mercoledì, ottobre 24, 2007

Diritto alla povertà

Chiunque intraprenda una qualsiasi attività commerciale o professionale, come buona regola per la fine dell'anno fiscale, non può che imbattersi in qualche bilancio.
Se fino a qualche anno fa lo scopo era di capire come andasse in generale il proprio lavoro, adesso è sicuramente primario il confronto con i noti studi di settore, di cui avevo già scritto e riscritto, diciamo pure a sufficienza.

La breve nota del giorno insiste un po' sulla fatica nel diventare poveri. Perché se credevate che fosse impegnativo diventare ricchi, c'è anche da sapere che è costoso impoverirsi.
Aldilà della spregiudicatezza degli imprenditori, che magari hanno conformato alcune attività ad apparire poco redditizie, c'è la difficoltà di chi realmente non incrementa di anno in anno i propri incassi. Come nel mio caso.
E' infatti richiesto dal Ministero delle Finanze che ogni attività non abbia mai un fatturato ridotto, rispetto all'anno precedente, e che anzi sia in continua crescita. Dove questo non avviene, la differenza fra il reale e lo stimato viene intesa come importo evaso. A quel punto, per un procedimento automatico, viene emessa una cartella esattoriale per quell'importo, oltre una multa.
La situazione appare paradossale, tanto che pensando alla compilazione automatica della richiesta presupponevo che un ricorso avrebbe fornito il chiarimento necessario.
In realtà, da quanto ho appreso, nessun ricorso viene accettato: al limite viene fatto qualche sconto, diciamo centinaia di Euro, sulle migliaia.
Insomma, la povertà bisogna pagarsela.

Per dirla tutta: chi opera correttamente, onestamente, deve finire col preoccuparsi. Perché basta poco per arrivare a pagare multe e tasse inique.
Mentre i molti che vivono di sotterfugi, di piccoli e grandi raggiri, possono al massimo vedersi ripresa una parte di quel che hanno evaso.
E' triste osservare che continua ad essere punito chi professa l'onestà, qualunque schieramento si avvicendi al Governo del paese. E' evidente che sono sbagliati i metodi, o perversi gli intenti, se non entrambe le cose.

venerdì, ottobre 19, 2007

In formazione

La comunicazione che può passare da questo weblog è invero limitata, in parte per le mie capacità ed interessi, e in parte per lo scarso numero di lettori.
Ogni weblog è una sorta di diario pubblico, infatti per scopi diversi avrebbe anche nomi diversi, quale forum di discussione oppure pubblicazione on-line.

In questi giorni sta sconvolgendo la rete Internet italiana una proposta di legge, che ha iniziato il suo iter lo scorso agosto e il passato dodici ottobre ha superato l'approvazione del Consiglio dei Ministri.
Lo scopo della legge, come ci viene raccontato, è quello di regolamentare certe pubblicazioni che non siano iscritte al Registro degli Operatori di Comunicazione, richiedendone forzatamente l'adesione. Chi sono questi soggetti?
Praticamente chiunque pubblichi qualcosa, inclusi i weblog.

La legge è confusa, e non poco. L'opinione di Punto Informatico è che non vedrà il termine del suo iter, mentre altrove si leggono commenti piuttosto vaghi.
Scade quasi nel ridicolo l'affermazione del signor Ricardo Franco Levi, che alla domanda su chi saranno i soggetti a doversi iscrivere al ROC, sborsando denaro, risponde "Non spetta al governo stabilirlo, sarà l'Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute davvero alla registrazione."
Insomma, lui ha solo proposto la legge, poi sarà qualcuno altro a spiegargliela: noi che ne abbiamo letto qualche stralcio non facciamo fatica a capirne alcune applicazioni.

In poche parole, Internet è un mezzo troppo libero, è così facile scrivere qualsiasi opinione, senza che possa essere combattuta con le più severe norme contro la diffamazione a mezzo stampa. Qual'è la soluzione?
Nella perversa mentalità del signor Levi, sembra essere l'equiparazione di Internet a qualsiasi altro mezzo di comunicazione. Dove la libertà d'opinione viene tenuta sotto controllo, ed è più facile rivalersi con un indennizzo monetario, quale deterrente verso ogni pensiero.
In effetti pure queste righe potrebbero causarmi guai giudiziari, se quella legge si applicasse già, e se il Levi giudicasse infamante l'accusa di mente perversa.
E se il gestore di questo servizio fosse in Italia, ovviamente: in tutti i paesi che non hanno un governo totalitario infatti non c'è restrizione del genere.

La caparbia idiozia con cui si continuano a produrre disegni di legge (e purtroppo anche leggi) non cessa mai di stupirci.
Così come appare chiaro che quell'idiozia è un fenomeno totalmente trasversale, senza uno schieramento politico di riferimento: pare veramente improbabile, riuscire a costruire una formazione di politici atti a governare questo Paese con un minimo di sale in zucca.

mercoledì, ottobre 03, 2007

Otto per mille e altri numeri

"A chi destina l'otto per mille?" -- alla domanda della commercialista, alcuni anni or sono, risposi ingenuamente "Lasci pure in bianco, che vada allo Stato".
Ebbi invece un chiarimento inaspettato, che non solo rivelò la mia dabbenaggine, ma soprattutto l'astuzia con cui se ne avvaleva qualcun altro. Andiamo per ordine: strettamente inverso, com'è mio solito ragionare, fasullo emule di Sherlock Holmes.

Il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un'inchiesta, giorni or sono, sulla destinazione dell'otto per mille dell'IRPEF (e un breve riassunto si trova anche sulla rete). Oggi ha ripreso l'argomento, probabilmente per le forti critiche ricevute, snocciolando così altri numeri.

"In fondo, se c'è chi li sceglie, avranno diritto di essere assegnati a piacere" è un commento che mi è pervenuto chiacchierando del primo articolo sul quotidiano.
Il ragionamento non fa una piega, se non ci fossero alcuni distinguo. Il primo riguarda sicuramente la modalità di raccolta, organizzata dallo Stato: perché raccogliere fondi in modo indiretto, anziché con una questua?
Perché se la carità volontaria ci costringe a frugare nelle tasche, il prelievo dalle imposte ci appare indolore: sono soldi che comunque avremmo sborsato.
Visto che il cittadino italiano medio non si identifica con lo Stato, che vive ogni tassa e imposta come profondamente inutile e ingiusta, non ha neppure coscienza di dove finiscano i soldi prelevati: li deve sborsare, tanto basta per lamentarsi.

Il racconto però, prende qui una piega da riassunto, visto che mi trovo solo ad esporre in breve quel che ci racconta l'articolo di giornale.
L'origine dell'otto per mille è da ricercarsi nel contributo dato dallo Stato per lo stipendio dei sacerdoti -- viene peraltro da chiedersi come mai vengano stipendiati dallo Stato italiano i rappresentanti di uno Stato estero (Città del Vaticano), ma non fermiamoci qui.
Se in origine serviva a quello, adesso non è più propriamente questo: i sacerdoti cattolici (originali destinatari dell'iniziativa) infatti sono diminuiti in numero, quindi i fondi raccolti sono notevolmente maggiori del necessario.
Dove vanno i soldi?

Nel caso della pubblicizzata emergenza tsunami, nei paesi del sud est asiatico, sei milioni di Euro andarono nelle spese pubblicitarie: realizzare un filmato di qualità, toccante, aveva i suoi costi.
Nell'opera caritatevole (quella pubblicizzata) sono finiti solo tre milioni di Euro, la metà del costo pubblicitario. Lo zero virgola tre per cento dei contributi dell'otto per mille, che per la Chiesa Cattolica si attesta sul miliardo di Euro l'anno.
Il contributo volontario sulle imposte ha fruttato così tanto? Non esattamente.

"..Se lei non specifica il destinatario dell'otto per mille, la quota non destinata a nessuno viene redistribuita fra tutti" -- a queste parole della commercialista risposi con un certo stupore, sentendomi pure un po' sciocco per non essermi documentato prima.
Quanti sono gl'italiani che non decidono un destinatario dell'otto per mille? Tanti, decisamente molti: quasi il sessanta percento.
Così, il maggior beneficiario del versamento, la Chiesa Cattolica, con meno del 37% delle firme, ottiene circa il 90% dell'importo disponibile. Con altre anomalie di contorno: è infatti l'unico beneficiario che riceve il denaro anticipatamente, mentre gli altri vengono saldati dallo Stato dopo circa tre anni.
Perché lo Stato non informa i cittadini di queste modalità? In fondo può esso stesso avvalersene, se i cittadini sottoscrivono di destinargli l'otto per mille.

Chissà quanto può rendere felici i poveri e gli emarginati il miliardo di Euro raccolto: la campagna pubblicitaria ci dice tutto quello che viene fatto con quei soldi.
Con tutti quei soldi?
In realtà l'investimento in opere di carità è solo il 20% del totale: il 29 settembre, per la prima volta, la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha pubblicato le cifre. Finora non aveva mai fornito cifre ufficiali, su un bilancio da un miliardo di Euro l'anno -- unico dei beneficiari a non rendere trasparenza.
Perché la CEI non redistribuisce l'intero importo in opere di carità, similmente alla Chiesa Evangelica Valdese?

Quindi adesso c'è almeno una chiarezza: 800 milioni di Euro l'anno, grazie ad un gioco di prestigio, passano dallo Stato italiano a quello vaticano, e oltre 500 milioni di Euro vi finiscono perché qualcuno non ha deciso dove andassero.