martedì, settembre 12, 2006

Il giorno che (non) ha cambiato il mondo

Ho appena spento il televisore, di fronte ad un programma che ricorda i tragici eventi di New York, gli attentati dell'undici settembre del 2001. C'era una ricostruzione dell'accaduto (poco di più di quel che si poteva evincere quel giorno stesso, guardando i notiziari) ed a seguire un dibattito, che per noia non sono interessato a seguire.
La noia non è per gli avvenimenti, sia ben chiaro, non per la loro gravità, ma una noia per la retorica. C'è una data ricorrente, ad anni di distanza, per cui è una buona trovata giornalistica farne un programma.
Immagino che la tragedia di Ustica del 1980 potrebbe avere altrettanto interesse, se fosse stata causata in tempi più recenti, e da qualche terrorista, anziché dalla NATO.

L'undici settembre del 2001, in tarda mattinata, ricevetti una telefonata che diceva più o meno "Hai visto cos'è successo negli Stati Uniti? Secondo me il tuo viaggio salta..."
Il riferimento era alla mia imminente partenza per la California, al 17 settembre. Detto al telefono, per sommi capi, ancora confuso ("attentato... New York...") tagliai corto, dicendo che non facevo scalo a New York e che sarei partito comunque. Ma non avevo ancora visto la cosa in televisione. "Accendi il televisore e guarda... mi sembra davvero grossa...".
Seguito il consiglio capii che non era una piccolezza. Non era uno dei tanti attentati che continuamente infestano il mondo, ma qualcosa su grande scala.
Non fui sorpreso del crollo delle torri, ne fui della compostezza, che a posteriori mi fu commentata da un'amica architetto "son state fatte davvero bene, per crollare così in verticale". In effetti mi sarei aspettato anch'io, da profano, che un crollo catastrofico, non programmato, potesse essere molto più scomposto e dannoso.
Il viaggio saltò. Air France mi sostituì il biglietto con un volo da farsi entro un anno, cosa che non potei fare, così persi i soldi anche di quello. Air France perse per sempre un potenziale cliente.

Il mondo cambiò subito per un punto di vista: quello degli americani.
Un paese così vasto che i suoi abitanti giudicano inutile l'esistenza di altri paesi al mondo, o di altre lingue, vista la presenza ubiqua della lingua inglese. Fino a quel giorno, la maggioranza degli americani, credeva che il terrorismo internazionale fosse la favola orribile dell'uomo in nero, che si racconta ai bambini per scatenare con il terrore una necessità di attaccamento alla famiglia. I veri uomini neri d'America, ormai sono stati in gran parte esorcizzati, la paura del delinquente nero è diluita da quello portoricano, da quello sudamericano, dalla mafia insediata nel paese come descritta dalle tv series, i cattivi presi a pugni dalle star del wrestling o da Chuck Norris. Crimine tollerato, evitando i quartieri ghetto.
Quel che risultava incredibile, era la vera esistenza di paesi stranieri. E che in questi reali paesi stranieri ci fossero reali nemici degli USA. Insomma, com'erano usciti fuori dai film di Hollywood dei veri cattivi? E perché mai?
Quel giorno l'americano medio ha scoperto che qualcuno, in giro per il mondo, in paesi di cui neppure conosceva l'esistenza, lo stava odiando. L'odiava per il suoi soldi, per il suo stile di vita, e non era un barbone di un quartiere degradato ad odiarlo, ma qualcuno a una distanza inimmaginabile.
La sorpresa era nello scoprire che il mondo non era piatto e limitato ai confini della sua nazione.
Quel giorno ha cambiato il mondo visto dagli americani, che hanno scoperto la rotondità predetta da Colombo oltre cinquecento anni prima. Ironia vuole che Colombo (non il tenente dei telefilm, appunto) abbia scoperto un continente che dimostrava le sue ipotesi, e questo continente abbia voluto dimenticare lui, da quel momento in avanti.

E qui, nel resto del mondo, cos'è cambiato?
Da un lato eravamo già privilegiati. Non essendo ricchi, colonialisti, imperialisti -- tranne l'imbarazzante dimostrazione sfociata nella seconda guerra mondiale -- eravamo, in fondo, facilitati. Potevamo vedere tanti paesi diversi, non ci sentivamo a capo del mondo.
Non siamo come nelle produzioni hollywoodiane, non siamo la nazione il cui Capo di Stato vanta di controllare l'economia del mondo, la sua salvezza.
In compenso siamo sudditi del modello televisivo americano, cerchiamo di aderirvi più possibile. Se il gigante è in crisi, siamo in cascata nella sua crisi. Ma questo significa che non sapevamo renderci conto delle guerre sul pianeta, alla stregua degli americani?
Evidentemente sì, visto che ancora oggi c'è chi titola che quel tragico evento terroristico ha cambiato tutto il mondo. Ne convengo che abbia cambiato l'economia, ma su quella c'erano già gravi dubbi relativi alle nuove tecnologie. Erano ancora pesanti i giorni della grande bolla sull'economia di internet.
Certo, senza quell'evento è vero che il mondo avrebbe percorso strade diverse. Ma c'è un pensiero che mi ronza in testa. Il pensiero è che nella corsa verso l'americanizzazione stiamo cercando di diventare americani, prima che partecipi dei dolori. Che non ci sia quindi una compartecipazione nei lutti, nelle disgrazie, del popolo americano: perché non l'abbiamo mai dimostrata verso nessuno, neppure negli eventi da centomila morti. Qui il cambiamento che sentiamo, nel mondo, è che se i vassalli americani del potere vacillano, noi tremiamo.
Anziché mostrare compostezza nel dolore, avversione al terrorismo, sfoggiamo un senso di emulazione che sfocia nel puro servilismo.

Il terrorismo sta cambiando il mondo?
Sì e no. Quelle che in tempi antichi erano devastazioni e saccheggi, compiute da eserciti regolari o mercenari, sono possibili in quest'epoca per mezzo del terrorismo. Non cambiano gli scopi, non cambiano i risultati (a volte intimiditori, altre volte cause di vendette). Non cambia la variabilità dei risultati.
Quel che è certo, nei risultati, è che adesso i paesi arabi siano molto più visibili. Tutti coloro che non sono arabi, sanno verso chi provare rancore, se non odio. L'espansione di quelle popolazioni, e di quelle culture, ha subito certamente una netta divisione: se prima potevano essere visti come stranieri, ora hanno guadagnato la posizione di stranieri indesiderati, anche da parte di molti moderati.
Il terrorismo ha cambiato il mondo dei terroristi stessi, che non sono più poco visibili. Hanno infatti garantito lo stato di possibile terrorista a qualunque persona del proprio gruppo sociale. In fondo era una buona pubblicità: adesso appaiono moltiplicati, senza essere aumentati.

Messi da parte i soldi, la redistribuzione del petrolio, l'esaltazione al razzismo e alle intolleranze religiose, che altro è cambiato al mondo?
Nei paesi poveri sicuramente niente, ci sono sempre le solite guerre da decenni, massacri e violenze, totalmente indipendenti dai brutti avvenimenti del 2001.
E' cambiato il messaggio sul valore del mondo. Ora è ancora più forte quello che ci dice quali sono le persone giuste per controllare potere ed economia. E' più forte la discriminazione razziale, sociale e religiosa.
Se da un lato ci sono le vittime dei massacri che ci dicono "non dimentichiamo", ha sempre più forza il messaggio di chi manipola le informazioni, siano terroristi fuori o dentro gli stati, che ribadiscono "questa è la ricorrenza, sai cos'è successo, impara a mantenere forte l'odio".
Tutti hanno un metodo per cambiare il mondo.

Nessun commento: