martedì, ottobre 31, 2006

Se lo dice lui

Il signor Paolo Bonaiuti, nella sua veste di portavoce del signor Silvio Berlusconi, ha commentato il rinvio a giudizio di quest'ultimo, per corruzione in atti giudiziari, dicendo testualmente "E' un'altro colpo basso contro Silvio Berlusconi che non ha niente a che fare con la giustizia e molto con la politica".
Ieri sera, quando ho sentito la frase citata da un notiziario televisivo, mi sono molto divertito al facile gioco a cui si prestava, con la minima differenza nell'inflessione di chi la pronuncia. Far transitare il soggetto "che non ha niente a che fare con la giustizia" è in effetti esilarante.

Quel che è piuttosto meno divertente è il significato serio della cosa. Allo scopo ricordo brevemente i fatti.
Un avvocato inglese, tale signor David Mills, invia nel 2004 una lettera al proprio commercialista per spiegare il guaio di 600.000 dollari incassati, di cui diventa difficile giustificare l'incasso.
La lettera, per motivi che non ricordo, viene acquisita dalla magistratura, che ovviamente non ne gradisce il contenuto.
Questo perché la motivazione dell'incasso, nelle stesse parole di Mills, è il compenso per aver pilotato la sua testimonianza in un processo, su richiesta di Mr. B -- che dai dettagli e dai processi a cui testimonia il Mills, non è difficile capire che non si tratta di Mr. Bean.
In effetti Mills sostiene nella lettera, così come in seguito, non di aver mentito, ma come dalle sue testuali parole:
[...] sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato momenti difficili, per dirla in modo delicato) avesse tenuto Mr.B fuori da un mare di guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo.
Insomma, non mentì, evitò semplicemente di dire quello che avrebbe fatto condannare il suo cliente. Semplicemente quello.
Rileggere le parole del signor Bonaiuti, citato prima, fa di nuovo sorridere.

Ma per ogni sorriso c'è sempre la serietà che torna a pesarci, non si scampa.
Il fatto triste, di cui ho il continuo presagio, è la comunanza d'intenti fra i soggetti d'espressione politica, sia quelli direttamente al potere che quelli d'opposizione.
Nei palazzi della politica, ed anche in quelli di controllo del grosso dell'economia, ho il timore che circoli chiaramente un messaggio: "Ma se lasciamo che davvero questo signore sia riconosciuto colpevole, chi ci proteggerà quando anche noi e i nostri amici saremo pescati in situazioni analoghe?"
Ecco perché andava bene il messaggio del Berlusconi disonesto in campagna elettorale, ma non dopo. Raggiunto lo scopo è sempre stato meglio non toccarlo più di tanto: così avvenne con il controllo quasi totalitario delle reti televisive (che nessuno liberò, nel precedente Governo che gli si opponeva), così penso che succederà ora.
Se ce lo dice Bonaiuti, che qualcosa o qualcuno ha molto a che fare con la politica, non rimane che credergli, no?

Quello che mi domando - probabilmente con l'ingenuità di chi legge la Costituzione della Repubblica e la considera un documento serio - è quale possa essere il modo per garantire la giustizia e la sua equità.

martedì, ottobre 24, 2006

Eresie tecnologiche

Vagare fra i canali di trasmissione televisiva, alla ricerca di una programmazione interessante, almeno divertente, diventa sempre più difficile.
Mentre scovare assurdità è sempre più semplice.

Una trasmissione televisiva, che credo si proponga a metà fra i thriller e la risoluzione di piccoli casi popolari, stava giusto parlando di qualcosa di tecnologico, mentre casualmente passavo in rassegna i vari canali.
Narrava di una persona scomparsa (non ho seguito la storia in dettaglio), e partiva dal presupposto che era stata condotta da qualcun altro sul luogo dove è stato rinvenuto il suo telefono cellulare.
Secondo i narratori, era avvenuto perché il telefono non era solo stato spento, ma volutamente ne era stata scollegata la batteria da qualcuno -- nelle immagini video seguiva un esempio di qualcuno che rimuove una batteria da un telefono cellulare.
Questo fatto, a loro dire, perché un telefono cellulare, anche se spento, sarebbe individuabile dalla centrale più vicina.
Questa favola metropolitana pare che non sia la sola a resistere, nella subcultura pseudo tecnologica che ci avvolge.
Certo, è possibile che allo spegnimento possano essere inviate informazioni di disconnessione alla centrale, che in caso di distacco immediato della batteria possono non essere inviate; il sostenere invece che il telefono, spento, sia continuamente in collegamento con la centrale è pura fantasia.
Primariamente ha degli svantaggi pratici: a che serve consumare energia dalla batteria e risorse di trasmissione sulla centrale?
Secondariamente è facilmente verificabile che non sia così: se avete il telefono acceso, molto vicino ad una sorgente audio (radio, televisore, ecc.) vi accorgete spesso dei segnali di connessione alla centrale, sotto forma di disturbi sonori. Fare la stessa prova con un telefono spento è cosa facile, e infatti non crea gli stessi disturbi.
Pensate poi alla strumentazione di bordo di un aereo: un solo telefono cellulare acceso può infastidirla anche molto, durante alcune fasi vicine a terra. Infatti vi viene solitamente chiesto di tenerlo semplicemente spento, non di scollegare la batteria. Su un volo con un centinaio di passeggeri, di cui almeno la metà ha un telefono cellulare, se bastasse la batteria collegata a stabilire la connessione con la centrale, sarebbe un bel fastidio partire e atterrare.

Le pubblicità sono poi altre fonti inesauribili di racconti incredibili.
Ho sentito solo ascoltandola, senza troppi dettagli, una pubblicità che prometteva un ottimo trattamento della pelle con una crema idratante che non agiva solo in superficie, ma nel DNA.
Non so bene se la cosa suoni poderosamente tecnologica, ma a me dà due sensazioni sgradevoli.
La prima è nel caso che la pubblicità possa dire il vero: ci siamo scandalizzati per la clonazione della pecora Dolly e ora usiamo un prodotto cosmetico che veramente altera il nostro DNA? E' davvero possibile vendere un simile prodotto come cosmetico? Non c'è nessuno che si preoccupa di quel che può significare un'alterazione del DNA?
La seconda sensazione è che sia l'ennesima sciocchezza, quindi non tanto lecita, visto il rigido codice di regolamentazione pubblicitaria.

Saltando ancora: la moda recente è poi la ricerca di soluzioni new age per tutto, mischiando la letteratura leggendaria (con forte appoggio della comunicazione via Internet) con pezzi di realtà tecnologica.
E continuano a fare sempre gli stessi errori: semplificando (con errori) le cose difficili e costruendo complessità su quelle semplici.
Leggo su un settimanale (Il Venerdì di Repubblica, 20 ottobre 2006, n. 970) un articoletto sul mal d'ufficio.
In realtà lo scopo primario dell'articoletto sembra giusto la promozione di un libro, guarda caso diretto all'argomento, che ci spiega come gli ambienti siano insalubri, ma anche come renderli salutari. Pare, dal riassunto che ne fanno, con i soliti criteri misti di feng shui e realismo.
Che in mezzo a tanti buoni consigli ci siano anche delle leggerezze, si evince dalla terminologia adottata da chi scrive.
Spesso certi articoli con un minimo di profilo tecnico, anche solo a livello saggistico, sembra siano infatti redatti da persone disattente, con nessun rigore verso i termini esatti.
Leggo infatti che si sconsiglia l'uso di "tubi al neon", mentre si preferiscono i "True-lite fluorescenti".
Ce li presenta come due cose fondamentalmente diverse, mentre non lo sono poi tanto. E in particolare, i mitici tubi al neon perlopiù non esistono. Già, perché raramente è il neon il gas impiegato nei comuni tubi fluorescenti (che già possediamo, anche se non sono True-lite). La maggior parte del neon, nei tubi fluorescenti di uso quotidiano, è sicuramente nello starter, una piccola lampadina al neon che serve per innescare l'accensione del tubo vero e proprio -- in qualche caso è possibile vedere la piccola lucetta color arancio illuminarsi, prima dell'accensione del tubo fluorescente.
Per non parlare delle piante del genere Tillandsia, che certo non si nutrono di "radiazioni fisiche", come citato dal suddetto articolo. Nemmeno un episodio di Star Trek sarebbe arrivato a tanto.
E dire che sarebbe bastato un giretto su Wikipedia, per evitarsi una figura ridicola.

mercoledì, ottobre 18, 2006

Restituire dignità

Ho apprezzato molto l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace al fondatore della Grameen Bank, anche se non conosco in dettaglio le loro operazioni.
Ne avevo sentito già parlare alcuni anni fa, e l'impresa mi sembrava decisamente lodevole.
Il modo in cui va decisamente al contrario, rispetto alle altre banche del mondo è il simbolo più chiaro di restituzione della dignità a chi vive nella povertà estrema.
Fornisce prestiti di piccolissime entità (l'equivalente di poche decine di dollari americani) e non richiede niente in garanzia, non fa firmare contratti legali, non costringe alla restituzione. E' anche aperta a fornire nuovi prestiti a chi non ha potuto restituire i precedenti.
I loro clienti, o meglio le loro clienti (visto che al 96% sono donne) vivono in condizioni poverissime, ma uno dei fondamenti è di offrire possibilità anche a chi vive di elemosine, dando quel poco denaro per incoraggiare il potenziale umano, ad esempio trasformando progressivamente il mendicare in un'attività commerciale. E non si ferma qui: incita anche al migliorare le condizioni di vita dei loro clienti, l'educazione dei figli, le condizioni sanitarie e il rispetto dell'ambiente.

Se pensate che questo finisca per alimentare frodi sappiate che ben il 98% dei prestiti viene restituito, e la banca è in attivo al 2005 per 15,2 milioni di US$
Certo, una quindicina di milioni di dollari sono poca rendita per una banca, ma lo scopo non è l'attività di profitto -- con queste cifre non potrebbe proprio esserlo.

Ripensate ora alle banche a cui siamo abituati, qui.
Spero che il pensiero vi susciti lo stesso senso di disgusto, di schifo, che genera in me.
Sia ben chiaro, non perché io voglia predicare l'uguaglianza socialista, l'utopia che ha creato nazioni in cui (quasi) tutti sono uguali fra loro, ovvero immensamente poveri (penso a certe nazioni del continente asiatico).
Sono certo che però debba esserci una misura, per la quale devono corrispondere persone dalla vita dignitosa, anche se non ricca, in proporzione alla quantità di persone estremamente facoltose. Detta in altre parole: è giusto che chi azzarda di più (legalmente) ne abbia guadagni maggiori, in caso di successo; allo stesso tempo è un motivo valido per ridistribuire una minima parte di quella ricchezza, per far sì che altri superino la soglia di povertà.

Ho seguito qualche giorno fa pochi minuti di un dibattito televisivo. Ho cambiato canale quando la domanda del conduttore, il signor Giuliano Ferrara, ha posto come questione le tassazioni al merito. Voleva insomma sapere, con chiaro intento provocatorio, se proprio chi è stato bravo ad accumulare denaro, chi ha avuto il merito di guadagnarselo, doveva farsi carico di pagare le tasse.
Letta per intero, diceva chiaramente: "perché non far pagare le tasse solo a chi non è capace di diventare ricco?"
L'idiozia della domanda, per quanto sembri considerevole, era pressoché nulla, rispetto all'arroganza ed alla spregiudicatezza del signor Ferrara. Del resto, quel modo di porsi, è cronaca dei tempi recenti, sia da parte di chi amministra poteri forti come di chi ne è servitore.
Concluderò con un'ironia, come mi piace spesso fare: pochi dollari possono restituire piena dignità del vivere a una mendicante, eppure non riesco ad immaginare nessuna cifra che possa dare dignità al signor Ferrara ed a coloro che rappresenta.

martedì, ottobre 17, 2006

Città che cambiano

Questa mattina ho avuto occasione di transitare per una zona di Firenze che credevo di conoscere assai bene. Ho trascorso lì i cinque anni di scuola superiore, e a distanza di qualche anno avevo lavorato poco distante, per quasi altrettanto tempo.
Sono stato sorpreso, arrivando in zona che il traffico (all'epoca già caotico, parlo di una decina d'anni fa) fosse decisamente aumentato. I parcheggi già difficili si sono trasformati nella comune abitudine di sostare al centro della carreggiata. Poi ho capito il perché.
La strada adiacente, stretta fra palazzi e la ferrovia, era sempre stata ampia, tanto che aveva anche spazio per il parcheggio sui due lati. Solo che ora, quasi non esiste più, se non per una piccola corsia di scorrimento a senso unico.
Cos'ha preso il suo posto? I binari per i treni ad alta velocità.
Perché dalla periferia fino al centro, in nome dell'alta velocità, sono state rase al suolo intere palazzine. Anche la stessa centrale del latte è stata rimossa, fatto che ha creato non poche difficoltà economiche alla stessa, per la nuova sede.

E' vero, le città cambiano, anche dove meno te lo aspetti.
Vale ad esempio per gli sconvolgimenti che sta portando la futura tramvia urbana di Firenze. Sembra infatti che tutta una città sia rivoltata da capo a piedi, per le linee ferrate.
Saranno davvero utili come ce le prospettano?

Ho forti dubbi sulle nuove linee ferroviarie nazionali, viste le attuali.
Vent'anni fa i treni erano più lenti, ma c'è da dire che i ritardi erano tutto sommato modesti, i servizi adeguati. Oggi pare invece che abbiamo treni velocissimi, ma che portano solo nei centri cittadini.
Il treno ti porta nel centro di ogni città. Mi pare che fosse questo uno degli slogan di alcuni anni fa: un motto sicuramente veritiero. Ma per chi non abita nel centro cittadino, come si arriva a prendere il treno suddetto?
Con un autobus, o un altro treno, visto che il centro cittadino è spesso inaccessibile per il traffico stradale. Con altri mezzi insomma che spesso portano ritardi pari alla stessa durata media di percorrenza. Non è così strano, da queste parti, che un treno locale, per andare in centro a Firenze, accumuli ritardi di mezzora su percorrenze di mezzora.
Pare quindi che le linee ferroviarie puntino tutto sull'accentrare il transito nelle grandi stazioni centrali, all'esatto contrario della necessità di decentralizzare il traffico delle città.
Senza contare che le medie distanze tendono a diventare quasi più economiche con un volo aereo.

Cosa vedete nel futuro del trasporto? Come saranno le città fra cinquant'anni?
Se non intervengono fattori ad abbreviarmi la vita potrei riuscire a vederlo con i miei occhi, chissà, sarei davvero curioso di vedere il futuro.
Mi chiedo se pian piano non verranno selezionati sempre più edifici degni di restare in piedi, facendo posto a nuove strade, ferrovie, tramvie.
La concezione storica di città sarebbe, a mio parere, da rivedersi. I mezzi di trasporto, quelli di comunicazione, ci hanno liberato dalla necessità di accentrare. Non serve più avere una città nel senso di insediamento che contiene tutto. Se vogliamo è anche un bene: è possibile vivere nelle periferie, potersi spostare su necessità, ma non sentirsi sperduti, senza le comodità cittadine.
Probabilmente i mezzi di trasporto dovrebbero premiare i nuovi agglomerati esterni alle città, quelli che non sono ancora troppo grandi, ma che hanno possibilità di crescita più distribuita.
Ma ci vogliono soldi.
E i soldi s'investono dove rendono altri soldi, già.
Sono sicuro che ci siano molti esperti di urbanistica con tante idee, molti esperti dei trasporti con altrettante, ma né gli uni né gli altri le vedranno mai realizzate. Perché il benessere, il buon vivere dei molti, raramente coincide con i guadagni e le speculazioni dei pochi.
E ora chiedetemi come penso che cambieranno, le città.

giovedì, ottobre 12, 2006

Fenomeni stupefacenti


In questi giorni infuria la polemica sul caso della trasmissione televisiva Le Iene, e sul test che ha condotto su una cinquantina di parlamentari, a loro insaputa, sul probabile consumo di stupefacenti.
Non ho seguito la vicenda nei dettagli, e con questo, come in ogni altro caso in cui scrivo "non ho seguito nei dettagli", intendo che non ho letto ogni articolo, pro e contro, per maturare infine un giudizio ragionevolmente distaccato.
Quello che suggerisce infatti è anzitutto lo scatenarsi dell'emozionalità popolare. Davanti al fenomeno, alla denuncia di molti dei parlamentari controllati come consumatori di stupefacenti, c'è stata una rivolta della popolazione, come hanno rilevato molti sondaggi d'opinione.

La rivolta è sicuramente motivata dal sentirsi offesi, dopo aver scelto per un incarico istituzionale dei politici, che seguono le sedute del parlamento con possibili strascichi di sostanze stupefacenti nel proprio organismo. Viene propriamente da chiedersi se siano in sé, mentre discutono di leggi e disposizioni che influenzano l'intera nazione.

Faccio un passo indietro, illustrando la mia posizione sulle sostanze stupefacenti.
Non ho mai fatto uso di quel tipo di sostanze, ed in questo potrei includere anche il comune tabacco, che ho sperimentato in un paio di sigarette quando ero molto giovane, ed ho deciso non valesse granché. Viene da dirsi per fortuna, visto che poi l'effetto di dipendenza, la tossicodipendenza, diventa difficile da sradicare, visto che ci sono basi chimiche e fisiologiche a rendere complicata la rottura con la dipendenza (già indipendenti dalle problematiche psicologiche).
Passando comunque la gioventù in ambienti spesso fumosi, visto che per decenni le leggi sul fumo sono state bellamente ignorate, ho tollerato spesso questo disagio, seppure sia sempre rimasto un fastidio per me.
La materia delle sostanze tossiche illegali (visto che il tabacco è legale) è poi altra storia.
C'è sicuramente una buona motivazione per cui rimangano tali, visto il forte guadagno di chi li spaccia. Così come c'è una motivazione legittima, nel cercare di evitare il dilagare di prodotti falsamente benefici, che finiscono per raggirare i consumatori meno attenti: il drogato è sicuramente una persona che viene ingannata, con la promessa della soluzione chimica ai suoi dolori, alle sue ansie.
Ci sono poi sostanze con effetti più o meno pericolosi sulla salute, da quelle che devastano rapidamente l'organismo a quelle più subdole, con effetti psicotici anche a lungo termine.
Non escluderei da questa definizione anche tanti medicinali leciti, le pillole della felicità dispensate con estrema disinvoltura anche da molti psicoanalisti e psichiatri, se non perfino da medici di base.
Il punto sostanziale, sulle dipendenze da sostanze chimiche psicogene, è che qualcosa non funzioni in modo adeguato fin dal principio, nell'individuo che inizia a consumarne. I decorsi nell'uso di tali prodotti sono svariati, anche pericolosi per gli altri -- quando il consumatore ad esempio guida un mezzo o aziona un macchinario.
Penso quindi che la regolamentazione su certe sostanze si divida in due punti
  • Informare il consumatore e tutelarlo: deve essere cosciente fin da prima dei rischi, senza prendere la cosa come un semplice svago. Da questo punto di vista ci sono comportamenti preoccupanti, come ad esempio quando si cerca di depenalizzare la tossicodipendenza: in quei casi infatti si sentono spesso motivazioni di una pericolosità inesistente, che non corrisponde a verità.
  • Prendere atto che sia un consumo legale o illegale, ci sarà sempre chi ne fa uso: costoro devono essere tenuti lontano da comportamenti pericolosi per gli altri. Quindi evitare che possano guidare un autoveicolo o un motoveicolo, evitare che possano azionare un macchinario industriale, ma al limite anche evitare che possano prendere decisioni sull'andamento di una nazione, dall'economia all'assetto militare, per citarne un paio.
Detto questo, risulta evidente come sia poi complesso nella pratica. Non si può infatti sapere se il tossicodipendente, sotto l'effetto di sostanze psicotrope, si sentirà solo euforico in una festa fra amici, oppure se ne avrà una deriva che lo porti ad atti delittuosi anche gravi.

Ho letto oggi un interessante articolo del signor Stefano Rodotà, che valuta la situazione dalla sua posizione di giurista e dal suo passato di Garante per la Riservatezza (sì, c'è una parola italiana per tradurre privacy, anche se tristemente ignorata).
Il Rodotà ci ricorda di fare attenzione ad un particolare significativo: se lasciamo che la riservatezza degli odiati politici sia violabile, diamo libertà affinché diventi violabile anche la nostra. Sarebbe così facile per un nostro datore di lavoro prendere dei campioni biologici da una tazzina di caffè che abbiamo usato, o magari anche da un mouse o una tastiera, fare delle analisi e decidere che magari l'azienda non ha più bisogno di noi, perché soggetti a qualche malattia.
Ipotesi sempre più probabili di questi tempi, visto che spariscono i lavori a tempo indeterminato, i lavoratori autonomi hanno contratti sempre più labili, e per prendere un campione di DNA la tecnologia non manca.
Interessante la conclusione di Rodotà quindi, sul fatto che in proposito al prelievo di materiale biologico ci sia una prima eccezione da farsi: indipendentemente dal fine, i mezzi usati sono gravemente illegittimi. Tollerarli solo perché ci piace il fine è inaccettabile.

Resta però un nodo da sciogliere, ed è quello della compatibilità fra gl'incarichi istituzionali e le sostanze psicotrope.
Sono certo che molti sarebbero contrari all'elezione ad incarico parlamentare di una persona dimostratamente psicotica -- mi riferisco ovviamente alle nazioni che approssimano il concetto utopico di democrazia.
Ma quanti vorrebbero vedere come parlamentare una persona fondamentalmente sana che è usa indurre in se stessa, artificialmente, degli effetti psicotici?

La mia domanda non è sull'onda della rivolta popolare, come dicevo: ho preso tutta la notizia con poco fervore, visto che non mi sorprendeva il risultato.
Il finale, come al solito, sarà quello di tanti eventi simili.
Ricordo che già nel precedente parlamento siedevano, anche con incarichi importanti, dei politici con sentenze penali in giudicato, quindi condannati in via definitiva. Questa volta gli aggiungeremo anche l'uso di sostanze stupefacenti: e che sarà mai? La loro sicurezza è che finché i giudici coincidono con i giudicati, sarà ben difficile che qualcuno si suicidi politicamente.
Finché non si troverà un modo serio per licenziarli, torneranno sempre lì. Forse sottoporli tutti quanti ad un contratto a breve termine, dove i datori di lavoro sono i cittadini, potrebbe spingerli a comportarsi meglio.
Per il momento ci possono sempre e comunque citare la frase che si legge all'uscita di certi esercizi commerciali, "Grazie di averci scelto", non senza un sorrisetto sardonico.