venerdì, febbraio 17, 2006

Comportamenti criminali

Credo che l'istigazione al crimine sia un reato ovunque, e non sorprende che lo sia.
Fra l'altro, ha una facile presa, in un mondo dove la comunicazione è sempre più importante. Cento anni fa era più difficile che il racconto di un'impresa criminale varcasse i confini di stato. O che anche raccogliesse emuli, desiderosi di entrare nel mondo con qualche tipo d'impresa.

Il thriller classico ha spesso temi come gli omicidi seriali, e l'emulazione di questi da parte di altri soggetti psicologicamente instabili.
Non è poi difficile vedere applicazioni pratiche di questi comportamenti aberranti, siano essi di piccola o grande entità.
E' ben difficile cercare d'ingabbiare l'informazione dopo tutto, oltre che illiberale, nei paesi moderni, progressisti. Non si può insomma evitare di raccontare che qualcuno ha ucciso il vicino di casa, per la paura che tutti vogliano fare lo stesso, oppure omettere di parlare dei sassi lanciati dai cavalcavia autostradali, per impedire che qualcuno voglia emularlo.
L'unica arma efficace è l'educazione, la cura della persone. Non esclusivamente una cura in senso clinico, ma anche un curarsi di chi soffre di disagi di qualsiasi genere, inclusi quelli economici e sociali.
Qualcuno mi considererà fin troppo tollerante, pensando che la repressione sia sempre la vera cura. In realtà quel modello sta continuando a fallire fin dall'inizio dei tempi storici. Le pene sono solitamente adeguate al modello culturale e al momento storico, eppure non bastano mai come deterrente, neppure nei paesi che includono la pena capitale. E' evidente che vada percorsa anche un'altra strada, parallela e più avanzata, rispetto a quella della repressione.

Come detto però, non tutti la pensano così.
Voglio citare un esempio alquanto bizzarro, che mi ha scatenato la scrittura di questo articolo (nonostante le mie lunghe premesse).

In Australia, la colonia inglese fra Oceano Indiano e Pacifico, vigono tuttora delle leggi che viste dall'Europa non potremmo che definire ottocentesche, se non semplicemente anacronistiche.
In fatto di libertà individuali, di evoluzione sociale, sembrano infatti ancora legati alla figura del monarca-tutore, che indica al popolo-fanciullo la strada verso la vita, l'educazione insomma di un'intera nazione ribelle e immatura.
Un esempio banale è la classificazione della censura sui videogames.
Se da un lato si leggono articoli che ci parlano di buon rispetto dei diritti umani, dall'altra parte si legge anche che è una delle nazioni con il più forte livello di censura. Le due affermazioni mi appaiono stridenti, se messe a fianco: la censura non lede forse dei diritti?
Tanto è forte la censura, che i videogiochi sono consentiti solo hanno una classificazione massima MA15+ (da 15 anni in poi), mentre tutto quello che sarebbe classificabile R18+ (fruibile solo da chi ha superato i 18 anni) è di fatto censurato.
Quindi è possibile che un film violento, o pornografico, possa essere visionato da chi è maggiorenne, mentre gli è precluso in assoluto un videogioco.
Per quale motivo? Il pericolo dell'istigazione a comportamenti criminali. Così un videogame in cui il protagonista diventa un ladro di auto, o un assassino, diviene una esperienza proibita ai sudditi britannici down under (a testa in giù, nell'emisfero là di sotto).
La notizia che leggevo oggi era anche di un altro videogioco, di cui è stata dichiarato lo stato di pericolosità, in quanto i protagonisti sono dei graffitari, che scarabocchiano i muri cittadini -- e vietando il videogioco, immagino che gli australiani non sapranno mai di cosa si tratta, se sono ingenui come i propri governanti.

Che dire, è bello non vivere in Australia. Perlomeno non in quella del diciannovesimo secolo, contemporanea al nostro 2006.

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