mercoledì, dicembre 07, 2005

Avere i numeri che contano, difettare nelle parole

Mi chiama al telefono, pochi minuti fa, una gentile signorina, che si presenta con nome e cognome, come dipendente di una prestigiosa università e chiede "vorrei parlare con il contact manager della vostra azienda".
Alla mia risposta che la suddetta azienda è composta solo dal sottoscritto, si è defilata rapidamente.
Meglio così: almeno non è finita della lunga lista di chi, trovando il mio numero sulle Pagine Gialle, cerca di vendermi merci e servizi d'ogni genere.

E' da notare come il progresso crei inutili mostri linguistici. Suppongo che il contact manager fosse il direttore delle risorse umane, in lingua italiana.
Certo sono più parole da dire. Fanno anche meno impressione, visto che ormai se non si lanciano espressioni in inglese (in qualsiasi ambito) si viene visti come poco proiettati verso il mondo.

Quel che trovo decisamente ridicolo è l'uso spropositato fuori dal contesto.
Io che lavoro in un settore altamente tecnologico, uso quotidianamente decine di vocaboli inglesi, ma esclusivamente quando sono in contatto con chi hanno senso: quando so cioè che sono compresi al volo da più persone, abbreviando altre spiegazioni.

Vedendo gli annunci di lavoro, sui quotidiani, si scende ancor più nel patetico.
Ogni professione dev'essere espressa in inglese, per cercare di dare un'aria di prestigio a chi ne offre l'impiego, probabilmente più che per chi aspira a occuparlo.

Il mio giudizio finale - e dopo di questo tutto il mondo scomparirà, of course - è che l'effetto sortito sia esattamente contrario, per chi ascolta, legge, e ha un po' di cultura.
Qualcuno che ricorre all'inglese (fuori da un contesto rigido), per esprimere un concetto già esistente nella propria lingua, non denota padronanza dell'inglese, ma palese ignoranza della propria lingua.
All'Università di Pisa hanno i numeri, difettano solo nel linguaggio.

Nessun commento: