con l'ingenuità di chi legge la Costituzione della Repubblica e la considera un documento serio - è quale possa essere il modo per garantire la giustizia e la sua equità.

martedì, ottobre 24, 2006

Eresie tecnologiche

Vagare fra i canali di trasmissione televisiva, alla ricerca di una programmazione interessante, almeno divertente, diventa sempre più difficile.
Mentre scovare assurdità è sempre più semplice.

Una trasmissione televisiva, che credo si proponga a metà fra i thriller e la risoluzione di piccoli casi popolari, stava giusto parlando di qualcosa di tecnologico, mentre casualmente passavo in rassegna i vari canali.
Narrava di una persona scomparsa (non ho seguito la storia in dettaglio), e partiva dal presupposto che era stata condotta da qualcun altro sul luogo dove è stato rinvenuto il suo telefono cellulare.
Secondo i narratori, era avvenuto perché il telefono non era solo stato spento, ma volutamente ne era stata scollegata la batteria da qualcuno -- nelle immagini video seguiva un esempio di qualcuno che rimuove una batteria da un telefono cellulare.
Questo fatto, a loro dire, perché un telefono cellulare, anche se spento, sarebbe individuabile dalla centrale più vicina.
Questa favola metropolitana pare che non sia la sola a resistere, nella subcultura pseudo tecnologica che ci avvolge.
Certo, è possibile che allo spegnimento possano essere inviate informazioni di disconnessione alla centrale, che in caso di distacco immediato della batteria possono non essere inviate; il sostenere invece che il telefono, spento, sia continuamente in collegamento con la centrale è pura fantasia.
Primariamente ha degli svantaggi pratici: a che serve consumare energia dalla batteria e risorse di trasmissione sulla centrale?
Secondariamente è facilmente verificabile che non sia così: se avete il telefono acceso, molto vicino ad una sorgente audio (radio, televisore, ecc.) vi accorgete spesso dei segnali di connessione alla centrale, sotto forma di disturbi sonori. Fare la stessa prova con un telefono spento è cosa facile, e infatti non crea gli stessi disturbi.
Pensate poi alla strumentazione di bordo di un aereo: un solo telefono cellulare acceso può infastidirla anche molto, durante alcune fasi vicine a terra. Infatti vi viene solitamente chiesto di tenerlo semplicemente spento, non di scollegare la batteria. Su un volo con un centinaio di passeggeri, di cui almeno la metà ha un telefono cellulare, se bastasse la batteria collegata a stabilire la connessione con la centrale, sarebbe un bel fastidio partire e atterrare.

Le pubblicità sono poi altre fonti inesauribili di racconti incredibili.
Ho sentito solo ascoltandola, senza troppi dettagli, una pubblicità che prometteva un ottimo trattamento della pelle con una crema idratante che non agiva solo in superficie, ma nel DNA.
Non so bene se la cosa suoni poderosamente tecnologica, ma a me dà due sensazioni sgradevoli.
La prima è nel caso che la pubblicità possa dire il vero: ci siamo scandalizzati per la clonazione della pecora Dolly e ora usiamo un prodotto cosmetico che veramente altera il nostro DNA? E' davvero possibile vendere un simile prodotto come cosmetico? Non c'è nessuno che si preoccupa di quel che può significare un'alterazione del DNA?
La seconda sensazione è che sia l'ennesima sciocchezza, quindi non tanto lecita, visto il rigido codice di regolamentazione pubblicitaria.

Saltando ancora: la moda recente è poi la ricerca di soluzioni new age per tutto, mischiando la letteratura leggendaria (con forte appoggio della comunicazione via Internet) con pezzi di realtà tecnologica.
E continuano a fare sempre gli stessi errori: semplificando (con errori) le cose difficili e costruendo complessità su quelle semplici.
Leggo su un settimanale (Il Venerdì di Repubblica, 20 ottobre 2006, n. 970) un articoletto sul mal d'ufficio.
In realtà lo scopo primario dell'articoletto sembra giusto la promozione di un libro, guarda caso diretto all'argomento, che ci spiega come gli ambienti siano insalubri, ma anche come renderli salutari. Pare, dal riassunto che ne fanno, con i soliti criteri misti di feng shui e realismo.
Che in mezzo a tanti buoni consigli ci siano anche delle leggerezze, si evince dalla terminologia adottata da chi scrive.
Spesso certi articoli con un minimo di profilo tecnico, anche solo a livello saggistico, sembra siano infatti redatti da persone disattente, con nessun rigore verso i termini esatti.
Leggo infatti che si sconsiglia l'uso di "tubi al neon", mentre si preferiscono i "True-lite fluorescenti".
Ce li presenta come due cose fondamentalmente diverse, mentre non lo sono poi tanto. E in particolare, i mitici tubi al neon perlopiù non esistono. Già, perché raramente è il neon il gas impiegato nei comuni tubi fluorescenti (che già possediamo, anche se non sono True-lite). La maggior parte del neon, nei tubi fluorescenti di uso quotidiano, è sicuramente nello starter, una piccola lampadina al neon che serve per innescare l'accensione del tubo vero e proprio -- in qualche caso è possibile vedere la piccola lucetta color arancio illuminarsi, prima dell'accensione del tubo fluorescente.
Per non parlare delle piante del genere Tillandsia, che certo non si nutrono di "radiazioni fisiche", come citato dal suddetto articolo. Nemmeno un episodio di Star Trek sarebbe arrivato a tanto.
E dire che sarebbe bastato un giretto su Wikipedia, per evitarsi una figura ridicola.

mercoledì, ottobre 18, 2006

Restituire dignità

Ho apprezzato molto l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace al fondatore della Grameen Bank, anche se non conosco in dettaglio le loro operazioni.
Ne avevo sentito già parlare alcuni anni fa, e l'impresa mi sembrava decisamente lodevole.
Il modo in cui va decisamente al contrario, rispetto alle altre banche del mondo è il simbolo più chiaro di restituzione della dignità a chi vive nella povertà estrema.
Fornisce prestiti di piccolissime entità (l'equivalente di poche decine di dollari americani) e non richiede niente in garanzia, non fa firmare contratti legali, non costringe alla restituzione. E' anche aperta a fornire nuovi prestiti a chi non ha potuto restituire i precedenti.
I loro clienti, o meglio le loro clienti (visto che al 96% sono donne) vivono in condizioni poverissime, ma uno dei fondamenti è di offrire possibilità anche a chi vive di elemosine, dando quel poco denaro per incoraggiare il potenziale umano, ad esempio trasformando progressivamente il mendicare in un'attività commerciale. E non si ferma qui: incita anche al migliorare le condizioni di vita dei loro clienti, l'educazione dei figli, le condizioni sanitarie e il rispetto dell'ambiente.

Se pensate che questo finisca per alimentare frodi sappiate che ben il 98% dei prestiti viene restituito, e la banca è in attivo al 2005 per 15,2 milioni di US$
Certo, una quindicina di milioni di dollari sono poca rendita per una banca, ma lo scopo non è l'attività di profitto -- con queste cifre non potrebbe proprio esserlo.

Ripensate ora alle banche a cui siamo abituati, qui.
Spero che il pensiero vi susciti lo stesso senso di disgusto, di schifo, che genera in me.
Sia ben chiaro, non perché io voglia predicare l'uguaglianza socialista, l'utopia che ha creato nazioni in cui (quasi) tutti sono uguali fra loro, ovvero immensamente poveri (penso a certe nazioni del continente asiatico).
Sono certo che però debba esserci una misura, per la quale devono corrispondere persone dalla vita dignitosa, anche se non ricca, in proporzione alla quantità di persone estremamente facoltose. Detta in altre parole: è giusto che chi azzarda di più (legalmente) ne abbia guadagni maggiori, in caso di successo; allo stesso tempo è un motivo valido per ridistribuire una minima parte di quella ricchezza, per far sì che altri superino la soglia di povertà.

Ho seguito qualche giorno fa pochi minuti di un dibattito televisivo. Ho cambiato canale quando la domanda del conduttore, il signor Giuliano Ferrara, ha posto come questione le tassazioni al merito. Voleva insomma sapere, con chiaro intento provocatorio, se proprio chi è stato bravo ad accumulare denaro, chi ha avuto il merito di guadagnarselo, doveva farsi carico di pagare le tasse.
Letta per intero, diceva chiaramente: "perché non far pagare le tasse solo a chi non è capace di diventare ricco?"
L'idiozia della domanda, per quanto sembri considerevole, era pressoché nulla, rispetto all'arroganza ed alla spregiudicatezza del signor Ferrara. Del resto, quel modo di porsi, è cronaca dei tempi recenti, sia da parte di chi amministra poteri forti come di chi ne è servitore.
Concluderò con un'ironia, come mi piace spesso fare: pochi dollari possono restituire piena dignità del vivere a una mendicante, eppure non riesco ad immaginare nessuna cifra che possa dare dignità al signor Ferrara ed a coloro che rappresenta.

martedì, ottobre 17, 2006

Città che cambiano

Questa mattina ho avuto occasione di transitare per una zona di Firenze che credevo di conoscere assai bene. Ho trascorso lì i cinque anni di scuola superiore, e a distanza di qualche anno avevo lavorato poco distante, per quasi altrettanto tempo.
Sono stato sorpreso, arrivando in zona che il traffico (all'epoca già caotico, parlo di una decina d'anni fa) fosse decisamente aumentato. I parcheggi già difficili si sono trasformati nella comune abitudine di sostare al centro della carreggiata. Poi ho capito il perché.
La strada adiacente, stretta fra palazzi e la ferrovia, era sempre stata ampia, tanto che aveva anche spazio per il parcheggio sui due lati. Solo che ora, quasi non esiste più, se non per una piccola corsia di scorrimento a senso unico.
Cos'ha preso il suo posto? I binari per i treni ad alta velocità.
Perché dalla periferia fino al centro, in nome dell'alta velocità, sono state rase al suolo intere palazzine. Anche la stessa centrale del latte è stata rimossa, fatto che ha creato non poche difficoltà economiche alla stessa, per la nuova sede.

E' vero, le città cambiano, anche dove meno te lo aspetti.
Vale ad esempio per gli sconvolgimenti che sta portando la futura tramvia urbana di Firenze. Sembra infatti che tutta una città sia rivoltata da capo a piedi, per le linee ferrate.
Saranno davvero utili come ce le prospettano?

Ho forti dubbi sulle nuove linee ferroviarie nazionali, viste le attuali.
Vent'anni fa i treni erano più lenti, ma c'è da dire che i ritardi erano tutto sommato modesti, i servizi adeguati. Oggi pare invece che abbiamo treni velocissimi, ma che portano solo nei centri cittadini.
Il treno ti porta nel centro di ogni città. Mi pare che fosse questo uno degli slogan di alcuni anni fa: un motto sicuramente veritiero. Ma per chi non abita nel centro cittadino, come si arriva a prendere il treno suddetto?
Con un autobus, o un altro treno, visto che il centro cittadino è spesso inaccessibile per il traffico stradale. Con altri mezzi insomma che spesso portano ritardi pari alla stessa durata media di percorrenza. Non è così strano, da queste parti, che un treno locale, per andare in centro a Firenze, accumuli ritardi di mezzora su percorrenze di mezzora.
Pare quindi che le linee ferroviarie puntino tutto sull'accentrare il transito nelle grandi stazioni centrali, all'esatto contrario della necessità di decentralizzare il traffico delle città.
Senza contare che le medie distanze tendono a diventare quasi più economiche con un volo aereo.

Cosa vedete nel futuro del trasporto? Come saranno le città fra cinquant'anni?
Se non intervengono fattori ad abbreviarmi la vita potrei riuscire a vederlo con i miei occhi, chissà, sarei davvero curioso di vedere il futuro.
Mi chiedo se pian piano non verranno selezionati sempre più edifici degni di restare in piedi, facendo posto a nuove strade, ferrovie, tramvie.
La concezione storica di città sarebbe, a mio parere, da rivedersi. I mezzi di trasporto, quelli di comunicazione, ci hanno liberato dalla necessità di accentrare. Non serve più avere una città nel senso di insediamento che contiene tutto. Se vogliamo è anche un bene: è possibile vivere nelle periferie, potersi spostare su necessità, ma non sentirsi sperduti, senza le comodità cittadine.
Probabilmente i mezzi di trasporto dovrebbero premiare i nuovi agglomerati esterni alle città, quelli che non sono ancora troppo grandi, ma che hanno possibilità di crescita più distribuita.
Ma ci vogliono soldi.
E i soldi s'investono dove rendono altri soldi, già.
Sono sicuro che ci siano molti esperti di urbanistica con tante idee, molti esperti dei trasporti con altrettante, ma né gli uni né gli altri le vedranno mai realizzate. Perché il benessere, il buon vivere dei molti, raramente coincide con i guadagni e le speculazioni dei pochi.
E ora chiedetemi come penso che cambieranno, le città.

giovedì, ottobre 12, 2006

Fenomeni stupefacenti


In questi giorni infuria la polemica sul caso della trasmissione televisiva Le Iene, e sul test che ha condotto su una cinquantina di parlamentari, a loro insaputa, sul probabile consumo di stupefacenti.
Non ho seguito la vicenda nei dettagli, e con questo, come in ogni altro caso in cui scrivo "non ho seguito nei dettagli", intendo che non ho letto ogni articolo, pro e contro, per maturare infine un giudizio ragionevolmente distaccato.
Quello che suggerisce infatti è anzitutto lo scatenarsi dell'emozionalità popolare. Davanti al fenomeno, alla denuncia di molti dei parlamentari controllati come consumatori di stupefacenti, c'è stata una rivolta della popolazione, come hanno rilevato molti sondaggi d'opinione.

La rivolta è sicuramente motivata dal sentirsi offesi, dopo aver scelto per un incarico istituzionale dei politici, che seguono le sedute del parlamento con possibili strascichi di sostanze stupefacenti nel proprio organismo. Viene propriamente da chiedersi se siano in sé, mentre discutono di leggi e disposizioni che influenzano l'intera nazione.

Faccio un passo indietro, illustrando la mia posizione sulle sostanze stupefacenti.
Non ho mai fatto uso di quel tipo di sostanze, ed in questo potrei includere anche il comune tabacco, che ho sperimentato in un paio di sigarette quando ero molto giovane, ed ho deciso non valesse granché. Viene da dirsi per fortuna, visto che poi l'effetto di dipendenza, la tossicodipendenza, diventa difficile da sradicare, visto che ci sono basi chimiche e fisiologiche a rendere complicata la rottura con la dipendenza (già indipendenti dalle problematiche psicologiche).
Passando comunque la gioventù in ambienti spesso fumosi, visto che per decenni le leggi sul fumo sono state bellamente ignorate, ho tollerato spesso questo disagio, seppure sia sempre rimasto un fastidio per me.
La materia delle sostanze tossiche illegali (visto che il tabacco è legale) è poi altra storia.
C'è sicuramente una buona motivazione per cui rimangano tali, visto il forte guadagno di chi li spaccia. Così come c'è una motivazione legittima, nel cercare di evitare il dilagare di prodotti falsamente benefici, che finiscono per raggirare i consumatori meno attenti: il drogato è sicuramente una persona che viene ingannata, con la promessa della soluzione chimica ai suoi dolori, alle sue ansie.
Ci sono poi sostanze con effetti più o meno pericolosi sulla salute, da quelle che devastano rapidamente l'organismo a quelle più subdole, con effetti psicotici anche a lungo termine.
Non escluderei da questa definizione anche tanti medicinali leciti, le pillole della felicità dispensate con estrema disinvoltura anche da molti psicoanalisti e psichiatri, se non perfino da medici di base.
Il punto sostanziale, sulle dipendenze da sostanze chimiche psicogene, è che qualcosa non funzioni in modo adeguato fin dal principio, nell'individuo che inizia a consumarne. I decorsi nell'uso di tali prodotti sono svariati, anche pericolosi per gli altri -- quando il consumatore ad esempio guida un mezzo o aziona un macchinario.
Penso quindi che la regolamentazione su certe sostanze si divida in due punti
  • Informare il consumatore e tutelarlo: deve essere cosciente fin da prima dei rischi, senza prendere la cosa come un semplice svago. Da questo punto di vista ci sono comportamenti preoccupanti, come ad esempio quando si cerca di depenalizzare la tossicodipendenza: in quei casi infatti si sentono spesso motivazioni di una pericolosità inesistente, che non corrisponde a verità.
  • Prendere atto che sia un consumo legale o illegale, ci sarà sempre chi ne fa uso: costoro devono essere tenuti lontano da comportamenti pericolosi per gli altri. Quindi evitare che possano guidare un autoveicolo o un motoveicolo, evitare che possano azionare un macchinario industriale, ma al limite anche evitare che possano prendere decisioni sull'andamento di una nazione, dall'economia all'assetto militare, per citarne un paio.
Detto questo, risulta evidente come sia poi complesso nella pratica. Non si può infatti sapere se il tossicodipendente, sotto l'effetto di sostanze psicotrope, si sentirà solo euforico in una festa fra amici, oppure se ne avrà una deriva che lo porti ad atti delittuosi anche gravi.

Ho letto oggi un interessante articolo del signor Stefano Rodotà, che valuta la situazione dalla sua posizione di giurista e dal suo passato di Garante per la Riservatezza (sì, c'è una parola italiana per tradurre privacy, anche se tristemente ignorata).
Il Rodotà ci ricorda di fare attenzione ad un particolare significativo: se lasciamo che la riservatezza degli odiati politici sia violabile, diamo libertà affinché diventi violabile anche la nostra. Sarebbe così facile per un nostro datore di lavoro prendere dei campioni biologici da una tazzina di caffè che abbiamo usato, o magari anche da un mouse o una tastiera, fare delle analisi e decidere che magari l'azienda non ha più bisogno di noi, perché soggetti a qualche malattia.
Ipotesi sempre più probabili di questi tempi, visto che spariscono i lavori a tempo indeterminato, i lavoratori autonomi hanno contratti sempre più labili, e per prendere un campione di DNA la tecnologia non manca.
Interessante la conclusione di Rodotà quindi, sul fatto che in proposito al prelievo di materiale biologico ci sia una prima eccezione da farsi: indipendentemente dal fine, i mezzi usati sono gravemente illegittimi. Tollerarli solo perché ci piace il fine è inaccettabile.

Resta però un nodo da sciogliere, ed è quello della compatibilità fra gl'incarichi istituzionali e le sostanze psicotrope.
Sono certo che molti sarebbero contrari all'elezione ad incarico parlamentare di una persona dimostratamente psicotica -- mi riferisco ovviamente alle nazioni che approssimano il concetto utopico di democrazia.
Ma quanti vorrebbero vedere come parlamentare una persona fondamentalmente sana che è usa indurre in se stessa, artificialmente, degli effetti psicotici?

La mia domanda non è sull'onda della rivolta popolare, come dicevo: ho preso tutta la notizia con poco fervore, visto che non mi sorprendeva il risultato.
Il finale, come al solito, sarà quello di tanti eventi simili.
Ricordo che già nel precedente parlamento siedevano, anche con incarichi importanti, dei politici con sentenze penali in giudicato, quindi condannati in via definitiva. Questa volta gli aggiungeremo anche l'uso di sostanze stupefacenti: e che sarà mai? La loro sicurezza è che finché i giudici coincidono con i giudicati, sarà ben difficile che qualcuno si suicidi politicamente.
Finché non si troverà un modo serio per licenziarli, torneranno sempre lì. Forse sottoporli tutti quanti ad un contratto a breve termine, dove i datori di lavoro sono i cittadini, potrebbe spingerli a comportarsi meglio.
Per il momento ci possono sempre e comunque citare la frase che si legge all'uscita di certi esercizi commerciali, "Grazie di averci scelto", non senza un sorrisetto sardonico.

venerdì, settembre 29, 2006

Col fischio

La mia attenzione oggi è stata attratta da un articolo, edito sul quotidiano La Repubblica, facente da spalla all'argomentazione sulla legge finanziaria.
Come esordisca è presto detto: si sofferma dalle prime battute sulla conversazione, probabile, fra un prestatore di servizi ed un cliente privato. La frase classica, ricorrente, è del tipo "la spesa per questo bene/lavoro è di 120 Euro, ma senza fattura posso farti lo sconto, diciamo a 100 Euro".
L'articolista si è pure lanciato in un esempio più bonario, contrapponendo i 120 Euro di una prestazione legale con i probabili 80 Euro di una illegale, al nero.
In verità, dalla mia esperienza personale, quello che ho sempre sentito dire, offrire, è qualcosa del tipo "senza fattura le faccio uno sconto dell'importo dell'IVA...", spacciandosi per munifici.
In verità poi fanno a te uno sconto di qualcosa meno del 20%, incassando soldi su cui non pagheranno neppure le tasse, e non solo l'imposta.

Tutti lo sappiamo, tutti ce lo sentiamo proporre continuamente.
Ma chi sono questi individui?
E' presto detto, sono elettricisti, falegnami, idraulici, imbianchini, e chi più ne ha più ne metta. Sono tutti quei lavoratori indipendenti, ma anche titolari di piccole imprese, che prendono da noi soldi puliti e ne fanno denaro sporco. Denaro insozzato, in effetti, perché acquisito illegalmente come controparte per beni o servizi leciti.
Un'attività che mi pare più esecrabile del prostituirsi. Per non parlare poi della rivendita di merce rubata o degli stupefacenti: cosa rende queste due cose meno pulite, rispetto a chi si fa pagare di nascosto per un impianto elettrico o per una tubatura dell'acqua?
Niente.
Assolutamente niente. C'è invece un'aggravante, perché se lo spacciatore di droga ha un'attività coerente, tutta illegale, senza fingersi diversamente, questi ripugnanti individui sfoggiano una facciata, un'attività legittima, che invece non professano.

La vera feccia della società sta in quest'ipocrisia, largamente accettata, mai denunciata. Soprattutto mai punita.
Chi è in grado di proteggerci?
Ma anche se ci poniamo la domanda "chi è disposto a proteggerci?" la risposta è sconfortante.
I consumatori, i cittadini che non hanno scappatoie per evadere il fisco, finiscono per pagare per tutti gli altri. L'orda selvaggia degli evasori fiscali incute terrore fin dentro ai palazzi del potere, un potere che è conscio di esistere solo in quanto appendice, in quanto facciata pulita di un paese marcio fino alle fondamenta. A ben pensare, le elezioni politiche ed amministrative, paiono una semplice mano di pittura fresca, data ogni tanto perché il marciume non risalti troppo.

Ogni volta che sento, leggo, le parole di chi promette equità fiscale, riduzione delle tasse, ed ultimamente di mano ferma nella lotta all'evasione fiscale, mi allarmo.
Mi allarmo perché se mi devono raccontare una bugia così grossa, così palese, evidentemente c'è sotto qualcosa di talmente scomodo che non sanno esimersi dal giocare l'ultima carta, la demagogia più esplicita.
Chi parla di lotta all'evasione fiscale può prodursi solo in due modi: il primo è di farsi nemici veri in tutto il paese, facendo veramente la guerra a chi ruba, come sulle compravendite d'immobili o sugli affitti. Il secondo modo è di riempirsi la bocca di parole vuote.
Due strade, due scelte, semplicissimo.
E sono sicuro che per molti anni a venire nessuno mai prenderà la prima strada, perché nettamente contrario all'italico vivi e lascia vivere.
Col fischio, che qualcuno riformerà il fisco.

venerdì, settembre 15, 2006

Stiamo lavorando per voi

Altri giorni che cambiano il mondo
Dall'ascolto di un breve intervento radiofonico, con estrema umiltà, ho appreso che mi era sfuggita un'altra triste ricorrenza, sempre legata al giorno dell'undici settembre.
Nella segreteria messaggi del signor Vittorio Zucconi, direttore di Radio Capital, un ascoltatore ha ricordato che fra i tragici undici settembre non si annovera solo quello del 2001. Ce n'è infatti un altro, l'undici settembre del 1973, che riguarda sempre gli Stati Uniti d'America, e sul cui seguito ci sono stati ben più morti (per gli ottimisti tremila, ma bisogna esserlo molto, per non pensare piuttosto ad una cifra dieci volte superiore).

Il fatto scomodo (per gli USA) è che in quel caso loro erano i mandanti, e il teatro del massacro era il Cile di Salvador Allende, passato alla dittatura sanguinaria del generale Augusto Pinochet.
Non si può neppure parlare di presunto coinvolgimento degli statunitensi, perché la faccenda è ormai di dominio pubblico, dopo che la CIA ha tolto il segreto dai documenti in cui si auspicava la non elezione a presidente di Allende, o la sua rimozione con qualsiasi mezzo (com'è appunto finita). Non ultimo il finanziamento di quasi undici milioni di dollari per le spese militari nel solo 1972: difficile non avere fondi per un golpe. Almeno diciassette anni di torture, repressione e altre violenze, tanto è costato quell'undici settembre ai cileni.
Non ricorre nella stessa data per l'Argentina, ma la storia è stata all'incirca contemporanea, con gli stessi manipolatori, come descrissero altre carte de-secretate dalla CIA.

La conclusione dello Zucconi, sull'osservazione del suo ascoltatore, è stata assai stizzita (come sta andando di moda dire in questi giorni).
E' andato rapidamente al fatto che ci sono state migliaia di morti a New York, e come dalle sue parole: si sapeva chi andare a punire, e dovremmo ringraziare la politica estera americana per essere fra i vivi a raccontarlo. Come dire: nelle guerre di Afghanistan e Iraq, hanno lavorato per noi.
E' un vero peccato che la capacità di analisi dello Zucconi, spesso attenta e capace di spaziare, finisca per dimostrarsi servile, ogni qualvolta si parla di USA. Quando anche riconosce i difetti degli statunitensi lo fa in modo affettato, come qualcuno che finge di denunciare i delitti di un fratello, ma che lo fa solo quando il fratello non rischia la galera.
Così non ha smentito l'altro undici settembre, perché si sarebbe coperto di ridicolo, ma ha cambiato discorso, per focalizzare l'attenzione su quel che voleva far sapere lui. Quanto si sentiva nelle sue parole, come avrebbe voluto smentire il commento villano del suo ascoltatore. Vera stizza.

Religiosi moderatamente sanguinari

Trovo un puro caso che il mio articolo precedente e l'attuale parlino dello stesso personaggio, e devo dire che ne sono quasi imbarazzato: potrebbe sembrare un accanimento.
In realtà, sono venuto a conoscenza, come chiunque abbia visto un telegiornale o letto un quotidiano, dell'assai più imbarazzante discorso pubblico del signor Joseph Alois Ratzinger. Visto che poi era espresso dalla sua veste di Pontefice della Chiesa Cattolica, penso vada ben oltre l'imbarazzo.

Lasciando da parte le invettive contro la scienza, ha affrontato con scarsa delicatezza la relazione fra Islam, fondamentalismi e terrorismo.
Le sue parole sul personaggio chiave dell'Islam, e sulle scritture sacre, non potevano che scatenare le ire di tutti i musulmani: chiunque poteva immaginarselo. Ora, visto che il suo era un discorso scritto, per cui qualcuno lo avrà revisionato, la cosa appare ancora più preoccupante. Direi più preoccupante dell'esternazioni del signor Roberto Calderoli, quando si presentò (pure in carica come Ministro del Governo Italiano) con delle magliette offensive verso la religione islamica. Più preoccupanti perché se il Calderoli era già noto per dilaganti idiozie in ogni campo, dal Ratzinger ci si sarebbe attesi una maggiore predisposizione alla comunicazione e alla mediazione.

Ma vediamo come è stata presa la notizia, nei vari notiziari televisivi.
Ho avuto l'occasione di seguire solo il telegiornale di La7 e quello di RaiDue, ieri sera, ma è stato già molto educativo.
La7 ha titolato e insistito sul forte risentimento e senso d'offesa che hanno manifestato gli esponenti religiosi dell'Islam, soprattutto in visto del viaggio che a breve il Pontefice farà in Turchia: non si presenterà certo con un bel curriculum, in un paese a maggioranza islamica.
RaiDue ha dato la stessa notizia, ma con un tono molto più episcopale, com'è solito per quella rete. Le immagini in video si sono soffermate più a lungo sulle folle osannanti al Pontefice, i toni del dissidio sono stati smorzati, riducendo le sole parole negative a "commenti stizziti" degli esponenti islamici, sul discorso pubblico. Insomma, ha incensato, adorato, coccolato, l'icona papale, e ci ha fatto sapere che qualcuno soffre stizza, una piccola ira improvvisa e passeggera (come recitano i dizionari), come un'insofferenza infantile, priva di significato.

Nel frattempo, gli stizziti commentatori, l'hanno vista un po' diversamente, rispetto a RaiDue. Come il presidente del dipartimento affari religiosi della Turchia, il quale ha fatto sapere che non vuole più saperne d'incontrare il Pontefice vaticano. E dal resto del mondo arrivano ogni minuto nuove richieste di scuse.
Mi chiedo se questo Pontefice invocherà prima o poi Dio a stramaledire chi non è della sua parrocchia -- cfr. "Dio stramaledica gli inglesi!", dal giornalista di epoca fascista Mario Appelius: parole che suppongo avrebbe volentieri citato anche l'allora Pontefice Pio XII (noto filonazista).

martedì, settembre 12, 2006

Leziose lezioni

Il signor Joseph Alois Ratzinger non ci lascia mai una settimana senza lanciare strali, complice la sua carica pubblica (riveste infatti il ruolo più elevato nella gerarchia della Chiesa Cattolica).
Gli argomenti riportati oggi da qualche quotidiano sembrano focalizzarsi sul richiamo all'oscurantismo, come salvezza verso il pericoloso illuminismo.

La prima preoccupazione del signor Ratzinger (o almeno così ci dice) è appunto verso la scienza, che dalle sue parole cagiona la distruzione dell'immagine di Dio, più in dettaglio per odio e fanatismo -- ipse dixit.
Spiegare il funzionamento dell'universo è a suo parere contro la Ragione di cui si fa portatore, tramite la fede religiosa, per converso ci dice che la scienza sostiene una nascita del mondo nell'irrazionalità. Sembra così concluderne che la scienza sia l'irrazionale, mentre la fede incarna il raziocinio.
Già fin qui sembra di leggere un testo di grande umorismo, ma c'è una conclusione interessante.

Le parole interessanti, che sicuramente colpiscono sia chi pensa e riflette, come colpiscono chi ha fede (e quindi non necessita di riflessione), centrano un punto importante.
La fede, prosegue Ratzinger, è semplicità.
Insomma, tutto dev'essere semplice: la scienza che scopre (e prova col metodo scientifico) la complessità del mondo, non ha senso di esistere, quando esiste la fede religiosa. L'incitamento è chiaramente verso il liberarsi dai pensieri, un'indicazione tagliata su misura per il mondo in corsa, dove tutto ci sembra sempre più complesso (e in effetti lo è). La soluzione di Ratzinger, verso lo stress moderno, è il ritorno alle cose semplici, al credere senza porsi troppe domande.
Lo stesso Byron scriveva che più si conosce, più si soffre. In effetti il teorema di Ratzinger, condensabile in "tornate ignoranti e felici" è decisamente efficace. Con l'effetto collaterale di lasciare alla Chiesa Cattolica la gestione delle cose noiosamente complesse, come l'evoluzione delle specie, l'origine dei pianeti, fino al controllo delle nascite, fenomeno puramente divino, come sa ogni ginecologo.
E' un vero peccato, quando un racconto finemente umoristico si conclude così, quando ti accorgi che era narrato con tono serio.

L'ultimo punto a lasciare fra il divertito e lo sbigottito, è poi sull'ateismo.
Questo signore ci dice infatti che a suo parere la paura di Dio è il sentimento da cui nasce l'ateismo moderno.
Chiunque abbia un po' di senno non può che rimanere spiazzato davanti ad una simile affermazione. E' di un'idiozia tale che viene subito da riflettere su quale potesse essere l'obbiettivo vero di quella frase.
Non credo che abbia alcun senso, letta in modo diretto: un credente che ha paura del Dio in cui crede, finirebbe per volerne negare l'esistenza?
Se così fosse, la stessa Sacra Bibbia sarebbe un libro improntato a generare ateismo: in ogni passo viene ricordato come Dio si possa solo amare, oppure essere puniti con la dannazione eterna. Il Dio biblico è continuamente assetato di sangue, distrugge popoli e territori per tutto il Vecchio Testamento, e infine nel Nuovo Testamento sembra placarsi solo quando vi si narra di fedeli adoranti.

Il mito più illogico di molti credenti sembra essere quello che ogni ateo, per negare l'esistenza di Dio, debba prima crederci e poi fingere che non esista. Come se per negare l'esistenza degli asini alati si debba essere convinti che esistano, ma negarlo in pubblico.
Questo mito mi appare radicato in una cultura molto specifica, che in realtà non lo associa necessariamente al dibattito sull'esistenza di Dio. La cultura a cui penso è quella dei falsi moralismi, su cui si fonda stabilmente una grande fetta dei cattolici.
Ne faccio esempi pratici. Provate a pensare quanti cattolici praticanti siano in realtà incoerenti con la loro fede: quanti praticano la sessualità fuori dal matrimonio? Quanti sono imprenditori truffaldini che violano il comandamento che dice di non rubare?
Questa ambiguità dei seguaci ha creato un moralismo di pura ipocrisia, per cui il ladro credente, o il coniuge con un'amante, sanno di credere in qualcosa che nei fatti negano.
Per estensione, si creano un'immagine dell'ateismo fondata sulla loro esperienza: l'ateo non può che essere una persona come loro, ma che fa certe cose al contrario. Loro dicono di credere, ma non osservano i precetti, per cui è evidente che ci sia chi dice di non credere, ma lo fa di nascosto.
Certo non è l'unico caso.
Sono profondamente convinto che ci sia anche una buona parte di credenti incapaci di capire la negazione di Dio. In fondo è semplice crederci, come dice il signore di cui sopra: basta non porsi domande, non c'è da spiegarsi niente. Dio è presente per spiegare tutto, perché farsi domande?

Tremo ad un solo pensiero: l'esistenza dei cosiddetti scienziati credenti -- una pura contraddizione in termini.
Se penso ad un meteorologo che decide il passaggio di un ciclone secondo una congiunzione astrale, un medico che si raccomanda alle preghiere per curare l'infezione da HIV, un ingegnere che progetta un viadotto con la protezione di una statua votiva, non posso che essere percorso dai brividi.
Altro che paura di Dio.

Il giorno che (non) ha cambiato il mondo

Ho appena spento il televisore, di fronte ad un programma che ricorda i tragici eventi di New York, gli attentati dell'undici settembre del 2001. C'era una ricostruzione dell'accaduto (poco di più di quel che si poteva evincere quel giorno stesso, guardando i notiziari) ed a seguire un dibattito, che per noia non sono interessato a seguire.
La noia non è per gli avvenimenti, sia ben chiaro, non per la loro gravità, ma una noia per la retorica. C'è una data ricorrente, ad anni di distanza, per cui è una buona trovata giornalistica farne un programma.
Immagino che la tragedia di Ustica del 1980 potrebbe avere altrettanto interesse, se fosse stata causata in tempi più recenti, e da qualche terrorista, anziché dalla NATO.

L'undici settembre del 2001, in tarda mattinata, ricevetti una telefonata che diceva più o meno "Hai visto cos'è successo negli Stati Uniti? Secondo me il tuo viaggio salta..."
Il riferimento era alla mia imminente partenza per la California, al 17 settembre. Detto al telefono, per sommi capi, ancora confuso ("attentato... New York...") tagliai corto, dicendo che non facevo scalo a New York e che sarei partito comunque. Ma non avevo ancora visto la cosa in televisione. "Accendi il televisore e guarda... mi sembra davvero grossa...".
Seguito il consiglio capii che non era una piccolezza. Non era uno dei tanti attentati che continuamente infestano il mondo, ma qualcosa su grande scala.
Non fui sorpreso del crollo delle torri, ne fui della compostezza, che a posteriori mi fu commentata da un'amica architetto "son state fatte davvero bene, per crollare così in verticale". In effetti mi sarei aspettato anch'io, da profano, che un crollo catastrofico, non programmato, potesse essere molto più scomposto e dannoso.
Il viaggio saltò. Air France mi sostituì il biglietto con un volo da farsi entro un anno, cosa che non potei fare, così persi i soldi anche di quello. Air France perse per sempre un potenziale cliente.

Il mondo cambiò subito per un punto di vista: quello degli americani.
Un paese così vasto che i suoi abitanti giudicano inutile l'esistenza di altri paesi al mondo, o di altre lingue, vista la presenza ubiqua della lingua inglese. Fino a quel giorno, la maggioranza degli americani, credeva che il terrorismo internazionale fosse la favola orribile dell'uomo in nero, che si racconta ai bambini per scatenare con il terrore una necessità di attaccamento alla famiglia. I veri uomini neri d'America, ormai sono stati in gran parte esorcizzati, la paura del delinquente nero è diluita da quello portoricano, da quello sudamericano, dalla mafia insediata nel paese come descritta dalle tv series, i cattivi presi a pugni dalle star del wrestling o da Chuck Norris. Crimine tollerato, evitando i quartieri ghetto.
Quel che risultava incredibile, era la vera esistenza di paesi stranieri. E che in questi reali paesi stranieri ci fossero reali nemici degli USA. Insomma, com'erano usciti fuori dai film di Hollywood dei veri cattivi? E perché mai?
Quel giorno l'americano medio ha scoperto che qualcuno, in giro per il mondo, in paesi di cui neppure conosceva l'esistenza, lo stava odiando. L'odiava per il suoi soldi, per il suo stile di vita, e non era un barbone di un quartiere degradato ad odiarlo, ma qualcuno a una distanza inimmaginabile.
La sorpresa era nello scoprire che il mondo non era piatto e limitato ai confini della sua nazione.
Quel giorno ha cambiato il mondo visto dagli americani, che hanno scoperto la rotondità predetta da Colombo oltre cinquecento anni prima. Ironia vuole che Colombo (non il tenente dei telefilm, appunto) abbia scoperto un continente che dimostrava le sue ipotesi, e questo continente abbia voluto dimenticare lui, da quel momento in avanti.

E qui, nel resto del mondo, cos'è cambiato?
Da un lato eravamo già privilegiati. Non essendo ricchi, colonialisti, imperialisti -- tranne l'imbarazzante dimostrazione sfociata nella seconda guerra mondiale -- eravamo, in fondo, facilitati. Potevamo vedere tanti paesi diversi, non ci sentivamo a capo del mondo.
Non siamo come nelle produzioni hollywoodiane, non siamo la nazione il cui Capo di Stato vanta di controllare l'economia del mondo, la sua salvezza.
In compenso siamo sudditi del modello televisivo americano, cerchiamo di aderirvi più possibile. Se il gigante è in crisi, siamo in cascata nella sua crisi. Ma questo significa che non sapevamo renderci conto delle guerre sul pianeta, alla stregua degli americani?
Evidentemente sì, visto che ancora oggi c'è chi titola che quel tragico evento terroristico ha cambiato tutto il mondo. Ne convengo che abbia cambiato l'economia, ma su quella c'erano già gravi dubbi relativi alle nuove tecnologie. Erano ancora pesanti i giorni della grande bolla sull'economia di internet.
Certo, senza quell'evento è vero che il mondo avrebbe percorso strade diverse. Ma c'è un pensiero che mi ronza in testa. Il pensiero è che nella corsa verso l'americanizzazione stiamo cercando di diventare americani, prima che partecipi dei dolori. Che non ci sia quindi una compartecipazione nei lutti, nelle disgrazie, del popolo americano: perché non l'abbiamo mai dimostrata verso nessuno, neppure negli eventi da centomila morti. Qui il cambiamento che sentiamo, nel mondo, è che se i vassalli americani del potere vacillano, noi tremiamo.
Anziché mostrare compostezza nel dolore, avversione al terrorismo, sfoggiamo un senso di emulazione che sfocia nel puro servilismo.

Il terrorismo sta cambiando il mondo?
Sì e no. Quelle che in tempi antichi erano devastazioni e saccheggi, compiute da eserciti regolari o mercenari, sono possibili in quest'epoca per mezzo del terrorismo. Non cambiano gli scopi, non cambiano i risultati (a volte intimiditori, altre volte cause di vendette). Non cambia la variabilità dei risultati.
Quel che è certo, nei risultati, è che adesso i paesi arabi siano molto più visibili. Tutti coloro che non sono arabi, sanno verso chi provare rancore, se non odio. L'espansione di quelle popolazioni, e di quelle culture, ha subito certamente una netta divisione: se prima potevano essere visti come stranieri, ora hanno guadagnato la posizione di stranieri indesiderati, anche da parte di molti moderati.
Il terrorismo ha cambiato il mondo dei terroristi stessi, che non sono più poco visibili. Hanno infatti garantito lo stato di possibile terrorista a qualunque persona del proprio gruppo sociale. In fondo era una buona pubblicità: adesso appaiono moltiplicati, senza essere aumentati.

Messi da parte i soldi, la redistribuzione del petrolio, l'esaltazione al razzismo e alle intolleranze religiose, che altro è cambiato al mondo?
Nei paesi poveri sicuramente niente, ci sono sempre le solite guerre da decenni, massacri e violenze, totalmente indipendenti dai brutti avvenimenti del 2001.
E' cambiato il messaggio sul valore del mondo. Ora è ancora più forte quello che ci dice quali sono le persone giuste per controllare potere ed economia. E' più forte la discriminazione razziale, sociale e religiosa.
Se da un lato ci sono le vittime dei massacri che ci dicono "non dimentichiamo", ha sempre più forza il messaggio di chi manipola le informazioni, siano terroristi fuori o dentro gli stati, che ribadiscono "questa è la ricorrenza, sai cos'è successo, impara a mantenere forte l'odio".
Tutti hanno un metodo per cambiare il mondo.