mercoledì, luglio 11, 2007

Come si cambia politica

Ogni tanto si sentono, leggono, vedono, esempi aberranti di cattiva gestione della politica statale italiana. E diciamo pure che accade piuttosto spesso, anche senza leggersi il lungo elenco di un libro specifico che ho notato ultimamente nelle librerie.

Questa mattina ad esempio ascoltavo alla radio il commento, di un avvocato di parte, sulla possibilità che venga revocato il mandato di deputato della Repubblica al signor Cesare Previti.
Ho citato assai spesso le vicende giudiziarie di questo signore, perché trovo che siano esemplari e lampanti. Eppure non sembra così, tanto meno se le sue stesse affermazioni fossero vere ("a giudizio di metà del Paese, questa situazione deriva da una sentenza ingiusta").
I suoi più recenti commenti alla vicenda sono ancora più sconvolgenti, per una persona che si fregia anche del titolo di avvocato: si suppone infatti che dovrebbe conoscere un minimo di legislazione italiana.
Il suo punto di vista è in breve questo: considero la sentenza con cui sono stato condannato ingiusta, dettata da motivazioni politiche, per cui non ho intenzione di scontarla, né di pagarne le conseguenze accessorie, come la destituzione dalla carica di deputato. Non importa che questa sia una legge dello Stato, ad imporre l'ineleggibilità e l'incompatibilità con la sua carica: lui non si sente colpevole e tanto basta.

Se un assassino, condannato in via definitiva, uscendo di galera chiedesse il porto d'armi, penso che si scatenerebbe un caso piuttosto rumoroso.
Ma questi sono casi del tutto diversi, qui si tratta di esponenti politici.
Già da anni è stato denunciato lo stato vergognoso del Parlamento italiano, eppure niente cambia.

Ora, visto che abbiamo in Parlamento (in ogni schieramento) dei politici che legiferano solo per gli altri cittadini (escluse le leggi a proprio favore), come si può cambiare la situazione?
Credo che questa domanda sia da diffondere il più possibile fra i cittadini, perché ormai non ha alcun senso che la pongano altri politici: si è creato uno strato sociale che non acconsentirà certo a cancellarsi.
Dietro alla falsa promessa di democrazia hanno fatto cartello i politici affermati di ogni fronte. La curiosa oligarchia che si è creata racchiude ormai ogni metodo per sostenersi.
Mentre nelle tirannie o in certi Stati oligarchici classici, si riconosce benissimo la linea di separazione fra potere e popolazione, qui è stata sfumata la linea in ogni modo possibile. Anzitutto è promessa la democrazia, e questo ha il suo peso: tutti eleggono il Governo, ma gli eleggibili rientrano in una casta chiusa, entro cui non possono entrare altri soggetti.
Uno degli ultimi esempi in materia è il costituendo partito democratico, per cui sono stati inventati metodi cervellotici di scelta dei candidati, ai vari livelli: la percezione da dare è che tutti possano decidere, il risultato è che potranno decidere solo fra quello che è già stato deciso.
E' un po' come andare dal gelataio e chiedere come ti può fare un gelato: puoi prendere tutti i gusti che vuoi, ma se ha solo crema e cioccolato sceglierai liberamente fra quei due. Potresti cambiare gelataio, ma se fosse l'unico disponibile?

Si sente parlare spesso di crisi della politica, ma cosa significa in realtà?
Forse sarebbe più opportuno parlare di crisi sociale, generata dai politici. La condizione sempre più disperata, fra le necessità dei cittadini e quelle di chi fa politica, è ben altra cosa che una crisi politica.
Quello che più mi preoccupa è che il degrado dello stato sociale alimenti sempre più le schiere degli idioti che vogliono cambiare le cose con le bombe. Perché il lato triste è questo: gli unici a volere i cambiamenti radicali sono rimasti i fanatici del terrorismo rivoluzionario, mentre chi potrebbe davvero cambiare il Paese in modo sano, rispettoso, sta nell'oblio.
I movimenti dei girotondi di protesta furono un momento folcloristico, e a posteriori solamente ridicolo. Dove non controproducente: finito lo spazio mediatico è finito anche tutto quel che si voleva cambiare. Le uniche dimostrazioni pubbliche che possono essere vittoriose sono quelle che propongono di non cambiare niente, è quello l'unico risultato possibile.

Mentre nelle grandi rivoluzioni i cambiamenti sono stati operati con sollevazioni popolari, con eventi di massa, in questa sfida è necessario costituire una coscienza personale, un bisogno interiore.
La gente in piazza ormai viene portata solo per le finzioni sceniche: finita la rappresentazione, finiti i clamori, tutto è libero di restare com'era prima.
In questa democrazia (come si ostinano a chiamare quest'illusoria forma di governo) è quasi inutile raggrupparsi per protestare: prima o poi qualcuno ti fa osservare che non c'è un monarca da destituire. Se davvero fosse democrazia, chi protesta lo farebbe contro se stesso: reo di aver instaurato lo stato attuale. Se davvero è democrazia, perché non vengono cambiate completamente le regole del gioco dalla popolazione intera?

C'è anche la forza di un'altra ipotesi.
Tutti questi disagi, proteste, disaffezioni, potrebbero essere una sensazione solo mia e di pochi altri. Diciamo di qualche milione di abitanti.
Per un'altra strada questo dimostrerebbe di nuovo l'inesistenza della democrazia: per quanto ci si senta inascoltati, bisognosi di una nuova relazione con il potere politico, siamo qualche milione di cittadini che non contano niente. Ma il termine oclocrazia non si sente mai citare, non è politicamente corretto, può far capire (a chi apre il dizionario) che parlare di un "potere ai molti" esclude qualcuno. E ormai siamo abituati a volerci sentire uguali, nessuno escluso. Soprattutto se non è vero.

Se non migliorano le coscienze dei cittadini non migliorerà la politica. E per dirla con Fermat, dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.

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