giovedì, gennaio 04, 2007

Esperti alla guida

Immaginate un esperto di autoveicoli, qualcuno che abbia studiato con estrema passione la meccanica e la termodinamica, l'elettronica dei mezzi e la psicologia dei guidatori. Vorreste averlo come istruttore di scuola guida? Probabilmente sì, sapendo che magari potrebbe introdurvi con dei buoni argomenti.
Supponiamo che però, nel contempo, veniate a sapere che questo esperto non ha mai realmente guidato un'automobile. Se l'è studiate tutte, le ha viste guidare, ma per scelta personale lui non lo farebbe mai. E' un fenomeno quantomeno curioso, se non assurdo, ma l'assurdità rende chiaro un altro parallelo, con un caso più realistico, che mi ha suggerito l'analogia.
Quali sono i suggerimenti che un prete cattolico può dare a due futuri sposi, tanto da farne un corso prematrimoniale?

Confermando quel che mi è stato detto una volta, cioè che io ho un flusso di pensiero non lineare (e lo considero uno splendido complimento), torno invece all'argomento automobilistico.
La rivista New Scientist ha pubblicato uno studio sui guidatori dei cosiddetti sport utility vehicles (SUV), che tanto hanno acquisito diffusione anche da noi.
La preferenza degli automobilisti verso questo tipo di mezzi, che spesso sono un incrocio fra automobili di grandi dimensioni e fuoristrada a quattro ruote motrici, è sicuramente dettata da alcune percezioni facilmente indovinabili.
Avere la sensazione di migliore controllo della strada, vedendola da una posizione più in alto, è sicuramente una di queste. C'è anche la sensazione che un mezzo di maggiori dimensioni sia più robusto. Non sottovaluto poi l'appagamento di sfoggiare un veicolo grande, che a mio parere è anche la molla primaria del meccanismo che ha reso altrettanto diffuse le cosiddette automobili station wagon. Il senso del "grosso è bello" ha insomma conquistato anche i guidatori e le guidatrici italiane, riempiendo con alcuni chili in più di acciaio quel vuoto della persona che cresce quotidianamente.
Penso infatti che non sia difficile individuare in certi simboli il desiderio di affermazione, il bisogno di sentirsi considerati come persone speciali. Sono valide anche altre simbologie, come l'estensione, tutta maschile, del proprio membro virile, attraverso un simbolo sociale quale la dimensione della propria automobile. Probabilmente sono ben altri simboli ad appagare invece le donne, che non mostrano spesso questa necessità in termini automobilistici, quanto in altri settori (gusto estetico, simboli di femminilità).

La preoccupazione dell'articolista di New Scientist, come dei ricercatori che hanno condotto lo studio, è principalmente sul senso di falsa sicurezza, indotto da alcuni veicoli.
Le dimensioni del mezzo fanno infatti pensare, all'ingenuo guidatore, che anche in caso di collisione si sia tutelati in modo direttamente proporzionale. In realtà questo non è proprio così, e non solo perché gli incidenti reali non sono lineari come i crash test. Un esempio è la riluttanza all'uso delle cinture di sicurezza e l'eccessivo affidamento agli airbag, che hanno il loro migliore effetto sotto i 30-50 km/h di velocità.
Tutti i moderni meccanismi di sicurezza, come anche l'assistenza nelle frenate di emergenza, oppure il controllo elettronico contro i tamponamenti, sono benvenuti. Nessuno di questi però può salvare da un urto ad alta velocità (già ad un centinaio di chilometri orari è assai normale uscire seriamente feriti o morti da una collisione, qualsiasi sia il mezzo).
Un'altra falsa sicurezza, che ho notato in molti automobilisti, è la scarsa attenzione verso la sicurezza offerta dagli altri. Chi in autostrada si avvicina troppo al veicolo che lo precede, non ha infatti la percezione che la sua sicurezza è data principalmente dalle capacità dell'altro guidatore e dell'altro mezzo: se questo infatti rallenta improvvisamente per un guasto, non serve quasi a niente avere un mezzo molto migliore. Se il veicolo che precede è assai vetusto, e subisce lo scoppio di uno pneumatico, se lo ritroverà sul cofano chi segue, per quanto guidi un'automobile moderna e prestante. Come per molte altre situazioni: nel momento in cui si crea una catena, il difetto più grave è pari a quello dell'anello più debole.

Così sono ben pochi a ricordare che il rischio ribaltamento di un'automobile molto alta (quale un SUV) è maggiore rispetto a veicoli più bassi da terra, e che sicuramente si può compensare solo con un'andatura più moderata.
Il corollario di queste considerazioni è a mio parere un'automobile ben precisa.
Parecchi anni fa Daimler-Benz, con il marchio Mercedes, immesse sul mercato la serie A, un'automobile pensata per aggredire il settore delle monovolume compatte, con un prodotto di sicura eleganza.
Mentre un gruppo di giornalisti del settore automobilistico la stavano provando, per rilasciarle il premio di auto dell'anno, si generò un clamoroso incidente. In una semplice curva, ai sessanta chilometri orari, l'automobile perse completamente aderenza dal terreno e si adagiò su un fianco, con qualche trauma per gli occupanti.
Ora, mentre è comune vedere incidenti di tante auto, dove per l'alta velocità capitano slittamenti fuori dalla sede stradale, il ribaltamento sul fianco, senza interventi esterni, è di solito incidentale per velocità assai più elevate. Questo fa pensare che il veicolo in questione sia seriamente pensato male, fino dall'origine, per la distribuzione dei pesi.

La soluzione del costruttore fu d'impiegare un ottimo controllo elettronico della stabilità, per rendere così sicura su strada un'automobile fondamentalmente ideata male. Tutt'oggi non è quindi incomprensibile vedere quel modello che si ribalta sul fianco, in caso d'incidente con un urto dall'esterno (che non può essere corretto dal sistema elettronico).
L'elettronica aiuta, ma anche quando riesce a fare qualcosa che non capite non crediate sia un miracolo.

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