mercoledì, marzo 08, 2006

Otto marzo

Mentre tempo fa parlavo delle giornate contro, stavolta si tratta di una giornata a favore, visto il festeggiamento a nome delle donne.
E dietro ogni simbolo si nasconde spesso il niente, un po' come affermavo/negavo per il San Valentino.
Insomma, gran cosa festeggiare, ma ci sono anche piccoli aspetti fastidiosi. Prendiamo ad esempio l'evento 8 marzo originario, che conoscevo fin da bambino, come collegato a questa festività.
Una disgrazia avvenuta in realtà il 25 marzo, del 1911, in cui in un incendio, di una fabbrica americana, morirono 140 operaie, sfruttate in condizioni gravose.

Le operaie della "Triangle Shirtwaist Company" lavoravano da 60 a 72 ore alla settimana, per uno stipendio settimanale da 6 a 10 dollari.
Praticamente quello che capita adesso alle lavoratrici dell'est asiatico, a distanza di quasi un centinaio d'anni.
E le lavoratrici americane di oggi? Nemmeno per loro è cambiato granché, nella qualità del lavoro, rapportandola ai tempi in cui vivono. Eh sì, perché ritengo rilevante che ogni cosa sia rapportata al suo tempo.
Le discipline economiche e sociali, hanno infatti portato un cambiamento sempre più forte nel senso del lavoro. La riuscita più triste e strampalata, ottenuta nel Nord America, è che ora viene denigrata chi non vuole lavorarle, quelle 60 ore la settimana. Non è più una sfruttata chi lavora 60-70 ore la settimana, al contrario è considerata una fannullona chi non lo fa.
In una perversa deviazione dei valori, si è formata la nuova coscienza del lavoratore.

Il cambiamento dei tempi ha portato poi nuovi ruoli. La fabbrica moderna non è più quella delle cucitrici del 1911, ma un luogo dove si lavora con i computer, come se questo rendesse automaticamente nobile il lavoro, meno faticoso in ogni senso.
Adesso che la produzione industriale, anche americana, si appoggia fondamentalmente a prodotti dei paesi "poveri", sono fiorite le donne manager, impiegate con un livello superiore di cultura.
Anche self-employed, lavoratrici e lavoratori autonomi, un esercito al servizio del paese, che non può lavorare meno di quelle 70 ore settimanali, se non vuole sentirsi in colpa.

Hanno liberato i vecchi schiavi del lavoro, rendendoli schiavi di un nuovo modello sociale, che pur non chiedendolo esplicitamente, li vuole tutti stacanovisti.
Pena l'esclusione dal gruppo, dalla nazione, dalla bandiera.
Eppure il modello sociale non sa fornire loro una spiegazione del loro smarrimento, quando tornano a casa, dopo le dodici ore giornaliere di lavoro. Non sa spiegar loro come mai, in una mezza domenica festiva, scoprono di avere dei figli che si drogano e rubano, o perché il marito (o la moglie) hanno un amante.
Hanno lavorato tutta una vita, e non comprendono come mai la loro famiglia, la loro vita personale, è completamente allo sfascio. Non si capacitano del come possa accadere, che tutti i soldi guadagnati non abbiano comprato la felicità. Non sanno perché al terzo o al quarto matrimonio, stanno ancora cercando una cosa facile come il benessere.

In questa rappresentazione, che qualcuno può considerare impietosa o esagerata, ci vedo sempre più anche delle fette d'Italia. Come quel nord-est tanto florido e lavoratore, che adesso non sa più per chi produrre, vista la crescita a zero del paese.
La crescita zero del paese, che l'attuale Ministro dell'Economia ha definito "soddisfacente". Come dire: se tutto va bene siamo rovinati, e fortunatamente è andato tutto bene?

Ma buona festa a tutte le donne. Che non potranno dire la loro in politica, perché l'Italia ha meno sbocchi politici per le donne che molti paesi africani.
Buona festa a tutte le donne, che possono avere lo stesso lavoro degli uomini, ma solo se lavorano bovinamente come molti uomini.
Buona festa a tutte le donne, tutelate dalle violenze e dai soprusi solo in qualche scarabocchio di legge (dirli disegni mi pare eccessivo); mentre tutti sanno che la legge in Italia è fatta per essere aggirata.
Buona festa a tutte le donne, perché se sopravvivere in questo mondo diventa difficile, per loro lo è solitamente un po' di più.

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