martedì, gennaio 17, 2006

La fine è vicina (o anche no)

Lo scienziato e ricercatore James Lovelock, in un articolo del giornale inglese The Independent di oggi, ci racconta di un imminente (e ormai irreparabile) declino ambientale, che porterà entro la fine di questo secolo alla distruzione del pianeta.

Certo, di numeri ne ha dalla sua, il signor Lovelock, che prima di essere ambientalista e creatore dell'idea di Gaia è stato anche sviluppatore delle tecnologie per il clima perfino per la NASA, realizzando sonde di misura per più di un pianeta (non solo la Terra, ma anche per Marte).
Un ambientalista curioso, controtendenza, in quanto forte sostenitore che l'energia nucleare sia l'unica soluzione contro il riscaldamento globale.

Evidente che non basti essere un brillante scienziato, per azzeccarle tutte, così ci sono molti aspetti controversi delle ipotesi di Lovelock.
Il racconto di Lovelock è sicuramente catastrofico. Ci racconta che un medico o un poliziotto hanno un compito duro, ma a cui non possono sottrarsi, quando devono avvisare una famiglia che un loro componente, o più d'uno, è inevitabilmente morto. Allo stesso modo dice di non potersi sottrarre al compito difficile di dircelo. Che la fine è vicina.

Pare una frase da hippies degli anni '60, di quelle da scrivere su un cartello e girarci per i marciapiedi di qualche città americana.
Molti saranno concordi che la frase è sicuramente veritiera per l'ottantaseienne Lovelock, è un compito difficile dirglielo, ma non ci spaventiamo nel farglielo sapere.

Che riteniate opinabile o no l'ipotesi di Lovelock, è senz'altro da vedere come un sasso gettato in uno stagno: sperando che smuova le acque.
Solo che in questo mondo in cui l'incertezza economica e sociale opprime molti sul presente del vivere, ben pochi guardano a un futuro che Lovelock dice vicino (entro il secolo), ma che percepiamo come lontano.
Però dovrebbe essere spunto di riflessione per chiunque abbia (o desideri) dei figli o nipoti: se riesce a comprendere che a loro volta potrebbero avere figli e nipoti, un giorno.

La frase fatta del "vivere l'attimo" è stata sicuramente distorta nei modi più turpi, in questi ultimi anni. Dal messaggio positivo del viverlo spensieratamente è stato stravolto il senso, come se equivalesse a vivere solo freneticamente, una vita al massimo, quasi come l'omonimo film di Tony Scott.
I tempi si sono ristretti. Se nel passato si cercava un senso alla vita, ora si cerca un senso ai momenti, intervalli di tempo sempre più brevi, che per ovviare alla loro brevità devono avere un significato enorme.
In questa incessante miniaturizzazione degli spazi felici non c'è più la misura del futuro. Diventa tutto troppo lontano, una misura fuori dalla scala del nostro metro: la fine è inevitabilmente lontana, lontanissima.

Sarebbe un vero spreco, se Lovelock avesse ragione: milioni d'anni d'evoluzione, poche centinaia per disfare tutto.
Curiosamente, io che misuro queste cose con cinismo matematico, ne sono preoccupato, mentre chi si appassiona e si dispera facilmente, non si vede spesso preoccupato. Chissà.

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