giovedì, novembre 23, 2006

Marmaglie

Si sentono sempre più citati, nell'ultimo periodo, gli atti di prepotenza e di violenza nelle scuole.
Il primo complice della denuncia è il telefono cellulare, l'oggetto tecnologico passato da strumento di comunicazione a simbolo di stato, per finire come strumento di puro uso compulsivo.
Sottolineato il fatto che sono sempre stato contrario alla morale perbenista, resta comunque un fastidio nel vedere che il senso di rispetto degli altri è sempre più sottile. Mentre ci dotiamo di leggi per la riservatezza (che subito viene nominata come privacy, tanto per sottolineare l'incapacità di esprimersi), mentre si rinforzano i bastioni dell'impero dei diritti di copia (altrimenti detti copyright), cresce imperterrita la rivolta.
La rete Internet ha dato un impulso alla comunicazione, ma non solo in modo positivo. Sono state trasposte qui le necessità di libera comunicazione, che altrove non trovavano un mezzo. E' evidente che non siano tutte necessità lecite, non tutte sono solo espressione di diritto personale, ma alcune forzano il desiderio di oppressione degli altri.

Parlando qualche giorno fa con Loli, facevo una riflessione che ho trovato molto importante, sulle cosiddette nuove generazioni.
In ogni momento storico ci sono nuove generazioni, e in qualche modo si trovano sempre a vedere le cose diversamente, rispetto alle vecchie generazioni. Questo è accaduto inevitabilmente anche a me, molti anni fa. Ciò che faccio, continuando a pensare e a scrivere, è poi l'espressione di un desiderio: quello di non smettere di avere nuove visioni, di cercare sempre un angolazione diversa da cui vedere il mondo.
La riflessione era in poche parole il fatto, incontrovertibile, che le nuove generazioni sono un prodotto delle vecchie. E non parlo solo di prodotto biologico, come la discendenza, ma di ogni possibile implicazione. Ne faccio un esempio.
Le generazioni nate negli anni '40 del secolo scorso sono state condizionate dai precedenti di guerra, di povertà, di autorità, da tutta una serie di condizioni storiche e sociali; nel momento in cui hanno avuto figli, diciamo negli anni '60, cos'è successo?
L'Italia del boom economico era ben diversa, si sono creati modi di vivere diversi, c'è stato un rilassamento dalle posizioni austere, sono cresciuti diversamente. E la generazione del ventennio successivo, diciamo dagli anni '80?
I giovani che oggi hanno superato la pubertà, con tutti i loro atti di prepotenza, di disinteresse degli altri (ma anche di sé), non sono in fondo atterrati con un disco volante: sono l'esatto prodotto di chi li ha fatti nascere e crescere, lo specchio dei timori, delle insicurezze, delle incapacità, dei loro genitori. I quali, da genitori, hanno in qualche modo tentato di fare tutto per i figli (nel caso delle ansie protettive) oppure di lasciarli liberi (nel caso di ansie da oppressione genitoriale). Quello che non hanno fatto, che non hanno saputo fare, è di trattarli come figli.
Ieri sera ho sentito per l'appunto uno scorcio di un dialogo in televisione, in cui qualcuno esperto di psicopatologie come l'anoressia ha espresso, molto saggiamente, un concetto semplice ed efficace: "i genitori di oggi cercano di vivere con i figli come se fossero amici, mentre invece dovrebbero semplicemente trattarli come figli."

Da cosa deriva questo deficit?
Trovo molto probabile che sia uno strascico del progenitore nato negli anni '40, che ha cercato di perpetuare un mondo che ormai non esisteva più, con un figlio negli anni '60 che ormai s'imponeva. Insomma, la tradizione educativa sta progressivamente degenerando, e non perché sia corretta quella tutta autoritaria, ma neppure perché sia giusta quella completamente liberale: nel rapporto genitori-figli deve sempre esserci un bilanciamento delle due cose.
In un'intervista, un addestratore di cani, citava come fosse difficile, se non impossibile, educare un cane, per chi non è riuscito a educare i propri figli.

Viviamo ormai di un estremismo sempre più marcato. I figli sono facilmente malmenati oppure lasciati totalmente allo sbando, con poche vie di mezzo.
I mezzi di comunicazione ci aiutano poi a vedere il mondo in questi estremi: a che serve parlare delle famiglie che vivono bene senza essere ricche, che hanno figli educati senza il bastone, che hanno una dignità?
La notizia è nelle violenze familiari, in quelle scolastiche, nella cronaca nera. Il buon vivere non fa notizia.

Fuori i telefoni cellulari dalle scuole? Sì, sicuramente. Non serve un esperto a dimostrare la capacità di distrazione di certi mezzi, in un ambiente dove invece si deve imparare la propria capacità di concentrazione.
Ma attenzione nel legiferare, attenzione al controllare. Le parole che ho letto in una citazione del signor Giuseppe Fioroni, nella sua veste di Ministro della Pubblica Istruzione, mi hanno fatto rabbrividire. Il signor Fioroni infatti si auspica che l'immissione in rete Internet di contenuti sgradevoli venga proibito e sanzionato, a livello statale. La mia preoccupazione è per quello che potrà divenire sgradevole, secondo la legge.

Mi sovvengono così tante implicazioni, sulla libertà d'espressione, sui diritti umani, sull'educazione, che mi chiedo se ci sarà mai qualcuno in grado di collegarle fra loro. Qualcuno con la volontà di farlo, senza forzare moralismi.
Spesso comprendo pienamente lo sconforto del signor Benito Mussolini, che dopo aver comandato una sanguinosa dittatura, con tutti gli orrori di cui si è macchiò, finì per dire: "Governare gli italiani non è impossibile, è inutile".

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