mercoledì, dicembre 22, 2010

Plastici ecologismi

C'è del vero nell'affermazione secondo cui molti rifiuti vengano spesso abbandonati nell'ambiente. E' infatti facile osservarlo un po' ovunque nel mondo, seppure in misure diverse, e con impatto diverso.
Con l'imminenza del nuovo anno si torna quindi a parlare dei tanto odiati sacchetti di plastica per gli acquisti, che verranno banditi da una legge a partire dal primo gennaio (salvo l'esaurimento delle scorte).
Ne leggevo qualche dato in un articolo in rete, che in realtà partiva da una notizia del mondo politico, legata alla legge in questione. L'articolo comincia a elencare numeri e nomi di chi avrebbe fatto ricerche esaustive sull'argomento (ecologico), e qui inizia ad inciampare nelle solite leggerezze, per amore di notorietà anziché di cronaca.
Prima ci racconta che "Uno studio dell'Agenzia per l'Ambiente del governo australiano ha dimostrato che un chilo di sacchetti provoca emissioni di CO2 per circa 2.109 Kg". Ora la citazione troppo precisa della fonte originale ha creato il primo inghippo: il punto decimale dei paesi britannici è qui un separatore di migliaia, per cui paiono eccessive le oltre due tonnellate, a partire da un chilogrammo. Magari erano 2,109 kg (con la cappa minuscola, sì), ma prodotti come? Nel ciclo completo dalla fabbricazione allo smaltimento? Bruciando il sacchetto? Non si sa, ma non importa: l'importante è dare un numero alla bestia.
Poi leggiamo nel seguito delle varie alternative, come i sacchetti in tessuto, magari di cotone, ma con un avvertenza "Meno indicato il cotone da coltivazione non biologica: i pesticidi usati per produrlo, possono inquinare e in alcuni casi, comportano un elevato impiego d’energia."
Evidentemente l'articolista ha consultato altri vecchi articoli, poco edotti sull'argomento. Il cotone non biologico è infatti l'esempio che più dovrebbe infastidire i sostenitori del biologico ad oltranza. Già, perché il cotone ottenuto per manipolazione genetica (il cotone BT) ha avuto successo proprio per aver azzerato l'uso dei pesticidi, aumentando la produzione (quindi con minori costi e energia impiegata), ed aumentando in modo evidente la salute di chi lo produce, oltre a migliorarne la qualità di vita.
Se però non avete letto la storia del cotone BT, tanto vi basta: fa male all'ambiente, questo è il messaggio, vero o meno. Così come i sacchetti di plastica, di cui non sappiamo però quale percentuale (qui da noi, dove si legifera in merito) finisce per inquinare (se abbandonati nell'ambiente). Ci raccontano dell'inquinamento studiato in Australia, dei rifiuti galleggianti nell'Oceano Pacifico, ma al contempo non sono in grado di smaltire i rifiuti delle città campane.
Questo metodo del legiferare, anziché dell'educare, tratta la popolazione come bambini ritardati, a cui si tolgono dalle mani i giocattoli pericolosi. Viene da chiedersi se siamo così dannosi in modo irreversibile, o se lo è chi emana leggi. Se questi ultimi sono al livello dei giornalisti che ne scrivono, non ho dubbi sulla preponderanza della seconda ipotesi.

lunedì, novembre 29, 2010

Rivelazioni clamorose?

Han destato clamore le rivelazioni del sito WikiLeaks, sulle annotazioni e le relazioni dei diplomatici statunitensi su uomini e donne influenti di un po' tutto il mondo. Così perlomeno leggo dai vari giornali e contenitori di notizie.
Personalmente ero incuriosito dal poter leggere chissà quali notizie scottanti, mentre si son viste ufficializzate tutte cose più meno note.
Prendiamo il caso di un personaggio italiano, quel signore che ricopre una carica rilevante nel Governo in carica. Fonti diplomatiche americane lo descrivono come "incapace, vanitoso, debole e stanco per i troppi party". C'era bisogno di un rapporto con il numero di protocollo di un ufficio del governo statunitense, per trovare scritta in rete una simile descrizione? Se ne fosse stato chiesto dettaglio a qualche cittadino italiano, magari vittima della crisi economica e del già precedente sfascio istituzionale, non sarebbe stato difficile ottenere lo stesso. Diciamo pure che si sarebbe ottenuto un giudizio anche più duro.

Le diplomazie richiedono invece toni pacati, angoli smussati, pareri evitati. Il clamore dunque è tutto nei fatti (del tutto naturali) che un diplomatico descrive ai propri superiori con franchezza, rispetto a ciò che vede, percepisce, desume. Finanche esprimendo solamente un parere o un'opinione personale.
Qualcuno credeva ancora che tutto uno stato potesse avere un'opinione unica, una visione unica, un'espressione unica?
Ci voleva quindi WikiLeaks, per scoprire che clamorosamente, mentre gli Stati Uniti d'America stringevano mani ed alleanze con il nostro Paese, avevano decine di funzionari in disaccordo, e che consigliavano poca fiducia verso i nostri politici. Che notizia.
Dal poco che ho letto, anche i pareri su altri capi di stato, e persone influenti, non disegnano alcuno scenario più inquietante di quello che vede chiunque, con gli occhi aperti. Ma era opportuno non dirlo, perlomeno in pubblico.

Il falso moralismo è persino più dilagante della diplomazia, in fondo. Forse lo affermo perché abito in Italia, dove su questa disciplina abbiamo maestri illustri. Citiamo alla rinfusa un po' tutti i politici, ma si distingue in questo senso anche un potere forte come quello della Chiesa Cattolica, ospitata qui a nostre spese da sempre. Penso così alle giornate di celebrazione della famiglia cattolica, solitamente presiedute da pluridivorziati, fuori dalle leggi del cattolicesimo, ma dentro quelle del potere e del denaro. Oppure ai funerali solenni per qualche ex-dittatore con decine di migliaia di morti e torturati al seguito, ma negati ai singoli sofferenti che chiedono il diritto per se stessi alla morte.
Non ci sconvolge quindi che un tenutario di postribolo amministri part-time la nazione, figurarsi se poi gli viene anche riconosciuto il merito di riuscire a conciliare due cose talmente diverse.

Sempre su un quotidiano, qualche settimana fa, venivano riportati i risultati di alcuni sondaggi. Premesso brevemente che trovo i sondaggi scientificamente inapplicabili, ne erano significativi in ogni caso alcuni risultati, quasi indipendentemente dalle cifre numeriche.
Nel primo dei due si chiedeva all'intervistato cosa ne pensava di quel signore detto sopra, che in carica per il Governo dell'Italia, si concedeva frequenti distrazioni con giovani anche minorenni, in gruppi, a pagamento. Oltre un 30% di questi rispondeva che non c'è niente di male, probabilmente ripensando che ogni signorotto medievale faceva sicuramente lo stesso.
La seconda domanda verteva sulla telefonata fatta da questo signore, per togliere dagli impicci una delle sue conquiste, minorenne, rea di furto, detenuta in Questura a Milano. Alla questione se fosse grave, l'aver fatto pressione sui poliziotti, per la liberazione della fanciulla, condendo l'insistenza con una fandonia, i "no" e i "non saprei" superavano ampiamente il 40%. Insomma, quasi per la metà degli intervistati, le bugie e l'arroganza di un potente, di fronte alla legge, sono cosa accettabile.
E io dovrei trovare clamoroso WikiLeaks?

Cerco disperatamente qualcuno che mi spieghi l'interesse degli italiani per i serial polizieschi e i thriller: quale interesse ne possono avere, dalla visione, se la quasi totalità di questi si conclude con l'arresto dei malfattori?
Visto che promuovono con il voto e con le opinioni, dei delinquenti al potere, trovo le cose piuttosto discordanti.
Pensate quale clamorosa rivelazione, se un politico straniero si chiedesse in pubblico com'è possibile che non ci si ribelli a una casta di politici così spudoratamente disonesta, capace di trascinare il resto del Paese nel baratro economico, salvando gli interessi di pochi oligarchi. Certo se lo chiedono i comuni cittadini, di altri paesi del mondo, quando pensano all'Italia, ma questo non fa clamore.

La prossima clamorosa rivelazione sarà sul sole che splende anche dietro alle nubi. Ma da qui resterà difficile da credere, perché non si annunciano schiarite.

venerdì, ottobre 22, 2010

Meditazioni Truffaldine

Ogni qualvolta mi trovo a vedere, leggere, ascoltare, i mezzi d'informazione, trovo ormai inevitabile adottare un atteggiamento critico. C'è da dire che non è un male avere proprie opinioni, è altrettanto un bene avere conoscenze allargate su tutto quello che ci riguarda, e per finire è sano accogliere ogni informazione con mente critica, anziché passiva.
Se l'atteggiamento critico mi permette spesso di vedere oltre i dati forniti da articoli roboanti, allo stesso modo ha peggiorato il modo in cui acquisivo conoscenze generali, ad esempio leggendo qualche giornale quotidiano.

La prima grande delusione è che ormai non ci si salva più dalla manipolazione, non esiste più una semplice cronaca dei fatti su nessun mezzo d'informazione. Ogni notizia viene commentata, alla ricerca delle spigolature piccanti, del trigger point come lo definirebbero gli anglofoni, il punto critico che scatena l'interesse, il grilletto che fa sparare in alto il nostro interesse.
Sconsolatamente si applica a un po' tutto. Vada per gli articoli di politica, in fondo con quelli è facile premunirsi e cercare di interpretare i fatti secondo il punto di vista di alcuni commentatori. I fatti e misfatti di cronaca nera seguono lo stesso andamento, i giornalisti cercano di darci più informazioni di quelle che hanno a disposizione. Così è per l'economia e la finanza, passando per la moda e la cultura, finendo anche per toccare quello che dovrebbe essere informazione scientifica.

Leggevo quest'oggi un quotidiano, uno di quelli ancora composti da fogli di carta, nonostante qualche articolo del passato li avesse già condannati alla fine, in favore dei giornali elettronici.
Come ogni giorno mi districavo nell'analisi dei contenuti, per cercare di trovare le notizie originarie, senza gli abbellimenti, fuori dalle trovate sceniche. Già questo è appunto difficoltoso.
Mi imbatto così in una paginata in proposito ad una scuola, italiana, dove gli alunni sono diventati tutti più bravi e più buoni, seguendo la Meditazione Trascendentale (MT o TM, a seconda della vostra lingua madre). Ora, avendo letto un interessante approfondimento qualche tempo fa, ho compreso subito che in quest'articolo non avrei trovato nessuna notizia rivoluzionaria.
Il signor Giuseppe Videtti, che firma l'articolo, evidentemente non ha avuto molte fonti per il suo articolo, tranne i comunicati degli adepti della Maharishi University. Di sicuro non ha letto l'interessante "Fandonie - Flim Flam!" di James Randi, dove un capitolo è dedicato all'imbarazzante organizzazione suddetta, e alle sue paradossali affermazioni. Sarebbe stato sufficiente anche solo consultare le pagine di Wikipedia sulla MT, che pur essendo poco neutrali, secondo la politica stessa del sito, forniscono interessanti spunti su cui... meditare. Un segnale interessante viene sempre da quelle discipline che offrono risultati in proporzione a quanto si pagano i corsi avanzati.
Solitamente si hanno dei sospetti, se qualcuno vi offre a cento Euro i numeri per vincere sicuramente centomila Euro con l'estrazione del Lotto. Se poi vi aggiunge che con mille Euro ve ne farà vincere almeno un milione, e siete un minimo svegli, potete seriamente cominciare a dubitare della sua buona fede.
Con la Meditazione Trascendentale pare invece che non sia così, evidentemente i suoi sostenitori sono ben selezionati fra chi non ha i dubbi suesposti, oppure fra chi si spartisce gli incassi (quelli veri).
In fondo perché dubitare, se un tale metodo afferma di portare talmente tanto benessere, provato scientificamente, da far azzerare la criminalità in una città, e condurre il capo della polizia a licenziare i dipendenti per mancanza di misfatti?
Forse perché la ricerca scientifica citata in proposito, cercandola nel mondo reale, non esiste, non risulta pubblicata. Ah.
Forse perché qualcuno ha preso in mano il numero di denunce e di arresti, di quella città, e conti alla mano scopre che non solo non sono azzerati, ma sono aumentati come tutta la media nazionale. Ah.
Forse perché telefonando al capo della polizia, per chiedere chiarimenti sulla loro inattività si sente rispondere con una risata, e con il bando di arruolamento di nuovi agenti. Ah.

In fondo il mondo non è tanto più triste perché non troviamo nuovi guru che ci salvano come promesso, ma perché troviamo tanti nuovi truffatori che fanno grandi affari, grazie anche alla nostra ingenuità (oltre che alla loro bravura nel raggiro).
E non mi riferisco solo a chi promette di meditare levitando in aria (com'era nel programma della MT, fra le tante cose), ma anche a chi ci confeziona quotidiani cosiddetti d'informazione. Che più propriamente nascondono qualche informazione sparsa, in pagine di racconti fantasiosi, racconti aneddotici, superstizione assurta a verità assoluta, piccoli e grandi raggiri, il tutto condito infine dai messaggi pubblicitari espliciti.
Penso proprio che nel mondo della carta stampata, si possa scegliere oggi in una vasta gamma di deformazioni dell'informazione, parlando più propriamente di quotidiani di disinformazione. Da quelli spudorati, che in fondo (anche se gretti) offendono con moderazione il buonsenso, a queste fandonie ben congegnate (e in questo c'è una scienza), gravemente offensive.
Che dire, c'è di che meditare.

martedì, giugno 08, 2010

Vite inesperte

Non appena si ha l'età per procreare, con maturità, si tende a valutare chi è molto più giovane con dei paternalismi. Il fenomeno si esaspera solitamente nelle espressioni che vogliono i giovani "non più come una volta".
Sotto un profilo sociologico, ma anche filosofico, l'espressione è ovviamente ridicola. Ovviamente, sia i giovani, che i vecchi, ma anche le persone di mezz'età e i bambini, non sono mai un'esatta replica del passato. Si scopre così, inevitabilmente, che gli stessi periodi della nostra età, in tempi diversi, hanno usi e costumi diversi, anche restando nella stessa città o paese. Questa scoperta genera spesso disappunto, in chi è abituato a pensarsi come al meglio per i propri ideali, la propria famiglia, o ad esempio il proprio gruppo sociale.
Cercando invece di tendere al meglio, aggiornandosi con i tempi, si vive con minori sorprese di sdegno, e un maggiore senso di comprensione degli altri.

Cosa ricordate di migliore, nei tempi andati? Qualcosa può essere comunque migliorato, in quelli odierni, oltre ad essere cambiato.
Ricordo da sempre delle persone superficiali, di ogni età, così come le vedo oggi. Rimane un po' difficoltoso giudicarle dal punto di vista di una diversa età, restando attento a non cadere nel tranello detto sopra: si rischia sempre di valutarle con comportamenti inadeguati, dal punto di vista del nostro presente.

Ciò detto, con le cautele del caso, vado quindi a sottoscrivere il grave rischio di superficialità dei più giovani, in questo ventunesimo secolo.
La prima causa è da attribuirsi alla velocità dei consumi, che a ben vedere non è molto distante dai dieci o venti anni prima, ma con delle varianti. I genitori degli anni '60 o '70 del secolo scorso erano infatti lì a beneficiare del boom economico (per quanto ci fossero alti e bassi col petrolio o altre commodities, come si dice oggi), ma pur sempre con il fiato sul collo della generazione precedente, sopravvissuta alle guerre. C'è stato quindi un progressivo rilassamento del rapporto genitori-figli, inizialmente con diretto legame all'incremento di benessere economico e sociale. Le generazioni più giovani sono quindi fra le più "spensierate", fin dal rapporto con i propri genitori. Tutto bene? Non proprio.
Il rilassamento del rapporto genitori-figli è anche entrato in una fase di lassismo, nell'ingenuo tentativo di dare ai figli una maggiore libertà di quella che avevano goduto i genitori. Sfortunatamente non sono stati forniti gli elementi per godere della propria libertà. Dopo essere cresciuti senza qualcuno che spiegasse loro quanto sia prezioso avere una libertà da spendere, sono così approdati al concetto che sia del tutto automatico averla.
Si sono così creati tanti pericolosi automatismi, come quello del denaro, o quello dei sentimenti. Ogni cosa banalizzata, per essere comunemente disponibile.

Alla riflessione c'ero arrivato da tempo, ma oggi me l'ha portata alla mente la recensione di un libro, del signor Alberto Bracci Testasecca.
Mi trovo d'accordo con questo signore, sulla banalizzazione delle emozioni, per cui sono a rischio i più giovani, seguaci di un'ideologia a loro stessi sconosciuta come tale, ma in cui fedelmente si riconoscono. Lo sfrontato ottimismo del felice finale, per cui esistono fragili simboli da possedere li rende pericolosi per se stessi, così come per il futuro del pianeta. Quando penso a qualche figlio gravemente disabile, che nel proseguo naturale della vita prima o poi dovrà vivere senza l'aiuto dei genitori, penso anche che le disabilità emotive e intellettive possono essere altrettanto catastrofiche.
Il Bracci Testasecca si augura che "nel giro di un paio di generazioni" l'umanità impari a tenere sotto controllo i nuovi mezzi di comunicazione, quali Internet, per non esserne più contagiati in modo virale. Ma ho il timore che sia fin troppo ottimista; infatti sono io a definire virale l'informazione che sfugge al controllo, e nello stesso modo sarà sempre avanti rispetto alla capacità dell'organismo d'imparare a tenerla sotto controllo.
E' sufficiente pensare a quanto velocemente sono avanzate tutte le tecnologie, negli ultimi cinquant'anni. Il passo è ormai molto più veloce delle nostre capacità di metabolizzazione: se anche ogni progresso si fermasse adesso, per dieci o vent'anni, sarebbe molto difficile riempire il divario che si è creato finora.
Molte cose rimarranno sempre fuori controllo, ma le soluzioni saranno di riportare al controllo solo quelle fondamentali (come la tutela dell'ambiente), accettare la variabilità di altre (penso alle emozioni), e superare l'angoscia per quelle che hanno anche connotati positivi nel loro caos (come con Internet).

venerdì, maggio 28, 2010

Tecnologia redditizia

In ogni ambito si riescono sempre a trovare fenomeni ricorrenti, tanto da far diventare noioso chi li cita. In fondo anche chi parla di nuove tasse, già simili alle vecchie, tende ad annoiare il proprio pubblico, visto come si sta affermando il "guardare al futuro" (ovvero dimenticando le nefandezze passate, per non accumularne).
Figurarsi com'è noioso sentire sempre le stesse lagne su certi prodotti della tecnologia, o sui loro produttori. In effetti questo breve articolo è in parte la copia di uno vecchio, ma non per colpa mia: quanto per il ripetersi dei fatti.
Posso però discolparmi grazie ad un diverso spunto, e a una lunga serie di premonizioni.

Raccontato in questo modo sembra quasi che io intervenga in una crociata contro un singolo produttore, ma in fondo è solo una facile critica verso chi si mette più in mostra.
Partiamo con la nostra piccola parabola sugli e-book e i loro risvolti economici.

Chi vuole leggersi un buon libro, ma anche una rivista, è ancora molto legato alla produzione cartacea. La carta costa, di stampa, magazzini, distribuzione. Qualcuno cerca di convincerci che costa anche di ecologia, vista l'origine principale, dal legno. In realtà quest'ultimo aspetto è una mossa d'anticipo, tanto per cavalcare l'onda delle aziende ecocompatibili, quelle benvolute dai consumatori: essere ecologisti (non importa se veri o falsi) aumenta i margini d'impresa.
Ecco allora i quotidiani che sbarcano su Internet, per sperimentare e guadagnare e-soldi (che ben si pronuncia anche come i-soldi), prima tramite forti entrate pubblicitarie, poi tramite servizi a pagamento che catturano gli utenti.
Anche il quotidiano del gruppo Espresso, La Repubblica, per cui lavora il signor Vittorio Zucconi, si cimenta nell'impresa da anni. Quattro anni fa se ne uscì anche con un annuncio accattivante, per chi segue le nuove tecnologie, promettendo un'edizione elettronica per gli e-reader, i piccoli lettori da usarsi come libri elettronici. Evidentemente l'iniziativa non riesce granché, vuoi perché il mercato non è pronto al quotidiano elettronico, vuoi perché gli utenti non investono (bei soldi) in e-reader, cadendo così (apparentemente) dimenticata.

In fondo sono parecchi anni che tutti ci parlano di uffici paperless, di documentazione immateriale, o di smaterializzazione della documentazione, ma tutt'ora passiamo per decine o centinaia di moduli cartacei ogni anno. Neppure chi potrebbe risparmiare molto denaro sembra volerlo fare, costringendoci a compilare moduli bancari, fiscali, postali, ospedalieri, da amanuensi, per poi (forse) riportarli approssimativamente in formato elettronico: magari continuando a conservare anche il cartaceo.
Insomma, tutti questi grandi vantaggi, ma nessuno che li sfrutta. Figurarsi chi deve spendere soldi in un dispositivo tecnologico aggiuntivo, per comprare poi libri elettronici (o e-book) che costano quasi quanto la versione cartacea, e trovarsi infine in mille complicazioni per copiarli, trasferirli, o semplicemente prestarli.

L'editoria però non desiste. Così con il nuovo dispositivo di Apple in arrivo, cominciano gli articoli di lode, sul quotidiano succitato. Ogni notizia viene amplificata, colorata, edulcorata, per aggiungere desiderio nei consumatori: perlomeno questa è la mia sensazione, finché tutto si esplica.
Il quotidiano riverente ha (guarda caso) la sua edizione elettronica specifica per la nuova piattaforma multimediale. E qui sta il nesso: gli articoli hanno prodotto gratuitamente una campagna pubblicitaria per entrambi. La multimedialità garantisce poi l'appetibilità che era difettosa nei precedenti e-reader, in bianco e nero e poco propensi alla diffusione dei video. Infatti la pubblicità vive oggi di immagini in movimento e colori, molto più di quanto sia necessario per la cronaca.

Qual è quindi la "libertà senza limiti" di cui ci scrive lo Zucconi nel suo brillante articolo?
Evidentemente pensa alla libertà d'infarcire il suo giornale con nuovi (e più remunerativi) annunci pubblicitari, certo non alla libertà d'uso degli utenti. Provate a leggere da quella tavoletta elettronica un quotidiano, all'aperto in una giornata di sole, e scoprirete che la vera magia era nell'edizione cartacea, consultabile più facilmente da chiunque, liberamente riutilizzabile, liberamente scambiabile anche con uno sconosciuto sul tram.
Addirittura l'articolo dello Zucconi parte dalle recenti minacce all'informazione libera: come se i contenuti di un quotidiano divenissero liberi solo per essere in formato elettronico. Contenuti elettronici che passeranno attraverso un DRM che ne eviti le copie, che pagheranno un dazio elettronico di un fornitore unico di servizio (Apple), con una miriade di vincoli e intrusione nella privacy di chi li scaricherà e/o li leggerà. Non me ne voglia lo Zucconi, se lo valuto quantomeno male informato, se non addirittura servile complice di un meccanismo di progressiva lesione della libertà d'informazione e della libertà d'utenza.
E' quasi ridicolo il parossismo della liberazione dagli oligarchi informatici, che sembra condurre spesso ben lontano dal fornire libera scelta agli utenti, nell'endiadi Microsoft/Apple, specchio di sola avidità. Altro che tecnologia e innovazione, questi hanno ben altro in mente. A meno che non si vedano come attività finalizzate a ingrassare i bilanci.

mercoledì, marzo 31, 2010

Politica in numeri

Nei risultati elettorali il vortice dei numeri, fra le proiezioni dei risultati e i sondaggi (o exit-poll, per chi non parla o non riesce a parlare italiano), finisce spesso per confonderci un po' le idee.
Se da un lato finisce per essere chiaro quali e quante posizioni saranno occupate dai candidati (ad esempio in numero di seggi, o di assegnazioni), poco si legge di quel che è stato il coinvolgimento popolare. Solitamente viene condensato nella percentuale di votanti (o per converso di astenuti), mentre non vedo nei grandi titoli qualche calcolo pratico.
Faccio qualche esempio pratico, di natura puramente matematica o sociologica, piuttosto che politica. La prima considerazione dei vari movimenti (a livello pubblico) è sempre sulle percentuali: dalla comparazione con le percentuali di più o meno analoghe elezioni precedenti, ci dicono come sono andate (a loro parere) le loro prestazioni. Peccato che le percentuali non contino il numero d'individui, ma siano appunto volutamente una misura che non è influenzata dal numero di partecipanti al voto. Così finisce che qualche movimento politico dichiari che le cose per loro sono andate moderatamente bene, visto che hanno mantenuto la stessa percentuale sul totale, e qualcun altro si dichiara pure entusiasta di aver guadagnato punti percentuali, ma magari hanno entrambi perso elettori.

Vediamo un po' di numeri, partendo dai partiti maggiori. In questa tornata di Amministrative 2010, rispetto alle Europee del 2009, il PDL passa dal 35,3% al 26,78%, ma se contiamo la differenza sui suoi stessi elettori, da 10.807.327 a 5.843.420, ha subito un calo di quasi il 45% delle preferenze, come dire dimezzato. Il PD che fa mostra di uno stabile 26,1% nelle due tornate, in realtà ha perso il 27% di elettori. La Lega Nord, con l'emozione di essere salita dal 10,2% al 12,28% sul totale, nei fatti ha avuto un calo di elettori del 12%.
Fate pure il calcolo di tutti gli altri, e il risultato è sempre lo stesso: nessuno avrebbe di che esultare, se lo scopo fosse quello di soddisfare i cittadini.

Certo mi si può obbiettare che ci sono stati cambiamenti, partiti scomparsi o diverse alleanze, ma non su cifre così significative.
Si può poi additare che alcuni tipi di elezioni siano più sentiti, rispetto ad altri: ma che senso ha credere che la politica che amministra una regione sia meno importante di quella che amministra lo Stato?
Penso che un primo fattore interessante sia la volatilità di certe preferenze. Alcuni movimenti politici sembrano appoggiati da una base più costante (anche se più piccola nei numeri), altri hanno un grande consenso, ma incostante e volubile: se non si fa una campagna di grandi promesse, l'elettorato non si sente adulato e accarezzato a sufficienza da impegnarsi nell'esercizio di voto di pochi minuti.
Quei milioni d'italiani scomparsi, fra un'elezione e l'altra, una cifra ben impressionante, nella loro incoerenza decidono ben di più delle centinaia di migliaia che seguono assiduamente i partiti minori.
La democrazia si dimostra di nuovo come un esercizio del tutto utopico, dove chi combatte strenuamente per un qualsiasi ideale è infine ininfluente, facilmente cancellabile da un un gruppo sufficientemente ampio di ignavi e indolenti. La matematica ha così ragione di quello che ingannevolmente crediamo vero (la democrazia), solo perché accarezza la nostra etica e la nostra morale.

Visto che poi Loli mi rimprovera di non mettere immagini consone al tema, spero stavolta di aver azzeccato l'argomento: come non ritrarre il giusto contenitore?

lunedì, marzo 01, 2010

Banali unità di misura

Nel rapporto fra noi e l'ambiente che ci circonda definiamo sempre delle unità di misura, per descrivere quanto quello che ci circonda sia piccolo o grande. Non a caso le unità di misura primitive avevano origine da parti anatomiche o comunque da delle quantità a misura d'uomo. Ne rimane viva testimonianza nei paesi che tutt'ora impiegano quello che definisco tutt'ora, scherzosamente, il sistema di misura anatomico, contrapposto al Sistema Internazionale.
Curiosità vuole che mentre il progresso in alcune tecnologie cresceva rapidamente in paesi come gli Stati Uniti d'America, il sistema di misura non veniva aggiornato ai progressi scientifici. Così accade che in settori come quello dell'elettronica, sempre in grande evoluzione, le unità di misura di lunghezza più usate rimangano i pollici e i mil (millesimi di pollice).
Un'osservazione analoga mi capita spesso con i formati di data e ora. Mentre la suddivisione del tempo ha uno standard più largamente accettato (con l'adozione del calendario Giuliano prima e di quello Gregoriano poi), il modo in cui si scrivono le parti di questa misura (anno, mese, giorno) differisce nelle varie parti del mondo. L'idea che mi sono fatto è sempre legata alla nostra idea antropocentrica, si mette quindi al centro della misura quello che più si avvicina al nostro sentire, al nostro misurare. Così l'europeo vede spesso da vicino il trascorrere del giorno, seguito da mese ed anno, mentre invece gli anglofoni del nord America forse sentono più distintivo sapere qual è il mese, per poi dirne il giorno e l'anno. Dal punto di vista scientifico sarebbe più sensato l'ordine delle date usato in Giappone, con anno, mese e giorno: in fondo le espressioni numeriche hanno senso da quelle di misura più grande verso quella più piccola. Mentre probabilmente per i giapponesi è solo una diversa questione di percezione, e di come hanno recepito il calendario europeo.

Tutto è grande, tutto è piccolo. Analogamente, tutto è complesso, tutto è semplice: dipende da quanto è distante da noi.
Capire come si usano una matita o un paio di forbici, è semplice, è vicino alla nostra comprensione. Capire come funziona un grosso macchinario diventa complesso, lontano dalla nostra comprensione: tanto più è misterioso il suo scopo.
La nostra percezione di semplicità o di complessità, si lascia spesso ingannare da come percepiamo lo scopo di un oggetto o di un procedimento. Imbottigliare dell'acqua è semplice, perché dev'essere complesso imbottigliare un farmaco? Far viaggiare un'automobile è alla portata di tutti, perché dev'essere complesso far viaggiare un treno? Altro vale per un aereo: perché la nostra esperienza diretta è ben più difficilmente legata ai velivoli, che ai veicoli terrestri.
Viviamo quindi con un calderone d'idee spesso sbagliate, quando si cerca di dividere quel che è facile da quello che è difficile.
Un amico, dopo aver raccontato alla figlia di occuparsi del progetto di cose elettroniche, s'era sentito chiedere "allora, se ho bisogno di un telefonino [n.d.r. telefono cellulare] puoi costruirmelo tu?". In fondo che ci vuole, è solo elettronica, se ne vendono tanti, possono essere oggetti semplici, no?

Le tecnologie elettroniche sono un mondo d'esempio, per chi vi ha lavorato e seguito il loro sviluppo degli ultimi trent'anni. Qui infatti si è passati rapidamente da oggetti piuttosto rudimentali, a prodotti raffinati e complessi. Quello che un tempo poteva essere il lavoro di poche persone, su un apparecchio di larga diffusione come un telefono, è divenuto un'impresa impegnativa per aziende di grosso calibro, come investimenti tecnologici e finanziari.
Il fatto però di poter acquistare il prodotto finito, a basso costo, e di poterlo usare, senza troppa fatica, spinge a credere che si tratti di oggetti banali, ancor più semplici.

Questo fenomeno della banalizzazione sta crescendo a mio avviso in modo inusualmente preoccupante. Se da un lato l'obbiettivo ottimale di ogni prodotto elettronico, anche complesso, è di essere facilmente utilizzabile, dall'altro sta conducendo a un livello d'incultura progressivo.
Anziché far acquisire la soddisfazione di avere accesso facile a funzioni altrimenti complesse, si è prodotta l'insoddisfazione di aver accesso a cose di qualsiasi maggior complessità, altrettanto facilmente.
Non sono dell'idea che ogni cosa debba sempre essere sviscerata nella sua più profonda complessità, ma vorrei vedere più spesso riconosciuto il lavoro d'ingegno, così come quello produttivo, mentre al contrario viene quotidianamente sminuito (anche nelle produzioni asiatiche a basso costo e bassa qualità).

In un'intervista che leggevo oggi, il compositore Ryuichi Sakamoto menzionava come la musica non viene più pensata come un lavoro che ha un suo costo. Precisava come inoltre stia addirittura cambiando il paradigma per cui si scaricano gli mp3, sostituito da un ascolto su YouTube: la differenza può risultare sottile, ma effettivamente nel secondo caso non ci si preoccupa nemmeno più del brano musicale, ma del solo ascolto. Un consumo che non tratta neppure più il bene di cui fa uso (o abuso).
La sua memoria di quel che poteva accadere cento e passa anni fa, di quando non esisteva nessun tipo di musica registrata, ma solo dal vivo, riporta a quella misura più vicina alla complessità dell'opera (musicale, in questo caso).
Sono d'accordo con Sakamoto, quando dice di non sapere come si possano cambiare le cose, e che in qualche modo andremo avanti, anche quando il nostro lavoro non viene riconosciuto. Vedo però la crescita di grandi spazi bui, dove nessuno ha più il righello giusto, per misurare il lavoro e la cultura.

martedì, febbraio 16, 2010

Animali da compagnia

Ho sentito giorni fa di una polemica, su un personaggio televisivo cacciato dalle trasmissioni, perché aveva indicato come si cucina la carne di gatto. La cosa mi lasciava quasi indifferente, non perché non avessi cura dei piccoli felini (e questo lo può testimoniare un esponente qui ritratto), ma perché so quanto certe pratiche, soprattutto in persone anziane, che hanno trascorso periodi di guerre e carestie, possano evocare il vissuto. Pur essendo in disaccordo quindi, non ho speso molta considerazione.
Quest'oggi trovo casualmente un link ad un weblog, sui risvolti dell'argomento, che invece mi ha provocato una certa irritazione, tanto che quasi non vorrei citarne la fonte, ma lo faccio per la pigrizia di riportare ogni riga.

Anzitutto, su cosa sono d'accordo: che le condanne spesso celino ipocrisia. Così chi ha condannato il personaggio televisivo, per la sua poco eleganza, probabilmente non è così scevro di colpe da ergersi a difensore degli animali tutti, chissà.
La medesima regola aderisce perfettamente all'etica disneyana dello scrittore di weblog succitato, nella sua foga accusatoria. Ci riassume, che chi ha cura e affetto per gli altri animali non dovrebbe cibarsene, altrimenti diventerebbe ipocrita. Per quanto cerchi di distaccarsi, di trasmettere un messaggio oggettivo su qualcun altro, la ricerca delle parole rende chiaro il messaggio come opinione personale, anziché denuncia di una scomoda verità oggettiva.
Il piccolo felino raffigurato ha ben più qualità del mediocre scrittore. E' intelligente, anche se d'intelligenza diversa da quella umana, e magari neppure come felino è una cima. E' sinceramente affettuoso verso altri animali, quali altri felini, ma anche verso alcuni umani. Eppure non ha la minima angoscia nel cibarsi di carne, com'è appunto nella sua natura. Non avrebbe alcun problema ad uccidere le sue prede, ed a cibarsene mentre non sono neppure morte. Perché è normale che sia così, non è un comportamento a cui si possano applicare appellativi come crudeltà, né gli si può dare dell'ipocrita.

Il profilo psicologico di chi (come lo scrittore dell'articolo sopra) usa espressioni quale "digerire cadaveri di animali morti" è ben chiaro, aldilà delle difficoltà lessicali. Così com'è significativa l'espressione "sterminio organizzato di esseri innocenti", quale a sottintendere che ben altro sarebbe uno "sterminio organizzato di esseri colpevoli".
In molti dei manifesti in favore dell'alimentazione vegetariana (o una della sue varianti) di solito sono evidenti queste derive ansiose, come manifestazione di psicosi. La motivazione addotta dai soggetti è raramente quella salutistica, quantomeno citata solo come introduzione all'argomento, mentre l'attenzione viene subito portata su fattori quali il rispetto per gli (altri) animali, sottolineando che sono esseri viventi.
L'essere vivente morto, il cadavere, diventa simbologia della morte stessa; ansiogeno in quanto scatenante paura della morte. In questo contesto, il giungere quindi al nutrirsi della morte stessa diventa un atto terrificante per il soggetto.
Non ha lo stesso effetto il nutrirsi di un vegetale morto o vivo che sia -- una carota bollita non è sicuramente viva, mentre quella ben fresca fortunatamente lo è. La differenza morfologica e di genere crea un sufficiente distacco, per cui anche il nutrirsene è difficilmente altrettanto psicogeno per i soggetti sensibili.

Non sono d'accordo quindi col divenire vegetariani, per essere persone migliori (come lo dimostrano nei fatti alcuni personaggi storici, quale un sanguinario dittatore tedesco del secolo scorso). Così come non sono d'accordo che evitare il consumo di carne sia una scelta naturale (come dimostrano i nostri processi metabolici). Piena libertà a chi vuol essere vegetariano ritenendola una scelta salutare, ovviamente.
Nel frattempo, io e un paio di piccoli felini di mia stretta conoscenza, continueremo a scegliere cosa mangiare con tranquillità, senza angosciarci del fatto che gli esseri viventi possano morire e divenire un alimento.
E ovviamente, gli animali da compagnia siamo io e mia moglie, per i due felini.

Non esistono uomini cattivi [...] se sono cucinati bene -- da "L'ultima lacrima", S. Benni

giovedì, febbraio 11, 2010

Rapida accelerazione

Ci sono momenti in cui sembra velocizzarsi la caduta della nostra società, il declino della cultura e del senso civico.
Dopo l'avvio verso il riconoscimento dell'impunità dei politici di una certa levatura, adesso si corre ai ripari per cercare di salvare quanti più servi del padrone (senza espressioni figurative) si riesca.
S'invoca così l'estensione dell'impossibilità a procedere per signori come Guido Bertolaso, ma la lista potrebbe espandersi rapidamente, sempre che non venga posto un freno deciso alla magistratura.
Queste fasi di velocizzazione sono peraltro incostanti, un po' come certi diagrammi dei valori azionari. Al contrario dei valori azionari, dove una discesa continua porta prima o poi ad un fallimento, pare che qui non ci sia un fondo.
E in fondo, anche leggendo qualche quotidiano che riporta opinioni alternative a chi governa il Paese, non se ne ha un'immagine molto migliore. Sotto prospettive diverse c'è sempre qualche sensazionalismo inutile, o la messa in disparte di fatti che diverranno esplosivi.
E' mai possibile che una maggioranza così ampia della popolazione non abbia un senso di sprofondamento?
Una valida risposta viene da qualcosa che ho letto tempo fa, riguardo gli italiani e la loro cultura. Tutto questo fa parte del retaggio culturale: la sottostima delle prevaricazioni, l'ignavia, l'arrendersi facilmente. L'italiano medio sa bene che esistono mafia, corruzione, politici disonesti, e perdona bonariamente chi lo nega. L'italiano medio si adegua, è chiassoso nelle risse da studio televisivo, ma cerca di non cambiare troppe cose reali del suo Paese. Metti ad esempio che la legge debba essere davvero rispettata da tutti: l'italiano medio non è onesto, e lo sa bene.
Il signor Antonio Di Pietro aveva proposto qualcosa anni fa, che infine neppure lui è tanto propenso a sostenere, con una caduta di stile motivata dalla necessità di regnare. Per tenere le redini dell'Italia sembra servire sempre un conduttore pronto ai compromessi, capace di chiudere un occhio di tanto in tanto: l'onestà e la legittimità non possono fare parte stabile di questo Stato, serve citarle solo nelle occasioni formali.

A che serve allora continuare a combattere per simili ideali? Brevemente: a rallentare la discesa ad inferi, a renderci meno invivibile il quotidiano e il futuro prossimo. Per quello remoto è meglio non consultare o enunciare oracoli.

venerdì, febbraio 05, 2010

Gli italiani perfetti

Pare che il permesso di soggiorno agli stranieri verrà assegnato tramite punteggio, con una valutazione su quanto si stiano realmente integrando in Italia. Certo, viene da chiedersi come alcuni dei punti richiesti possano essere soddisfatti dagli stranieri appena arrivati, che ovviamente non potranno conoscere da subito la lingua italiana o il testo della Costituzione. In realtà però la notizia mi ha portato subito a pensare a tutt'altro, che non riguarda necessariamente i richiedenti permesso di soggiorno.
Leggo i punti:
  1. Conoscenza della lingua italiana
  2. Conoscenza della Costituzione
  3. Non aver commesso reati
  4. Iscrizione al servizio sanitario nazionale
  5. Regolare contratto abitativo
  6. Rispetto dell'obbligo d'istruzione dei minori
Una buona lista: sicuramente completa di tutti i sani principi per ogni buon cittadino. Un momento: ma chi è già italiano, di nascita e magari da tempi immemori, quanto vi aderisce?
La conoscenza della lingua, prima della lista, è anche la prima caduta. Ascoltare gl'italiani che parlano in italiano, e ancora leggerli scrivere, ce li farebbe rispedire subito al loro paese d'origine, che sfortunatamente è già questo.
Conoscere la Costituzione poi, sotto quale aspetto? Sapere che esiste una carta con quel nome e ricordare vagamente in quale periodo storico è stata compilata? Già questo mi pare impegnativo per la metà della popolazione. E sicuramente sono numeri in crescita, visto che l'insegnamento di diritto ed economia verrà progressivamente eliminato dalle scuole pubbliche, come dettato dal Ministero competente.
Che dire poi sui reati, rimangono di ogni nazionalità. Ovviamente tutti preferiamo avere un vicino di casa onesto, che delinquente.
Per il servizio sanitario nazionale non commento.
Regolare contratto abitativo? Quindi niente contratti verbali, con il proprietario di casa che si fa pagare la metà al nero, per evadere le tasse? Dovremmo far sloggiare una buona quantità di affittuari, da quel che ho sempre sentito nelle agenzie immobiliari.
Benissimo che i minori vengano istruiti, ma anche qui la pratica c'insegna che non implica un aumento del loro livello d'istruzione. Così come il curare non implica il guarire.

Insomma, il punteggio ottenuto da chi italiano lo è già, sarebbe facilmente deludente.
E sicuramente ci sono eccezioni in meglio e in peggio. Si potrebbe osservare che nelle zone depresse l'istruzione sarebbe di molto inferiore alle aspettative. Così come in zone a rischio criminalità i reati sarebbero innumerevoli.

Ma se per la maggioranza della popolazione già residente queste regole non servono, ci sono di sicuro classi di persone per cui varrebbe la pena adottarle, anche quando questi sono già cittadini.
Ad esempio, perché non richiedere una piena soddisfazione del punteggio per chi gestisce la politica?
Sarebbe impossibile anche per molti di questi, passare da semplici cittadini a buoni cittadini. Pensate solo alla richiesta di non aver commesso reati, e a quanti politici con sentenza in giudicato abbiamo in Parlamento. Per non parlare delle leggi come la recente sul "legittimo impedimento", ad hoc per evitare la persecuzione dei reati commessi da parlamentari.
La legge è diversa per tutti.

Il vantaggio paradossale potrebbe essere che questa normativa renda buoni cittadini tutti coloro che provengono da paesi stranieri. Come dire che per avere una nazione di cittadini perfetti, di buon senso civico, non ci rimane che sperare che presto, i soli abitanti del Paese, siano solo gli stranieri soggiornanti: almeno saranno tutti certificati tali.