domenica, maggio 14, 2006

Odio i liceali

Quello che segue è un articolo scritto un mese fa, mai pubblicato.
L'ho ripreso per un paio di motivi. Il primo è dato da una richiesta di Loli, curiosa di leggerlo (senza sapere bene di cosa parlasse).
Il secondo motivo è un articolo di giornale letto oggi, che mi conferma quanto descritto a seguire. Ovvero la totale ignoranza della basilarità del vivere, da parte dei liceali.

Sì, lo so che vorreste controbattere, ma ho da tempo disabilitato qualsiasi commento a questo weblog. Nessuno se n'è accorto, per cui va bene così.

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Alcuni anni fa, mi fu fatto osservare come il termine "odiare" fosse usato con un peso diverso, in lingue diverse. Altrettanto si può dire di "amare", in fondo, anche limitandosi alla differenza fra lingua italiana e inglese.
Fortunatamente non ho rigide imposizioni morali, per cui sono libero di usarli entrambi, senza che il giudizio di nessuno possa cambiare la mia percezione. O peggio, forzare la mia visione.

La mia plateale intolleranza verso la cultura liceale non è legata a ciò che essa porta, quanto a quello che non porta.
Questa è evidentemente una percezione personale, data dalle persone conosciute, come anche dalle persone non conosciute, ma ascoltate nell'esporre il loro pensiero. Va detto poi che interpreto spesso non solo le parole, ma anche la gestualità, le attitudini sociali: fa inevitabilmente parte del mio metodo di analisi. Se riesco a confermare la mia visione, con una percentuale notevole di osservazioni, convalido almeno il mio pensiero.

D'altronde lo stesso Nietzsche, in un aforisma che suona inizialmente come discriminatorio, ma svela ben altro, diceva "che mai si estenda anche alle ragazze l'istruzione liceale, che fa di tanti giovani intraprendenti ed avidi di sapere, delle brutte copie dei loro maestri".
Perdonatemi, ma nel formalismo del greco antico, del latino, della filosofia, non vedo che esercizi di sterile conformismo. Non c'è alcuno spirito critico, non c'è possibilità di dissentire o innovare. Magari mi si farà notare che è ben difficile vedere innovazione da parte dei giovani liceali.
Eppure innovano come giovani consumatori di credito telefonico, di abiti firmati da stilisti di grido, e così via. Hanno il dovere di farlo in quei modi, mentre tutto il resto è negato.

La negazione del resto è così evidente. Ogni loro espressione finisce per essere malinconica, scialba, priva di espressività personale.
Non raccontano, ma citano, perfettamente. E lo faranno per tutti gli anni a seguire: scimmiette ammaestrate, ma si sentono colti, vista la loro citazione di altri autori colti.
Qualcuno, anni fa, mi descrisse la cultura liceale come l'unica in grado di dare un metodo di studio. Parole valide solo se lo studio è sul passato, su ciò che fu, mai su ciò che verrà: dove si richiede la flessibilità dell'innovazione, il nemico primario della cultura classica.

Oggi li osservo in varie forme. Sia i liceali ancora in formazione, che stanno strutturando la loro identità (o meglio lo stampo a cui uniformarsi), sia i liceali arrivati.
Quelli che più si fregiano d'innovare, sono iscritti alle facoltà universitarie della falsa innovazione. Studiano ingegneria gestionale, sono i nuovi padroni del vapore. Ma in pratica non hanno mai creato niente, ne sono incapaci.
Un esame o due, in sociologia o psicologia industriale, l'illude di conoscere le masse, di sapere come pensa un metalmeccanico o un dipendente aeroportuale, per manipolarlo in futuro. Finiscono poi per irritarsi al primo sciopero che blocca gli aerei per una giornata, perché non han capito che il mondo reale comincia esattamente dove finiscono le prove, senza un reality show che mostri il mondo reale un episodio alla volta.

E hanno gli stessi vizi e virtù dei loro coetanei meno acculturati.
Hanno bisogno della stessa sigaretta per sentirsi accettati nel mondo degli adulti, mostrano le stesse ansie e paure patologiche. Con la sola differenza di saper dire ogni cosa con mille sinonimi, di sapere dove cadono gli accenti e come si coniugano i verbi. Imparano una lingua sterile, formalmente perfetta, vuota nei contenuti. Imparano morale ed etica, o meglio le uniche accettate come possibili.

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