martedì, aprile 14, 2009

Lingua e società

Il titolo di questa annotazione potrebbe essere lo stesso di un serissimo libro. Se ci mettiamo a sviscerare l'uso della lingua italiana, l'impatto sociale e tutte le strade che li collegano (in ogni direzione), il risultato può essere molto lungo e complesso.

Leggo su una rivista settimanale, pure di un livello culturale sopra la (bassa) media dei settimanali, un articolo sulle vicende della grammatica e ortografia italiana, nei tempi odierni.
Niente che mi sorprenda, mi è sufficiente peraltro camminare per strada o sfogliare un quotidiano, per avere una misura del decadimento linguistico.
Se la lingua latina classica veniva evitata dal volgo, tanto da creare qualcosa di più semplice, viene ora da porsi qualche domanda.
Anzitutto mi chiedo se l'idioma volgare, dal Rinascimento ad oggi, è diventato così tanto complesso, oppure se la nostra condizione culturale è scesa ad un livello inferiore di quella del contadino medievale: tanto che neppure il latino semplificato ci basta, così da aver bisogno di un volgare semplificato.
Certo, mi obietterete che non cito i dialetti, probabilmente più semplici ancora della lingua volgare rinascimentale. E la mia omissione è infatti puramente strumentale, perché la mia percezione è indirizzata verso una direzione: i servi della tecnologia, versione aggiornata dei servi della gleba, hanno bisogno di un nuovo linguaggio, basso nei contenuti, semplificato nella forma, che accetti le storpiature come parte integrante.

I punti di collegamento fra il medioevo agricolo e questo medioevo tecnologico ci sono tutti.
Anzitutto il bisogno angosciato di essere parte di un grande disegno. Nella visione odierna sembra che si voglia privilegiare l'individualismo, ma nei fatti l'individuo viene premiato se sceglie di essere diverso, inquadrandosi in un altro gruppo sociale, rispetto a quello d'origine. Così si sente realizzato se fa la vacanza nell'isola tropicale, se acquista un'automobile importante, se compra casa nel quartiere giusto, se veste con gli abiti di moda. Non ha poi percezione del fatto che entra in un gruppo uniforme, perché l'appagamento viene dal distaccarsi dal gruppo originario, sentito come povero, umiliante, comune.
Che il padrone del proprio gruppo sia un latifondista medievale, o una compagnia di telefonia mobile odierna, un marchio di personal computer, il risultato è poco dissimile: valgo in quanto appartengo, penso perché mi hanno spiegato esattamente cosa pensare.

Già ai tempi in cui frequentavo la scuola media superiore c'era chi si preoccupava dell'uso delle calcolatrici: gli allievi stavano imparando ad usarle sempre e comunque, senza alcun senso critico. Se lo strumento aveva le batterie scariche, e digitando 3 per 2 appariva zero, c'era chi pedissequamente ne copiava il risultato. In fondo era la cifra apparsa su uno strumento elettronico avanzato.
La sindrome del calcolatore non ha avuto freni, la sua diffusione endemica porta oggi a scrivere SMS nelle occasioni più bizzarre, a consultare internet per sapere se le previsioni meteorologiche dànno bel tempo, anziché guardare fuori dalla finestra.

Quanto sono arrivato lontano, partendo da un argomento semplice semplice.
In origine era tutto riassunto in una letterina:
Ho letto con interesse l'articolo sulla deriva della grammatica italiana nell'uso comune, sono rimasto però perplesso su alcuni contenuti.
In due virgolettati (che immagino quindi conformi agli originali), leggo gli interventi di due esperti di linguistica.
Fra le varie argomentazioni, il primo afferma: "Nella Prima Repubblica c'era un modello democristiano e uno comunista".
Mi auguro si tratti di un refuso, sulla coniugazione del verbo. Poi proseguo nell'articolo e leggo in una frase del secondo intervistato: "Anche le ''convergenze parallele'' di Moro era un'espressione ambigua e surreale", e qui comincio ad essere sospettoso, verso il nuovo possibile refuso, tanto da pensare più a una frase complessivamente scritta (o detta) male.

La mia tolleranza verso l'italiano scorretto, quando è espresso da chi si occupa di comunicazione pubblica, è decisamente bassa. Se poi sono io ad accorgermene (che non sono un esperto) prima ancora che l'Accademia della Crusca, lo trovo decisamente grave.
Nella lettura dei quotidiani mi sembra poi che la situazione sia peggiorata con una progressione inquietante. Errori fino nei titoli principali, che anche il più vetusto correttore ortografico avrebbe risolto. La fretta di vendere informazione, oppure la riduzione delle risorse economiche assegnate, sembrano aver decretato a loro volta la decadenza della lingua.

Forse l'articolo andava interpretato diversamente? Dovevo desumerne che la decadenza del linguaggio ha ormai attaccato anche coloro che dovrebbero salvarlo?
Comprendo l'indulgenza dei tecnici del linguaggio, che nel tempo concedono sempre più aperture verso nuove espressioni e nuovi termini: in fondo la lingua è viva, si plasma, cambia secondo necessità.
Trovo però indisponente che i cambiamenti siano dettati da un progressivo abbassamento culturale, anziché da una crescita.

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