lunedì, febbraio 13, 2006

Dove si trova la libertà?

Leggendo una breve nota di Ashtart, sul suo weblog, ho avuto lo spunto per questa domanda.
La libertà ha davvero bisogno di un luogo in cui tutto si azzera, si cancella, per essere vissuta senza distrazioni, senza oppressione?

Mi ha richiamato alla mente la storia de Il deserto dei Tartari di Buzzati, non solo per la narrazione del romanzo, ma per la motivazione prima che spinse Buzzati a scriverlo. All'epoca era infatti impiegato in una grande azienda, dal clima opprimente, con un lavoro anonimo. Traspose così quello stato d'animo di vuoto interiore, mentre tutto intorno ti spersonalizza, con nessuno che ti conceda la tua unicità e importanza.
Molti anni fa ho vissuto le sensazioni di Buzzati, sia quelle del clima aziendale mastodontico, burocratico, che quelle che lui raccontava in metafora, di un un luogo militarizzato e chiuso al mondo esterno, dove solo l'angoscia riempie le giornate.

Ci sono luoghi dove la mente cerca continuamente la libertà, la fuga. E non solo la mente.
Ma dove si trova, infine la libertà? C'è un luogo preciso?
La domanda in sé mi ripropone un breve racconto Zen, che citerò qui a memoria.

Un discepolo del Buddha si era seduto in meditazione in una foresta, cercando la tranquillità. Dopo un po' che era seduto si accorse però che lo svolazzare e il cinguettare degli uccelli non riusciva a fargli trovare la concentrazione. Allora se ne andò sulla riva del fiume, ma anche lì non c'era il silenzio che cercava: l'acqua che scrosciava, i pesci che saltavano, erano un continuo disturbo.
Allora cacciò tutti gli uccelli e pescò i pesci, li cucinò e se li mangiò, facendone indigestione e finendo malato.
La vera confusione non è nello scrosciare dell'acqua o nel canto degli uccelli, ma nel nostro spirito.


Trovo che la riflessione del racconto sia molto interessante.
La ricerca di qualcosa, di una parte di sé finita perduta, è sicuramente più facile in un luogo dove niente ci distolga da noi stessi. Dove si riesce a concentrarsi sul proprio essere, è più facile trovare quel che si è perduto.
Il punto è che comunque non c'è garanzia che l'essere soli con se stessi porti a capirsi, a migliorarsi. Per estensione, visto che siamo comunque una specie con tendenza sociale, è anche più probabile che ci si forzi ad un vivere estremo.
Magari la socialità di cui abbiamo bisogno ci è sufficiente in un gruppo di cento individui della nostra specie, anziché in un ammasso urbano di centinaia di migliaia: l'eccesso di contatti interpersonali ci spersonalizza. Ci rende piccoli nella moltitudine.
La misura di tutto quello è sicuramente soggettiva.

Pare che ogni tanto diventino simboli particolari le scelte di vita diverse, come chi si allontana dal mondo, un po' come in Guerra agli umani di Wu Ming 2.
Eppure, qualunque sia il motivo e il modo in cui cambia un modo di vivere, sia per chi si estrania in assoluto per una ricerca di ascesi, sia per chi vuole cambiare città, nazione, o continente, c'è sempre qualcosa in agguato.
Chi attraversa l'oceano cambia il proprio cielo, ma non anima, così cita Loreena McKennitt in un suo bellissimo album, fatto di viaggi per il mondo.
In ogni fuga vedo l'espressione di una necessità, la ricerca di un bisogno. Il suo raggiungimento è però scollegato da quanta strada si percorre, sia essa misurata in miglia, chilometri o con un salto culturale e nello stile di vivere.
Sempre McKennitt cita Lao Tzu, "un buon viaggiatore non ha percorsi prefissati e nessun intento di arrivare".
Chi invece vuole arrivare da qualche parte, fosse questo luogo la dimora della libertà, dovrebbe porsi un obbiettivo, una destinazione.

Se poi trova il suo obbiettivo senza finire a centinaia o migliaia di chilometri da dov'è partito, forse allora ha ottenuto qualcosa anche più grandioso.
Avere come punto d'arrivo quello di partenza può anche essere la distanza più lunga percorribile fra due punti, se per arrivarci si transita per ogni altro punto dell'universo. Incidentalmente è anche la più breve, ma qui sta tutto nella capacità di muoversi, anziché attendere i Tartari.

Nessun commento: