giovedì, aprile 26, 2007

Libertà di lettura


Sfogliando le pagine di un quotidiano convenzionale, cartaceo, riflettevo sulla libertà di lettura. A cosa mi riferisco? E' presto detto, partendo da un concetto strettamente correlato.
Spesso si legge e si scrive, dell'autoreferenziale libertà di stampa. Tutti noi ne abbiamo una qualche idea, non è difficile comprendere che lo scrivere e il pubblicare presuppongano anche la libertà di farlo, qualsiasi opinione si esprima.

Prendiamo per scontato che esista la libertà di lettura, che dato un testo scritto si abbia libertà di leggerlo. Ma cosa implica esattamente la libertà di leggerlo? Se pensiamo al fenomeno fisico che ci permette di trasformare le immagini in concetti, in parole, è piuttosto facile. Ma cosa succede se leggendo un certo scritto, vedendo certe immagini, subissimo pressioni psicologiche?

Un esempio pratico viene da chi osserva le riviste esposte in un'edicola. Molte persone possono sentirsi a disagio quando passano di fronte alle pubblicazioni pornografiche, non solo chi ne è avverso, ma anche chi essendone interessato o tuttalpiù indifferente, teme gli sguardi disapprovanti.
Si può estendere a qualsiasi tipo di pubblicazione: chi legge con interesse un articolo politico e si sente scambiato per un sostenitore di quelle posizioni, chi si sofferma sui dettagli di un crimine e teme di esserne accusato.
Una volta acquisita la pubblicazione, nella consultazione casalinga, ci si sente però tranquilli. Nel parallelo della libertà di stampa sarebbe come sentirsi liberi di produrre scritti dai contenuti forti, ma che siamo sicuri di non far leggere a tutti.

Il mio pensiero era però indirizzato a un altro modo di fruire dell'informazione.
Da un lato il quotidiano, cartaceo, portato a casa e consultato come e quando si vuole; dall'altro il quotidiano telematico, l'informazione via Internet: consumata a piacimento, ma dove ogni clic su un testo o un'immagine può generare traccia delle nostre preferenze, delle nostre frequentazioni, dei nostri interessi.
Per assurdo, la libertà d'informazione fornita da Internet ha generato un nuovo tipo di manipolazione. Tutto è libero, eppure i contenuti vengono studiati secondo le preferenze del pubblico.
Quanto è libero questo modo di creare informazione?

Alcuni giorni fa leggevo una disamina alquanto inquietante sulla cultura della lettura.
Nel passato molti hanno temuto la soppressione della cultura, la schiavitù del pensiero umano, con mezzi diretti e inquietanti -- come nel romanzo Fahrenheit 451 di Bradbury, dove ogni libro veniva bruciato.
In questo nuovo presente (rispetto al all'ipotizzato vecchio futuro) è divenuto inutile bruciare i libri. La cultura viene soppressa ogni giorno grazie alle stesse tendenze sociali, quelle che vogliono la comunicazione immediata, di rapido consumo, finanche distorta. I messaggi brevi sui telefoni cellulari, fatti di un gergo che cancella l'identità linguistica, i platealmente falsi spettacoli televisivi denominati reality show, sono piccole espressioni di questa frenesia, di quest'ansia di semplificare la vita.
E se la crescita culturale impone ritmi più lenti, richiede attenzione, è facile metterla da parte.
Non serve più bruciare libri: nessuno li legge, e chi lo fa è ormai dedito alle letture di moda, quelle per cui non serve senso critico.

Tutto mi riporta continuamente al pensiero della controcultura di Internet, quella degli hacker (nel senso vero della parola, non in quello storpiato), quella di chi oppone un falso comunismo della rete, come negli scambi d'informazione nel peer-to-peer.
I presunti rivoluzionari dell'informazione in realtà hanno sovvertito ben poco grazie all'idealismo. Sono riusciti nell'intento piuttosto grazie al raggiungimento di una massa critica interessata.
Se proponi "software gratuito per tutti" è un po' come proporre "zero tasse per tutti", impossibile che tutti restino impassibili. Solo che nel primo caso ci sono vie di fattibilità: fai sviluppare il software a chi viene già pagato come professore universitario, a un appassionato che impegna il tempo libero, a studenti.
Lo scambio peer-to-peer invece è ben altro: il transito di contenuti gratuiti fin dall'origine è spesso raro, si tratta più di frequente di contenuti dalla duplicazione illecita, ma facilmente ottenibile a costo quasi zero. Tecnicamente è un furto, ma la duplicazione così semplice, l'intangibilità dell'oggetto, genera la falsa convinzione che tutto quel che non si può toccare sia gratuito.
Libertà di leggere, di ascoltare un brano musicale, di vedere un film: anche nei casi di questi illeciti appare ormai (falsamente) garantita. La depenalizzazione per assenza di lucro sembra aver fatto dimenticare il tutt'ora esistente illecito amministrativo per lo scopo di profitto.

Quanto ha realmente liberato gli utenti di Internet questo tipo di cultura?
Se si potesse misurare in cifre sarebbe un numero negativo: chi entra nel giro rimane ingabbiato dal sistema, non sa più pensare a qualcosa da poter fruire senza ricorrere a questi mezzi.
E se avete un esempio diverso fatemelo sapere: sono pronto a scommettere che la quasi totalità di queste libertà è effimera.
Il concetto della parola libertà è ormai stato bruciato, in modo virtuale, insieme ai libri: adesso significa soltanto "condizione di essere liberi da ciò che preoccupa".

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