mercoledì, agosto 01, 2007

Democrazia partita

Già qualche anno fa citavo un noto teorema, che avrei voluto richiamare in queste pagine assai spesso. Per non sembrare pedante, monotono, ho deliberatamente evitato di ripeterlo per mesi, ma nei pensieri di oggi mi era fin troppo ricorrente, per evitarlo di nuovo.

Sono mesi ormai che raccolgo chiacchiere, qua e là, sull'argomento del costituendo Partito Democratico, senza aver approfondito l'argomento, oppure avere presentato la mia personale disamina.
Ho anche avuto il racconto di chi ha partecipato a qualche incontro politico sull'argomento, e il riassunto fattomi è stato più che esauriente: confermava già tutto quel che ne pensavo.

La notizia di ieri, dopo la candidatura in extremis del signor Antonio Di Pietro, era anche l'altrettanto frettoloso rigetto del candidato.
Quest'oggi, leggo un annuncio a pagamento su un quotidiano nazionale, dello stesso Di Pietro, che commenta "il Partito Democratico ha perso un'occasione".
Il dubbio che ne ho avuto è stato molto semplice. Comprendo il fatto che Di Pietro potesse essere piuttosto scomodo, poco gradito in molti ambiti della politica governativa. Ma con la sua candidatura, ha voluto davvero proporsi per il partito finto-democratico, oppure ha voluto deliberatamente dimostrare che dietro la scenografia sfarzosa c'è il niente?

In fondo è l'obbiettivo finale del sistema bipolare tanto citato ultimamente.
Ricordo che già più di vent'anni fa citavo ad esempio la politica del nord America, per dimostrare come si possa costituire un sistema politico complesso, che indice elezioni pubbliche, con una moltitudine di rappresentanti al governo, ma che infine prende scelte totalmente indipendenti dal popolo che l'ha eletto. La logica vincente era di fornire due scelte, A oppure B, così che nessuno potesse dire che mancava la possibilità di decidere del futuro.
Ricordo di quei tempi l'Unione Sovietica già traballante, ma che veniva additata come un regime senza possibilità di scelta, mentre gli Stati Uniti d'America come il paese della libertà. Per qualcuno, allora come ora, chi era un homeless, un barbone americano, faceva una scelta, in piena libertà. Chi sceglieva fra il partito A e quello B compiva una scelta, indipendentemente dal fatto che i due schieramenti avessero gli stessi obbiettivi, se guardati da un punto di vista esterno. E a posteriori è ancora più facile osservarlo: l'alternanza ha prodotto le stesse guerre, le stesse operazioni segrete, gli stessi scandali.
Esula dalle mie capacità il fare osservazioni quantitative, e rapportarle a quelle qualitative: la mia percezione si limita al capire che nessun cambiamento, in quel paese, ha mai portato modificazioni radicali. E se quello è l'esempio più forte di bipolarismo, in una nazione forte, con un senso patriottico elevato, non voglio neppure immaginare che risultato potrebbe avere qui.

Ma torniamo ai nostri contes de fées, alle favole nostrane.
Chi crederà nel futuro partito, di tronfia democrazia più che di trionfale tale?
Forse è più facile rispondere a chi gli darà sostegno elettorale, responso che non necessita di grandi credo. Vi confluiranno tutti coloro che si sentiranno ormai in barca con l'attuale Ulivo, al pensiero che scendere significhi nuotare faticosamente. Sarà la naturale destinazione di chi ha sentito parlare per decenni di compromesso storico, e ci auguriamo sentitamente che non scateni di nuovo le violenze dei tempi passati. Sarà per certo un percorso verso il punto medio e mediocre dell'opinione pubblica, verso quel centro che vuole stabilità, tranquillità, anonimato della politica. L'incitazione a lasciar fare i politici il loro mestiere: gestire soldi e potere in modo discreto, senza mettere in mostra quell'ingordigia superba di cui tutti sanno, di cui è bene lamentarsene, ma niente più.
Sembra proprio che non siamo capaci di trovare alternative, fra il frazionamento dei mille partiti della bistecca, oppure all'opposto i due soli partiti del bene supremo, ma con ben due colori diversi.

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